16. La stanza della musica

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Si ritrovarono in un enorme corridoio, anche quello di legno scuro, al lato del quale si si affacciavano grandi stanze, alcune vuote, altre con ciò che restava di reti e materassi. Continuarono a camminare, Betta ne notò alcune più piccole in cui erano ancora presenti dei banchetti di scuola e delle sedie di piccola dimensione.

Ogni tanto lievi spifferi di vento sibilavano, passavano dalla finestre rotte e facevano svolazzare dei fogli, oltre che a polvere, fino al corridoio.

Alex superò la ragazza di qualche metro.

«Seguimi!» disse laconico.

Perplessa, Betta fece ciò che le aveva ordinato. In silenzio gli andò dietro finché non si fermò davanti una porta del secondo piano.

«Questo era lo studio del direttore. Non so cosa vorresti trovare dopo dieci anni, ma accomodati pure. Appena hai finito mi troverai nella stanza accanto.»

«Oh! Ma grazie per l'aiuto!» esclamò Betta con ironia.

Alex voltò le spalle e si diresse verso la parete più in là. Lei sospirò, scosse la testa. Con lentezza, fece forza sulla porta per aprire. Quella era una delle poche stanze che avesse ancora una tavola di legno all'entrata. Spinse un po' di più e finalmente si aprì. Forse perché più riparata, ma persino la finestra era ancora intatta. Il pavimento era pieno di fogli volanti, molti dei quali ormai illeggibili. La ragazza pensò che in effetti Alex non stava sbagliando: cosa poteva mai trovare di utile in un orfanotrofio abbandonato? Vi erano parecchi scaffali, quasi del tutto distrutti. Diversi armadietti, con le ante aperte, coprivano la parete annerita dalla muffa. Si avvicinò e notò delle carpette plastificate all'interno. Prese la prima e ne controllò il contenuto.

«Hai trovato ciò che cercavi?» chiese Alex mentre rientrava nella stanza.

Betta sobbalzò facendo cadere tutti i fogli che aveva in mano. Si voltò verso il ragazzo con aria prima irritata, poi rassegnata. Si piegò e ne prese qualcuno tra le dita per osservare meglio.

«Sono tutti sbiaditi o anneriti...»

«Ovviamente!» urlò Alex mentre usciva dallo studio.

La ragazza lanciò in aria i fogli con rabbia e lo seguì.

«Se ti sembrava tanto ovvio perché diavolo mi hai accomp...»

Betta si bloccò appena varcò la porta dell'immensa sala in cui lui era entrato. Fece qualche passo per poi roteare il suo corpo a trecentosessanta gradi, stirò il collo portando lo sguardo verso l'alto e rimase impressionata per l'altezza del tetto, sorretto da grandi tronchi di legno.

«Un tempo questa era la stanza della musica, qui l'acustica è spettacolare» spiegò il ragazzo.

Prese il cellulare dalla tasca interna della giacca di pelle e cercò una playlist. Appena fece partire la musica, a Betta venne un brivido che le percorse tutto il corpo. Il suono sembrava espandersi in tutta la sala a tal punto da creare un riverbero naturale. Fece un piccolo sorriso, tanto spontaneo da farlo nascere anche in Alex. Per la prima volta i due si scambiarono uno sguardo di compiacimento. Betta si sedette sulla panca, proprio accanto al ragazzo, portò le ginocchia sul petto e rimase in silenzio ad ascoltare quelle bellissime note fino alla fine del pezzo.

Una magia che durò troppo poco.

«Dobbiamo andare. Si sta facendo tardi!» affermò lui.

Si alzò in un battito di secondo e Betta sgranò gli occhi. Confusa dal suo atteggiamento, si mise in piedi e lo seguì senza controbattere.
Alex, con rapidità, uscì dalla struttura e salì sulla moto, pronto per partire.
La giovane continuava a osservarlo, cercava di capire il perché del suo drastico cambiamento.

«Come mai conosci così bene questo posto?» chiese Betta, che ancora era in piedi vicino alla moto.

Il ragazzo girò il quadro, accese il motore e indossò il casco mentre la fissava.
Betta, irritata, scosse la testa, e si posizionò sulla sella.

