Due sedie per uno (III)

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Sono prigioniera di una camera insonorizzata con pareti rivestite di scatole di uova. E non c'è voce potente o percussione di batteria a rompere la legge del silenzio. Ci sono solo io nel mondo binomio, una terra abbandonata che non è più un universo paradisiaco, ma una trappola mortale. C'è nebbia negli occhi, un gas tossico che è entrato dalle narici e ha oscurato i pensieri. È come quando ti trovi nella fiera di un paese e provi a risolvere un calcolo matematico complicatissimo, un'equazione da premio Fields. A un certo punto ti sembra di aver raggiunto la soluzione, ma basta il minimo brusio per rompere la concentrazione e rieccoci al punto di partenza, a rifare quegli infiniti calcoli che mi portano sempre sulla soglia del traguardo.

Marco è quella complicatissima equazione. Continuo a ripetere gli elementi base: Marco non si è presentato all'appuntamento, Marco non risponde, Marco non mi ha avvisata. Cerco una soluzione al problema che non sia "Marco ha rotto il binomio", ci deve essere un'alternativa.

Lavo la faccia con l'acqua gelida del lago, ignoro un rivolo di mascara liberato dalle sopracciglia. Boccheggio in cerca di un aiuto, che qualcuno mi suggerisca la formula magica per spezzare l'incantesimo della strega cattiva, per rivelarmi che Marco in realtà è qui con me, ed è solo per il sotterfugio di una bacchetta che ignoro la sua presenza.

Ma che dico? Nel mondo reale, non ci sono streghe, bacchette o equazioni con un risultato diverso da quello logico. Ed è pura razionalità sostenere che Marco, se non è qui, è semplicemente perché non vuole essere qui.

Colpa tua, Nina. Volevi salvarti dal binomio e Marco ti ha dato il ben servito.

Sì, ma speravo in una separazione graduale, non in uno strappo secco.

Resto seduta sulla sedia sbiadita, la sua sedia, il posto che ha rinnegato, e con le mani abbraccio la testa, cerco di togliere ogni pensiero dai cunicoli del cervello. A furia di rimuginare su quella stupida complicatissima equazione, la scatola cranica scricchiola, un attacco di emicrania preme le tempie.

Nei giorni successivi vivo in un tunnel di luci abbaglianti, bagliori che mi cavano la percezione del mondo circostante. Dipinti negli occhi ho solo pallini verdi e rossi che si alterano a intermittenza, a velocità stratosferica. Spero che quelle macchie si compongano e assemblino la figura di Marco. Lo cerco al pontile, la mia nuova casa. Gli telefono, segreteria staccata. Mi rifiuto di tornare a Nomi, perché potrebbe contattarmi, ma su quelle doghe scrostate, tra gli scogli anneriti dalle alghe, trovo solo il fantasma dell'abbandono.

«Adesso ti siedi, prendi un grande respiro, bevi piano e mantieni la calma, che ad allarmarti non risolvi niente.»

Sono nella cucina di Nicola. La mia mente è stata colpita dal blackout totale di neuroni e dendriti; la sua è sempre illuminata dai raggi del buon senso.

Respiro e sorseggio l'acqua dal bicchiere che mi ha offerto. Cerco di uscire dal tunnel allucinogeno, di riacquistare il senso della vista. La presenza di Nicola ha il dono di rilassarmi, è un aiuto-protagonista efficientissimo, il personaggio che custodisce la panacea contro ogni male. Ora che sono con lui, so che risolverò l'enigma di Marco, tutti i tasselli storti di un puzzle disordinato troveranno la loro giusta posizione. E sarà il più bel quadro mai visto.

Nicola si siede davanti a me e riempie fino all'orlo il bicchiere che ho appena svuotato.

«Ci ho pensato» confessa. «Sono perfettamente convinto che lo zuccone abbia fatto confusione con le settimane. Tra qualche giorno si farà vivo.»

Vi è mai capitato di leggere il romanzo del vostro autore preferito, di avere le aspettative alle stelle e di sbattere contro il palo di una grandissima delusione? Allora avete conosciuto l'effetto Nicola.

