Mezzosangue

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Così dovetti raccontarle tutto di me e di come avevo trascorso la mia infanzia. Partii dalle lettere cangianti e l'amicizia con Graveyard e Darkness, fino ad arrivare al rapporto con mio padre e al perché le mie vene pulsavano. D'altronde anche lei, a volte, riusciva a distinguere in me tratti tipici degli umani: ora ne avrebbe scoperto il motivo.

- Sono mezzosangue. - Mi studiai i palmi delle mani. Non erano feriti come le nocche, ma anche le loro pieghette sembravano segnetti che la vita mi aveva inciso addosso per rimproverarmi. - E credo che per questo non sarò mai né un buon cimiteriale né un buon terrestre.

Feci un lungo sospiro. A quel punto dovetti parlarle anche della notte in cui la mia vita era cambiata, o meglio, in cui avevo capito che la mia vita sarebbe stata diversa da quella di tutti gli altri cimiteriali.

Era il 31 ottobre. Si stava svolgendo la cerimonia di maturità dei cimiteriali, che si celebrava all'età di quattordici anni. Mentre aspettavo il mio turno la mano di papà, posata sulla mia spalla, diventava sempre più pesante. La responsabilità cresceva e cresceva, mi schiacciava: non ero più un bambino. Non potevo tirarmi indietro dal mio dovere.

La folla si era radunata di fronte all'altare e,con il suo silenzio creava un'atmosfera solenne: da lontano assomigliava a una macchia nera, come uno stormo di corvi col capo chinato.

C'era una scalinata, laggiù, del colore grigio e opaco della polvere, del terreno quando è stato calpestato da generazioni e generazioni di cimiteriali: i gradini erano rovinati, come se un tarlo avesse mangiucchiato la loro pietra.

Conduceva a un piano superiore, ma superiore non solo per una questione di altezza: sembrava che il mondo fosse stratificato e sopra ai gradini si trovasse un grado più vicino al cielo, dove una luce biancastra e divina sfiorava gli oggetti.

Papà mi consegnò a un uomo che portava un lungo mantello nero. La sua testa era coperta dal cappuccio. Mi prese per un braccio e guidò fino alla scala. -Inginocchiati. - sussurrò tra i denti.

Sbirciai i suoi occhi: splendevano nelle tenebre come due piccoli pianeti. In onore di questa data veniva data la possibilità alle anime di alcuni defunti di entrare nel corpo di un cimiteriale e gestire la cerimonia, per simboleggiare la fiducia che riponevano in noi, le creature incaricate di realizzare i loro desideri. Lui era uno di questi spiriti.

Mi inginnochiai sul secondo scalino.

Vicino al muro ormai a pezzi, che lasciava macerie sparse in giro, si innalzavano delle colonne di grandi dimensioni. Di fronte alla scalinata, in alto, si trovava una specie di porta che segnava l'ingresso in un altro spazio aperto: la sua parte più alta aveva una forma circolare e abbracciava la luna.

La luna era il simbolo di Dio, perché se il sole indicava il giorno e la vita, la luna indicava la morte. Allo stesso tempo, tuttavia, continuava a risorgere e illuminare il buio, spezzare le tenebre, dando così un messaggio di speranza.

Mi guardava con i suoi crateri, tra sprazzi di nuvole color cenere distribuite qua e là: si era posizionato proprio sul mio stesso piano, per sprofondarmi negli occhi e disarmarmi da ogni finzione. Non ero adatto: era questo ciò che mi avrebbe detto. Avrebbe capito che fingevo di essere altruista e buono, ma non lo ero.

Sembrava vicina, vicinissima, ed era immensa. Tremai. Non potevo mentire. Non potevo fuggire.

Provai ad abbassare lo sguardo, ma una forza misteriosa mi sollevò il mento e mi costrinse a osservarla ancora, ancora e ancora... Fino a rimanere incantato, fino a non riuscire più a vederla. Mi trovai circondato da una nebbia candida, o forse una strana schiuma sospesa in aria.

Il giovane dei desideri irrealizzatiWhere stories live. Discover now