5. Una nuova Gianna

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«Coniglietta, sei pronta?» urlò Santo dal piano terra. «Ti aspettiamo in macchina» continuò appena la risposta della ragazza gli arrivò alle orecchie.

Betta si premurò a vestirsi e scese le scale di corsa; indossò il cappotto e uscì per salire in macchina.

«Una volta arrivati al centro vi porto a fare colazione, poi andremo a fare compere!» esclamò lo zio.

Stella sorrise e portò la mano sulla grossa pancia dell'uomo, prendendolo in giro.

«Zio, dovresti fare un po' di palestra» affermò la ragazza mentre seguitava a ridere.

«No, io ho già dato! Ormai sono vicino ai sessant'anni, per la pensione manca veramente poco, la mia unica palestra sarà aprire la bocca per mangiare le famose polpette di broccoli di zia!» disse lui accarezzandosi l'addome.

Uno sbuffo di risate diede il via a una giornata serena. Betta non era felice, perché per lei quel termine era scomparso lo stesso giorno in cui Speranza era morta, ma dopo mesi di agonia e sofferenza, stava riuscendo a ridere di gusto e a vivere una mattinata sgombra da brutti pensieri.

«Tesoro, se vuoi cercarti un lavoretto, sei libera di farlo, però non per ripagare noi. Tutto ciò che oggi compreremo sarà un nostro regalo» disse Stella.

Betta, che stava osservando il panorama dal finestrino, si voltò e incrociò lo sguardo della zia. Il loro sorriso confermava l'affetto che nutrivano l'una per l'altra.
«Non so se ho ancora voglia di scoprire qualcosa in più sulla mia famiglia naturale» affermò la giovane.

La sua frase significava tanto. Stava così bene con gli zii che non sentiva la necessità di scoprire le sue origini. Avrebbe potuto continuare la sua vita con loro e si sarebbe sentita abbastanza appagata da non voler sapere altro. Quelle parole fecero commuovere la zia che, nonostante cercasse di non farsi vedere, non riuscì a trattenere una lacrima.
Dentro il cuore di Betta, però, un grande vuoto era sempre presente: non era causato dalla mancanza di Speranza, o, perlomeno, non solo. C'era qualcosa che le impediva di sentirsi viva, una forte sensazione di "nulla" che non le permetteva di essere libera e che non l'abbandonava mai, nemmeno in quel momento di serenità con gli zii. Era diventata quasi scontata, un'abituale ospite nell'animo della ragazza, tanto normale da imparare a vivere lo stesso, ma come sospesa a metà.

«Domani potrai già presentarti a scuola. Stamani, prima di uscire, ho parlato al telefono con Ignazio. La prassi è un po' lunga per farti inserire un mese dopo l'inizio delle lezioni ma, come ti avevo detto, mi doveva un favore. Sistemeremo tutto nel frattempo» dichiarò Santo orgoglioso.

Stella non si espresse, ma era quasi sollevata nel sentire quel discorso. Il fatto che il marito si fosse tanto impegnato affinché la nipote potesse proseguire gli studi, indicava la certezza che sarebbe rimasta con loro. Betta sorrise mentre ancora guardava il magnifico paesaggio in movimento.

Dopo circa mezz'ora, l'uomo accostò.
«Bene: pancia mia, fatti capanna!» esclamò appena chiuse lo sportello dell'auto dietro di sé.

Le due che erano in macchina scesero senza smettere di ridere e lo seguirono all'interno del bar.

«Signor Zaffiro, è tornato a trovarci! Che bello rivederla! Affascinante come sempre!» affermò la cameriera adagiando i menù sul tavolino.

«Un tempo mi chiamavi zio, ti sembro troppo vecchio adesso?»

Betta era perplessa e guardava la ragazza dal grembiule nero con aria di sfida. Provava quasi gelosia per quell'uomo che tanto adorava. La giovane dai biondissimi capelli lunghi, avvolti da un fiocco rosso, la osservò invece con una espressione dolce e compiaciuta.

«Buongiorno, piccola Amanda!» esclamò Stella con gioia.

«Zietta! Sono così felice che ci sia anche tu!» urlò la cameriera abbracciando la donna.