«Nina, al liceo Marco quante verifiche si è dimenticato perché confondeva i giorni?» Praticamente tutte. «E quante volte è entrato alla seconda ora perché si scordava di settare la sveglia?» Un miliardo. «E allora converrai con me che non ti sei scelta per compare di binomio la persona più affidabile del mondo.»

Se annuisco, è solo per non offenderlo.

«Ti devo confessare un segreto» mi confida, quando ci troviamo sul divano di casa sua. Lui sta leggendo un libro di giurisprudenza, io cercando di capire la prima pagina dei Fratelli Karamazov, Dostoevskij.

«Torniamo ai vecchi giochi del passato?» sorrido, dopo aver gettato il tomo sul cuscino blu militare.

«Questa volta non credo» ammette Nicola e si tira vicino al bracciolo del divano, il più lontano possibile dalla posizione che sto occupando. «Io ti ho fatto un torto e tu non lo sai.»

Per un secondo le lucine del tunnel si spengono: lui un torto a me? Deve essere la migliore barzelletta del secolo, quando non ho fatto che maltrattarlo.

«Quando eravamo al liceo» confessa. «Lo so che ti piaceva mio fratello.» Per poco non cado dalla seduta. Stiamo davvero riesumando Ivan Ulivieri? «Non gliel'ho mai chiesto in modo esplicito, però l'ho pregato di lasciarti perdere, se le sue intenzioni non erano serie. Lui ha promesso e si è allontanato da te.»

Il grillo mi riporta al passato, alla mia prima cotta adolescenziale. E sulle labbra rivivo il primo bacio con Ivan, su un covone di fieno e tra un esercito di conigli albini che ci studiavano. Ivan sapeva di tequila, io avevo il sapore di vodka alla fragola sui denti, la sua saliva che mi inumidiva la bocca e parole che intervallava a quelle scariche di baci: "Non posso, non posso, non posso".

Ho sempre avuto la sensazione che Ivan tirasse il freno in mia presenza, che lo pungesse la tentazione di sedurmi, ma subito una briglia invisibile lo convincesse a un ripensamento. E ora quella briglia invisibile ha un nome: Nicola. Lui con una promessa strappata è stato la fine della mia prima storia d'amore.

«Non è colpa tua» gli dico. «Sai, credo che io e lui non fossimo fatti per stare insieme. E comunque è stato Ivan a decidere di allontanarsi da me. Mica lo hai rinchiuso in una cella ad Alcatraz per impedirgli di vedermi!»

Nicola annuisce, ma le mie parole, per quanto leggere, non gli hanno tolto il peso dalle spalle.

«Quell'estate» ricorda. «L'estate dello Yeti e dell'attentato di Londra. Tu gli piacevi sul serio. Il problema è che piacevi a entrambi.»

L'attentato di Londra, quando Marco era partito all'estero per migliorare l'inglese. Tanti viaggi nel passato, da Ivan e da Nicola, per dimenticarmi di lui ed eccomi qui, punto a capo, nel tunnel che abbaglia. Sentivo Nicola, vicino a me, ora un'eco lontana, un'ombra che sbiadisce nel nulla.

«Era prima del terzo anno» sussurra. Sembra allarmato, mi devo essere rabbuiata, ma non è per lui. È sempre Marco. «Una cosa del passato.» Non mi dispiace sapere che ti piacevo. «Era prima di quella pessima confessione che ti ho fatto a un semaforo in mezzo alla strada.» E io correvo tra le braccia di Marco, piangendo, colpevole di averti rifiutato. «Nina, era una battuta. Dovresti ridere.»

Ci sta mettendo anima e corpo per aiutarmi.

«Scusa.» Sono la solita ingrata. «Scusa, è solo che...»

Nicola sospira e interrompe la mia giustificazione. Si è messo in piedi, le piattine per non rovinare il parquet infilate e una mano protesa per costringermi ad alzarmi.

«Non riesci a toglierti quel maledetto zuccone dalla testa» conclude. Mi sembra di rivivere quella notte alla Scalinata del Re all'infinito. «Se le cose stanno così, abbiamo una sola possibilità.»

Mi allunga la borsetta e la giacca autunnale.

«Lo andiamo a cercare.»

Binomio - 3Where stories live. Discover now