Collasso (I)

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Non so quando inizi la caduta. A pensarci bene non riesco a trovare un attimo preciso o un motivo per cui la mia vita subisca una svolta tanto brusca e inattesa. A Nomi i giorni scorrono identici. Se fossero persone, sarebbero una ventina di cloni, gentiluomini con il cappello a bombetta e un ombrello sottobraccio all'inglese.

Tania continua a perseguitarmi, Valentina a tenermi il muso per il To remember, Saul a lamentarsi perché non mi sa ritrarre.

Ma qualcosa in me si spezza. In un giorno qualunque, un gentiluomo si accorge che il cappello a bombetta è bucato e l'ombrello un'accozzaglia di tela e acciaio che allo scattare della levetta si apre, anziché concavo, convesso. Sette di mattina, in bagno davanti allo specchio.

«Saul, smettila con quella gamba!» Tania lo rimprovera. Quando Saul ha ceduto Il Busto al commesso della Benetton, è stato tanto scaltro da rubare una gamba da un manichino femminile. «Mi fa impressione trovarmela davanti, mentre mangio!»

«È solo una gamba di plastica» sbotta lui.

«Mettile almeno una calza o un bel tacco dodici!» insiste Tania. «Che vuoi che ti dica? Fa ribrezzo così, troppo feticista o serial killer collezionista di corpi umani, come il mostro in quel film di Benigni.»

Un mostro. È quello che mi sento, un collage di pezzi messi insieme alla meno peggio. Inutile nascondere le occhiaie con il fondotinta, sono troppo scure e scavate. E forse ho perso qualche chilo, mi serve una cintura, stretta all'ultimo buco, per tenere in vita i pantaloni. Anche il viso è pallido, si perde con le piastrelle avorio che attorniano lo specchio.

Ma che dico? Non sto male. Accuso solamente un principio di stanchezza. Me la sto cavando benissimo, me la sto cavando da sola, me la sto cavando anche senza...

Marco.

È lui, il primo maledetto pensiero che dà inizio alla caduta. Vederlo al To remember è stato un colpo di grilletto a scoppio ritardato, colpa di un inceppamento al meccanismo.

Rovisto tra le trousse di Tania e Valentina per trovare un cosmetico che mi dia dignità. E mi sento una vecchia bambola di stoffa, rattoppata da una sarta con pezzi diversi, il braccio di una Barbie, l'occhio di una Holly Dolly, i capelli di una Pigotta Unicef.

«Scricciolo, la finiamo con questa seduta da centro benessere? Non sei in una SPA e il bagno serve a glorificare la mia magnificenza!»

Matita che finisce nell'occhio, orlo della palpebra annerito.

«Capisco che stai cercando di sistemarti quello schifo di faccia che ti ritrovi!»

E correttore che non illumina la pelle, la smorza in una maschera di cerone color gesso.

«Però, scricciolo, la sapienza insegna dal principio che una causa persa non si può trasformare in uno schianto, quindi...»

Esco dal bagno per dare il contentino a Tania, anche se non ho finito. Un conato di vomito dondola su e giù per la faringe, ma ho la gola contratta, troppo debole per vomitare.

«Bagno libero, rompiscatole. Tutto tuo.»

Tania trasalisce come un gatto al quale hanno appena schiacciato la coda: «Hai davvero una faccia da schifo! Colpa di un uomo? Colpa di due? Oppure è colpa del diario?»

La sarta deve essersi dimenticata di cucirmi le orecchie. Le frasi di Tania sono uno sciame di calabroni che ronzano nei timpani. Barcollo in preda al mal di mare fino al letto, la mia terraferma. E i libri, le foto alla parete, il poster di Fujiko, tutto è piegato in curve.

Binomio - 3Donde viven las historias. Descúbrelo ahora