Quel senso di collera e stizza non l'abbandonò per tutto il tragitto. Era sempre stata abile nel capire le persone. Le bastava veramente poco: a volte uno sguardo, altre un loro atteggiamento per rendersi conto di chi avesse di fronte. Il fatto che non fosse così semplice con lui la faceva sentire in soggezione.

Il ragazzo la accompagnò di fronte casa. Betta mollò la presa dagli addominali ben definiti del giovane, e tolse il casco ancor prima che la moto si fermasse del tutto. Glielo porse con fare veloce e, senza neanche salutarlo, entrò in casa sbattendo la porta alle sue spalle.

«Come è andata? Scoperto qualcosa?» chiese Amanda desiderosa di sapere.

La bionda seguiva Betta mentre attendeva una sua risposta, ma l'altra si fermò davanti alla sua stanza.

«Sì, ho scoperto che Alex è uno stronzo! Lui... lui... ha un carattere non compatibile con il mio!» urlò.

Sbarrò la porta e lasciò Amanda nel corridoio.

«Il pranzo è pronto...» la avvisò lei, poi sorrise, scosse la testa e cominciò a scendere le scale. «Aspettiamo solo te!» concluse a voce alta.

Dopo poco Betta si unì ai tre in cucina. Silenziosa e sovrappensiero rosicò un po' di pane.

«Non ti piacciono i maccheroni alla norma, coniglietta?» chiese Santo con il suo solito tono dolce.

«Non ho molta fame, ma li assaggio , zio...» rispose quasi con un bisbiglio. «Sono ottimi.»

Stella rimase a osservare la nipote per qualche secondo.

«C'è qualcosa che non va?»

La ragazza abbassò la forchetta e l'adagiò sul piatto. Sospirò.

«Non so cosa mi aspettassi, ma è stata una delusione, ho timore di non riuscire a scoprire mai nulla di utile sui miei genitori.»

Il silenzio calò nella stanza.

«So che non è quello che cerchi ma... hai noi» sussurrò lo zio con un sorriso affettuoso.

Betta stirò le labbra, ricambiando quel sorriso che le aveva baciato il cuore.

Persino Amanda, che non aveva alcun legame di sangue con quelle persone, si sentiva parte della famiglia e, come tale, si gettò al collo dell'amica. Le diede un bacio sulla guancia.

«Tirati su! Stasera dobbiamo andare all'Atmosfera».

«Non se ne parla proprio! Stasera io vado a letto presto, domani c'è scuola!» esclamò Betta sicura di sé.

Amanda fece un gran rumore lasciando andare la forchetta sul piatto.

«No, non puoi farmi questo. Stasera devi venire con me.» Agitò le mani come una bambina, strinse i denti e assottigliò gli occhi. «Proprio stasera ci sarà Giacomo, ho scoperto che è tornato dalla Germania stamani. Ti prego... Ti prego...»

Incrociò le dita di fronte il viso dell'amica. Biascicò le ultime parole per almeno dieci volte e seguitò finché la mora annuì.

«Va bene... Va bene... Basta, ho capito. Ci vengo. Ma chi è Giacomo?» domandò con le sopracciglia aggrottate.

«È il cugino di Giulia» rispose la bionda e un accesso rossore le colorò il viso. «Ha finito la scuola l'anno scorso e da allora si è trasferito in Germania per lavoro...»

Betta continuò a fissarla come se stesse aspettando la conclusione della frase.

«E niente... è tornato... non so se per restare o solo per una vacanza!»

Betta sospirò.

«Ok, ok... è il tuo ragazzo!» disse mentre prendeva l'ultimo maccheroncino per portarlo in bocca.

«Ovviamente sì...» affermò Amanda con tono pomposo. «Ma lui ancora non lo sa!» bisbigliò mentre chinava il viso verso il piatto.

Betta rigettò il boccone e sbuffò in una risata, seguita subito dopo dagli adulti.

Amanda, corrucciata, incrociò le braccia.

«Che c'è? Che ho detto di così strano?»

NON PIANGO MAIWhere stories live. Discover now