Paura

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Commissario

«No! No! Ce la siamo fatta scappare!» urlo ai miei colleghi. Sono fuori di me dalla rabbia: vorrei sprofondare, gridare come un ossesso e prendere a pugni qualcosa  - o qualcuno.-  Invece devo sforzarmi di restare lucido; devo ricompormi, fare mente locale e agire di conseguenza. Non è giusto, non può finire così! Devo rimettermi al lavoro, anche se questo potrebbe tradursi nel mio licenziamento definitivo. Noto le facce da funerale dei miei colleghi, intuisco che anche loro sono affranti come me. A prescindere da tutto ciò, non mi voglio arrendere: ci sarà pure un modo per arrestare quella criminale.

Sì, ce la faremo, me lo sento. Per il momento non posso che abbozzare, non mi resta che fare ritorno in questura. Qui non ho più niente da fare. Appena rimetto piede nell'edificio che mi ha visto per anni protagonista di numerose indagini, vengo di nuovo convocato dal capo in persona. Forse stavolta ha intenzione di cacciarmi, in fondo non avrebbe tutti i torti; dopo tutto, ho agito scorrettamente, infrangendo le regole.

Serro i pugni per reprimere il nervosismo e il turbamento che mi affliggono. In realtà, sono davvero furibondo e vorrei spaccare tutto! Entro nell'ufficio del comandante: lui è in piedi e mi stava aspettando. Per fortuna sospira con aria tutto sommato sollevata. «Prego, si accomodi, commissario! Ho una bella notizia per lei: ho deciso -  farò uno strappo alle regole anch'io - di reintegrarla e riaffidarle il caso che stava seguendo. Si, lo so, lei ha violato il regolamento, ma la realtà dei fatti è che senza di lei questa vicenda resterebbe irrisolta. Non so come dirglielo, il  punto è  che noi abbiamo bisogno di lei.»  Mi dice tutte queste cose senza guardarmi in faccia.

Stranamente, si rivolge a me dandomi del lei: è  una cosa che non aveva mai fatto prima. Sono comunque soddisfatto, se non altro ho riottenuto il caso. Garbatamente ringrazio il mio superiore e lascio la stanza. Chiamo tutti i miei colleghi e insieme raggiungiamo  il mio studio. «Ascoltatemi bene! Da oggi guiderò io tutte le operazioni. Dobbiamo bloccare tutte le arterie stradali che portano fuori Parigi, anche l’aeroporto e i treni. Mi avete capito bene?» Quasi sbraito, come se fosse tutta colpa loro;  in realtà la colpa è un po' di tutti quanti. «Vi chiedo scusa per il mio tono di voce, è  che sono molto preoccupato! Se non dovessimo rintracciare la ricercata, per me sarebbe uno smacco insopportabile. Forza, mettiamoci al lavoro!»  Finalmente sono più calmo e sereno. Guardo tutti con un sorriso di gratitudine, sono molto contento che i colleghi mi stiano aiutando. «Va bene, commissario! A nome di tutti, sappia che siamo dalla sua parte!» mi dice Sasha.

Ne sono felice, lei - come sempre - mi ha compreso al volo. Da adesso in poi, io e i colleghi saremo una vera e propria squadra, il cui obbiettivo prioritario sarà quello di assicurare alla giustizia la fuggitiva. Mentre esco dal mio ufficio, mi squilla il cellulare: è un numero sconosciuto, di conseguenza indugio prima di rispondere; alla fine, vista l’insistenza della suoneria, decido di prendere la chiamata, sia pure controvoglia. «Pronto?» chiedo, in tono lievemente timoroso. «Commissario, sono io, Carola!» Dalla voce capisco che Carola è insolitamente allarmata; non mi preoccupo neppure di chiederle come abbia ottenuto il mio numero di telefono.

Quello che più mi preoccupa è il suo tono di voce decisamente impaurito. «Dimmi tutto, Carola!»  «Sono tornata a casa e Sara non c’era. Lì  per lì  ho pensato che fosse andata a fare un giro, ma poi  ho notato che non si era messa le scarpe. Lei, ogni volta che decide di andare da qualche parte, si toglie sempre le ciabatte. Stavolta, invece, no. Ho paura che le sia successo qualcosa!» conclude scoppiando a piangere.

Non so come dirle che la pazza è riuscita a sfuggirci... abbozzo un tentativo. «Carola, ascoltami bene, per favore: la tua ex amica è scappata. Pensi che possa essere stata lei a rapire Sara?» Le mie parole hanno un effetto strano su Carola: la sento piangere, e a quel punto voglio solo riuscire a calmarla. «Carola, ti prego, non angosciarti, ti aiuteremo noi a cercare quella delinquente! Ti prometto che la prenderemo!» la rassicuro. «No, che non mi calmo! Lo avevate detto anche l’altra volta, e poi ve la siete fatta scappare! Siete degli imbranati, peggio, degli incompetenti! Non mi fido più di voi!» mi urla contro, arrabbiatissima. Come darle torto?  Provvederò a fare un sopralluogo a casa sua, per vedere se  sussiste almeno un piccolo indizio.

Il nodo dal passato Where stories live. Discover now