Prologo

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«Annabell ti presento Jacob, è arrivato qui da Oakland. Starà con noi per un po' di mesi.» pronunciò Steve, il migliore amico di mia madre. Steve e Jackson formavano una stupenda coppia, ancora di più da quando avevano deciso di adottare quella che poi sarebbe diventata la mia migliore amica Maddy. Nella nostra piccola e bigotta cittadina del Colorado non era semplice vivere con naturalezza la propria sessualità, eppure guardando loro sembrava che tutto fosse possibile.

Ma al coronamento del loro sogno d'amore mancava solamente un ultimo dettaglio: l'affidamento di un adolescente agitato e fresco fresco di riformatorio. Jacob si presentò, quel pomeriggio di tanti anni fa, con un occhio pesto e un labbro gonfio, causato da un profondo taglio. Dio solo sa cosa gli fosse successo prima di essere affidato alla famiglia Reyes.

«Piacere, Ann.» detestavo il mio nome per intero, so che mia madre me lo aveva affibbiato perché era molto legata a mia nonna, ma non sopportavo il suono dolce e melodico di un nome così puro e delicato mentre io mi sentivo un maschiaccio, una bambina dalla personalità forte e tenace. Perciò sembrava che Annabell non mi si cucisse bene addosso.

Ma Jacob non strinse la mia mano, anzi mi scrutò torvo, squadrandomi dalla testa ai piedi, era alto e con qualche brufolo di troppo, segno che l'adolescenza lo stava rendendo via via un uomo. Io, invece, avevo solo otto anni e ancora giocavo con... i palloni da calcio o da football, a seconda del giorno. Ho sempre detestato le bambole, al contrario di Maddy, perché lei era il prototipo della figlia perfetta: una ragazza studiosa, diligente, socievole, affabile, sensibile e molto femminile.

Fin dalla nostra infanzia tentava di propormi abiti più graziosi, mentre io optavo per qualcosa di estremamente comodo; come pantaloncini, scarpe da ginnastica e berretto in testa.

Non ho mai conosciuto mio padre, ogni qualvolta cercavo di intavolare il discorso con mia madre lei sviava la risposta e diventava all'improvviso triste, perciò, ho smesso di chiedere con il tempo. Mio nonno è stato un modello di riferimento maschile, una persona sempre presente nella mia vita, con lui condividevo la passione per le partite di football americano e baseball, guai se ci toglievano il nostro rituale davanti al televisore ogni domenica pomeriggio. Sedevo sempre alla sua sinistra, lui sulla poltrona porta fortuna e logora della nonna, mentre io stavo sul divano, di fronte a noi c'erano wurstel e patatine con della senape a volontà, e, infine, insieme sorseggiavamo giusto qualche sorso di buona birra bavarese.

Ho avuto poche certezze nella vita, di certo sapevo che non mi sarebbe mai mancato l'affetto di mia madre Jen e di nonno Ben, oltre che le nostre domeniche insieme.

Il momento in cui iniziai a detestare Jacob, rappresentò un'altra inevitabile verità, perché anziché mostrarmi gratitudine e instaurare un'amicizia sincera, mi provocò suscitando la mia ira.

«Sicura di non essere un maschio?» diventai paonazza dal nervoso.

Era vero, ero un perfetto maschiaccio da bambina, ma allo stesso tempo tenevo alla mia identità e seppure mi interessassero attività e sport deputati tendenzialmente al genere maschile, mi sentivo una femmina.

Crescendo ho iniziato a coltivare un sogno: fondare una squadra scolastica di Football femminile, all'interno della nostra piccola cittadina dimenticata tra le montagne del Colorado e, perché no, iniziare a smuovere le coscienze bigotte e conservatrici dei suoi abitanti.

Ma non fu che solo l'inizio della mia controversia storia.


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Altra nuova storia, anche questa trama l'avevo in testa da diversi mesi... ma non mi sentivo particolarmente ispirata. Ora, non so perché, sto scrivendo fiumi di parole.

Ecco a voi la storia di Ann e, se possibile, non fatevi influenzare dai soliti pregiudizi sulle storie con protagonisti dei teenagers.

Fidatevi di me, saprà soprendervi (spero)!

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Un Gioco da Ragazze - A Girl's GameWhere stories live. Discover now