Qui dove il mare luccica (I)

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Non ho nemmeno la forza di piangere. La comparsa di quella ragazza è stata una folgore che mi è caduta dritta in testa e mi ha lasciata frastornata e smarrita. È come se un ladro avesse spruzzato una bomboletta di sonnifero nel monolocale e a poco a poco atomi di gas mi avessero raggiunta, gettando un senso di nausea e confusione alla bocca dello stomaco.

Ben mimetizzato, tra il pancreas e la milza, ho l'antidoto per non collassare addormentata, una scarica di ira funesta che mi tende i nervi in un'orchestra di strumenti a corde.

Ecco cosa ti succede quando fissi la linea dell'orizzonte per settimane e settimane, senza un ombrello, ma con l'abbaglio che nessuna tempesta la potrà frastagliare. Succede che alla fine, anche se pensi di essere al sicuro, il diluvio universale decide di affogarti e no, non ci sarà nessun Noè a invitarti sull'Arca della salvezza.

Uguale a me, cazzo. Non faccio che ripetermelo mentre schizzo impazzita da un angolo del monolocale all'altro. Quella ragazza era uguale a me.

Che bella punizione, Marco, che punizione da perfetto stronzo sbattermi in faccia di esserti scopato la mia sosia.

Deve averlo fatto per ripagarmi con la stessa moneta: io l'ho allontanato con quel dannato aspetta, lui mi ha sostituita con una mille volte più sexy di me.

Due lacrime fanno capolino nelle punte degli occhi. Getto l'ennesimo maglioncino nel trolley, fracasso il pettine contro il battiscopa ammuffito. Mi spacco anch'io, quando i denti di plastica si scavezzano a metà.

Una settimana fa io e Marco ridevamo, due corpi paralleli sdraiati su un tappeto inumidito, coprivamo il germoglio di una storia d'amore, lo riscaldavamo con delle confessioni sul passato. Ma forse ero solo io a innaffiarlo. Credevo che quell'incontro in doccia fosse stato il primo stelo a forare la terra. Anche se l'avevo bloccato, i nostri corpi, per un istante, avevano compreso la necessità di ritrovarsi. Invece agli occhi di un uomo un corpo di una donna equivale al corpo di un'altra donna. Il mio corpo equivale a quello di un'imitazione.

Quando Marco rientra da lezione, mancano trenta minuti alla partenza del treno.

«Ho portato il pranzo» mi saluta, ancora per metà sulla soglia. Fish and chips, l'odore di unto impregna l'aria. «Mangiamo al volo, poi dobbiamo vederci con Tess e gli altri, sai, ho una persona da presentarti.»

Forse quella persona si è già presentata da sé. Marco è ancora girato, intento a levarsi il capotto, un'azione da contorsionista che lo porta a tenere il sacchetto del pranzo nella morsa dei denti.

Quando il torace si volta di novanta gradi, la mascella gli cade, il sacchetto finisce a terra.

«Che stai facendo?»

La stanza è colma di indizi: la valigia che sto provando a chiudere, il cappotto addosso, errato bottone in errata asola, le scarpe malamente allacciate.

«Me ne vado» chiarisco.

Inflessibile, come un'avvocato divorzista, donna, nel momento in cui pretende gli alimenti dalla controparte. Marco scatta in avanti, mocassino che schiaccia il pranzo, due patatine che sfuggono al cartone oliato.

«Aspetta» dice, le sopracciglia inarcate in una v. «Dove? Perché?»

Sono risposte così facili.

«Perché voglio essere felice» gli dico. "Linea dura" mi incita il grillo. «E tu stai facendo di tutto per non esserlo.»

Marco ha l'espressione di un ragazzino che si è addormentato sulla spiaggia e risvegliato in una tomba di sabbia per un dispetto degli amici. È dotato di una così scarsa lungimiranza da non intuire il motivo della mia ira.

Binomio - 3Donde viven las historias. Descúbrelo ahora