26. Una notte in custodia

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Betta si svegliò tremante dal freddo. Quella strana stanza tutta bianca e senza mobili sapeva di claustrofobico. L'unica luce, flebile e fioca, penetrava da un'alta fessura che portava al di là della cella. C'era solo una rete e un materasso, su cui stava rannicchiata. L'unica coperta che aveva era leggera ed emanava pochissimo calore. Nonostante indossasse il giubbotto, i brividi le partivano dai piedi fino ad arrivare al collo.

C'era un silenzio tombale, non si sentiva volare una mosca. La ragazza aveva perso la cognizione del tempo.

Prese la coperta e la spinse sulle spalle; si avvicinò alla porta chiusa a chiave e bussò.

«C'è qualcuno? Qui fa freddo!»

Dopo pochi secondi sentì un rumore, qualcuno girava la serratura. Ad aprire la porta fu una poliziotta dall'aria stanca e severa. Era bassina e poco formosa; i suoi piccoli occhi non avevano alcuna luce, le labbra sottili e i capelli tirati in una coda le davano un'espressione poco femminile. Masticava un chewing gum, mantenendo la bocca aperta. I denti erano contornati da un sottile strato di tartaro. Teneva una mano sul cinturone e le dita si fermavano sulla fondina.

«Ti sembra di essere in un hotel, bellezza? Il freddo lo sto beccando anche io che sono di turno qui in caserma!» esclamò mentre alternava le parole alla masticazione.

«La prego, ho fame, sete, freddo e devo andare in bagno» disse con tono triste.

La poliziotta la osservò da testa a piedi.

«La prossima volta ci pensi due volte prima di entrare in una proprietà privata! Sei maggiorenne e la Madre Superiora ha sporto formale denuncia. Adesso non ci saranno mamma e papà a proteggerti!»

Betta arricciò le labbra e indietreggiò verso il letto. Si sedette, teneva ancora ferma la coperta sulle spalle.

«Io non ho un padre... né una madre. Ero entrata lì proprio per scoprire chi fossero.»

La poliziotta smise di masticare e cominciò a fissare la ragazza in silenzio.

«Quindi finirò in galera?» continuò la giovane.

La donna in divisa alzò le spalle.

«Non lo so. Per ventiquattro ore resterai qui, non so che ti accadrà dopo, dipende da molti fattori» spiegò con un tono meno duro. Chiuse la porta.

Betta si sdraiò, dopo aver sospirato, e cominciò a guardare il solito raggio di luce.

Sentì lo stesso rumore di prima e alzò di botto la schiena, si mise seduta. La poliziotta entrò con una piccola busta in mano e un piumone.

«Se ti chiedono, io non ti ho dato nulla. C'è solo il distributore di là, non ho potuto procurarti altro!»

Le porse la borsetta di plastica contenente un sandwich al tonno con maionese e una bottiglietta d'acqua. Adagiò la pesante coperta sul lettino e le indicò una porta che vi era nell'altra parete. Prese una delle chiavi dal grande mazzo che le pendeva dalla cinta e la girò.

Dopo averle permesso di andare in bagno, la poliziotta le voltò le spalle per andarsene. Betta sussurrò: «Grazie, è stata gentile...»

«Non dirlo a nessuno, ma quella vecchia bisbetica della Superiora non mi piace per nulla!»

Betta sorrise.

«Che ora è?»

La donna alzò la manica e osservò l'orologio.

«Sono le ventitré»

«Sono qui da poche ore, ma sembrano giorni!»

«Dai, è tardi, cerca di dormire»

La poliziotta lasciò la stanza e chiuse la porta dietro di sé.

Betta prese a grandi morsi quel pancarré come se non avesse mangiato da giorni. Bevve qualche sorso d'acqua e si sdraiò. Quel piumone la riscaldava abbastanza da permetterle di addormentarsi.

***

«Bella addormentata, esci!» disse con ironia la poliziotta mentre entrava nella cella.

Betta stava col viso ancora sotto il piumone. Lo scostò e osservò confusa la donna in divisa.

«Posso andarmene? E come è possibile?» chiese incredula.

«Pare che la vecchia abbia ritirato la denuncia» rispose con tono ridente. «Non so chi o cosa le abbia fatto cambiare idea, ma sei stata fortunata, ragazza! Forza...» concluse mentre chinava il capo per segnalarle l'ingresso.

La ragazza si alzò con fare veloce e, nonostante le girasse la testa, proseguì fino all'uscita. Ancora un passo e avrebbe chiuso con quell'esperienza terrificante, ma le venne naturale voltarsi verso la poliziotta e sussurrarle un flebile e sincero "Grazie". La donna annuì con un dolce sorriso, un chiaro segnale che il suo essere di polso era più una facciata.

«Zio...» sussurrò Betta appena si accorse di lui. L'uomo stava poggiato alla sua auto, nel parcheggio della caserma, con le braccia conserte e l'aria di un uomo provato e triste. «Zio, perdonami!» disse di getto mentre corse verso di lui.

Santo raddrizzò il bacino, facendo sì che si discostasse dall'auto. Allargò le braccia per poter stringere

la nipote.

«Perdonami!» ripeté lei.

Quando la giovane si ritrovò racchiusa nella stretta dell'uomo provò un bellissimo senso di protezione. Betta alzò il viso per osservare l'unica vera figura più simile a un padre che avesse mai avuto. Lo zio strizzava gli occhi, continuava a stringerla a sé senza formulare parola, l'aria sofferente di lui la preoccupò.

«Zio, che succede? Ti senti bene?» bisbigliò Betta mentre teneva il viso inarcato verso quello dell'uomo.

«Sì, coniglietta, solo un semplice malore, non ho mangiato stamani e mi gira la testa. Sali in macchina, torniamo a casa...» biascicò. La sua stessa voce, rauca e debole, provava il suo malessere.

La giovane si separò da lui e si diresse verso la portiera del passeggero. Santo poggiò una mano sul tettuccio, trasferendo lì il suo peso, con l'altra massaggiava il petto. Cominciò a incurvarsi e a esalare strani suoni che accompagnavano i massaggi tra la spalla e la scapola.

Betta si accorse del fatto e corse verso lo zio, tentò di sostenerlo da un'ascella ma era troppo pesante per lei. L'uomo cadde sul suolo e perse i sensi.

La ragazza, inginocchiata accanto a lui, iniziò a far uscire suoni gutturali dalla bocca. Tentava di urlare, ma non riusciva a emettere un suono talmente forte da catturare l'attenzione della poliziotta. La donna era internata nella caserma e, alle sei del mattino, non c'era nessun'altro. Ancora una volta Betta si ritrovò vicino a qualcuno che non dava segni vitali. Per l'ennesima volta era sola.

Iniziò a immettere ossigeno e a espellerlo in modo pesante, un affanno che le precludeva ogni forza e ogni reazione. Guardò lo zio.

D'improvviso il viso dell'uomo si trasformò in quello di Speranza. 

NON PIANGO MAIWhere stories live. Discover now