Qui dove il mare luccica (III)

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Il 6 aprile Marco rientra da Friburgo, celebrando la fine dell'Erasmus e delle assurde nottate alla Casanova con il Das Pack e la sensualissima Marie. Vengo informata del suo rientro da Yuri, con il quale inizia a organizzare festini alcolici e serate all'insegna dello sbando.

Una settimana dopo, non me lo sono ancora trovato alla porta, adirato perché non ho fatto il primo passo verso la linea del perdono. Se devo essere sincera, i fatti di Friburgo risuonano nel mio cuore come un'eco lontana, come se i torti che ho subito, li avesse fatti a un'altra donna e non a me. È una sensazione strana: in passato sono sempre stata attenta a tatuarmi ogni sofferenza sulla pelle. Ma adesso tutti quei litigi mi sembrano leggeri, quasi inutili.

Marco non l'ha ancora conosciuta, questa sensazione di libertà. Sta tenendo il broncio, rinchiuso nella sua cameretta, nell'attesa che qualcuno – la sottoscritta – gli confermi che stiamo ancora formando il binomio.

Se un mercoledì all'alba mi precipito a casa sua, è perché voglio che cresca anche lui, una volta per tutte.

Quando apro la porta, la camera di Marco sembra l'antro di un orso che non vuole uscire dal letargo. Lì, tra le lenzuola stropicciate e un tanfo di carcassa ubriaca, giace un trasognato Grizzly biondo, troppo intontito per sbranare la gazzella.

«Prendi le tue cose» gli ordino, il fortissimo istinto di tapparmi il naso con la pinza delle dita.

Una puzza di vino acetato aleggia nell'aria. Di fronte all'ordine severo della mia voce, il Grizzly ruglia, poi affonda la testa sotto il cuscino.

«Quali cose?» borbotta, come un cadavere appena risorto dalla tomba per la notte di Halloween.

Urgono le maniere forti. E così, marcio alla "tenente Hartman" verso la staffa della tapparella e l'arriccio in alto.

«Prendi tutto quello che può servire!» prescrivo. «Dobbiamo andare in un posto.»

Finestra spalancata per il ricircolo dell'aria, approfitto della luce solare per studiare meglio una camera che dovrei conoscere in ogni incrostatura dell'intonaco. Sembra di stare nel covo di un ricercato mafioso: rimasugli di cibo, cartoni della pizza, bottiglie di alcol svuotate e vestiti sporchi sballottati in ogni angolo.

«Forza, forza!» insisto, togliendogli il lenzuolo di dosso.

«Nina, sei impazzita?»

È pazzo lui a lasciare che un calcetto nelle palle ci rovini per sempre.

«Non sono mai stata così normale.» E non ho mai avuto una voglia così incredibile di vivere, di essere felice, di aspirare con un bidone della spazzatura tutte le nuvole grigie che tappezzano il cielo. «Forza, non intendo passare la giornata rinchiusa in uno stanzino ad annusare la tua puzza.» Recupero l'Eastpak del liceo, due nuove bruciature di sigaretta sulla tela. «Tieni, allo zaino ho pensato io.»

Alla fine Marco ubbidisce. Quando arriviamo alla Panda di mia madre, ha ancora le labbra viola dalla sbronza di vino, due occhiaie così lunghe da penetrargli metà guancia.

«Come facevo a sapere che cosa mettere nello zaino, se non so dove stiamo andando?» mi chiede.

Strattona la zip per sbirciare, ma io, una mano sul volante, acciuffo l'Eastpak e lo getto sul sedile di dietro.

«Non ha importanza, è una sorpresa.»

In realtà, non so nemmeno io dove stiamo andando. O meglio ho un'idea estremamente vaga del posto che voglio raggiungere, ma la gamma di scelte è ampia e così deciderò mentre guido, lasciandomi attrarre dal richiamo dei cartelli autostradali.

Binomio - 3Where stories live. Discover now