Betta continuava a osservare la scena con una sensazione che non provava da tempo. "Chi diavolo è questa che chiama così MIA zia?" pensò.

«Stella, continui a definirla piccola anche adesso che è maggiorenne!» esclamò l'uomo dando sfogo alle sue fossette.

«Coniglietta, lei è Amanda, la bambina a cui la zia ha fatto da baby-sitter per tanti anni, ricordi? Quando sei venuta a Milano avete giocato insieme.»

Betta assottigliò gli occhi, fermando il suo sguardo sul viso della ragazza. Lei ancora aveva stampato il sorriso in faccia. I suoi occhi, tanto azzurri quanto penetranti, le ricordarono gli anni in cui la zia le faceva spesso incontrare.
Il viso di Betta si illuminò, sorrise e si alzò in piedi.
«Oh mio Dio, Amanda! Non posso crederci!»
Le due si scambiarono un lungo abbraccio.
«Non ci vediamo da una vita, eravamo così piccole l'ultima volta!» esclamò infine la bionda.

«Forse dodici anni? Tua zia mi ha praticamente cresciuta! Anche se poi io entrai alle scuole medie e fu allora che mia madre decise che ero già abbastanza grande e che non avevo più bisogno di una baby-sitter. Ma zietta è rimasta sempre nel mio cuore!»

«È un piacere rivederti, Amanda» disse Betta tornando a sedere.

«Cosa vi porto?»

Santo iniziò a elencare svariati tipi di cornetti, biscotti al burro, caffè e tè. Le donne si scambiarono un’altra occhiata,  poi scoppiarono in una fragorosa risata.

Dopo aver fatto colazione i tre salutarono Amanda e si diressero verso il negozio che si trovava proprio accanto al bar. Betta si sentì per un attimo come nel film Pretty woman: ovunque entrassero, gli zii acquistavano per lei montagne di vestiti. «Santo cielo, zia! Continuando così non entreranno nemmeno in auto!» esclamò la giovane.

«Tesoro, queste sono le cose essenziali!  Sei venuta senza neanche un cambio di mutandine...» farfugliò la zia mentre continuava a mettere indumenti sul banco della cassa. «Ma dove diavolo è tuo zio? Manca da almeno dieci minuti e a me serve lui per caricare tutto in macchina!»

«Eccomi!» urlò Santo con in mano una busta chiusa.

Finalmente quello shopping compulsivo era finito e Betta poté rilassarsi  durante il viaggio di ritorno.
«Quel locale è molto elegante, mi ha ricordato un po' un lounge bar di Catania» ammise Betta.

«Sì, il proprietario è siciliano, siamo amici da vent'anni. Ho fatto assumere io Amanda. È evidente che ho una certa aura a cui nessuno è indifferente» rispose Santo.

«La tua modestia commuove, amore!» ironizzò Stella.

«Ultimamente ha restaurato il locale» continuò lui, ignorando la moglie. «Prima era una catapecchia. È enorme e i mobili chiari danno massima luce. Il bancone lucido poi... un tocco di classe. Di sera accende i raggi di luce che partono dal centro del soffitto e si diramano in tutta la sala».

«Di sera?» chiese la ragazza curiosa.

«Sì, i ragazzi fanno i turni, il locale è aperto ventiquattro ore al giorno» rispose la zia.

La chiacchierata fu così interessante che Betta non si accorse del tempo trascorso e in un attimo erano già nel garage di casa.
Le donne portarono dentro i pacchi e iniziarono a sistemare i vestiti nell'armadio della ragazza.
Mancava solo una busta da aprire.

«Che cos'è?» domandò Betta.

La zia alzò le spalle e aggrottò la fronte.
«È un regalo per te, aprilo» ordinò Santo, che nel frattempo le aveva raggiunte.

Betta, come una bambina, fece schioccare le mani e saltellò. Strappò la borsetta di carta, prese il contenuto in mano e lo portò all'altezza del viso. Incredula, rimase con le labbra aperte.

«So che non è Gianna, ha un vestitino diverso ma il viso sembra uguale» sussurrò l'uomo con dolcezza.

Betta si voltò verso lo zio e, senza battere ciglio, lo abbracciò.

«Dovevo trovarla! Non posso continuare a dormire senza mia moglie!», esclamò lui, tra le risate di tutti.



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