Mille urla nella testa

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Graveyard era appoggiato con la schiena al muro, in angolo appartato davanti a scuola.

Era proprio vicino all'ingresso laterale dell'aula di arte: di fianco a lui si innalzava il grande albero che avevamo torturato con le nostre incisioni sulla corteggia. Anche le nostre palle da calcio lo decoravano come addobbi natalizi: ogni volta finivano tra i suoi rami più alti e non riuscivamo mai a tirarle giù. Certo, i gemelli si davano da fare anche in arrampicata, ma nemmeno loro arrivavano così in cima. Adesso i rami erano piegati verso il basso, spogli e irrigiditi dal freddo, ma creavano comunque una zona circolare di ombra sotto cui si era rifugiato Graveyard, come un vampiro insofferente alla luce.

Aveva la testa china e il cappuccio della felpa sulla testa: solo il naso punteggiato da lentiggini e il ciuffo dispettoso facevano capolino. Stringeva i pugni e faceva emergere i muscoli e i ricami delle vene, che spingevano contro la pelle e sembravano voler uscire.

Mi feci largo tra la folla di studenti, tirando gomitate a destra e a sinistra.

-Che modi sono, Cassandra?!

-Come ti permetti?!

Non badai alle voci indispettite che si confondevano alle mie spalle e proseguii, ma Graveyard mi notò e cominciò a scappare, prima con rapide falcate e poi di corsa. Si diresse verso il retro dell'istituto. Lo inseguii. "Questo comportamento non mi piace! Chissà in quali guai si è cacciato..."

-Graveyard, fermati. - urlai. -Devi spiegarmi tutto, non racconterò niente a Burald!

-Non posso.

Procedeva con estrema velocità, ma non aveva fiato neppure per rispondere. Tra poco sarei riuscita a fermarlo.

-Ma non dirò niente a nessuno, senza il tuo permesso. Te lo giuro!

Inciampò nelle radici di un altro albero e tirò un urlo, agitando le braccia in aria e lottando contro la possibilità di cadere. "È sempre il solito!" Lo raggiunsi e, evitandogli una brusca caduta, lo spinsi forte contro la parete. Mentre sbatteva contro il muro, il cappuccio gli scivolò giù dalla testa e gli scoprì il viso: era pallido, con le sopracciglia avvicinate e gli occhi marroni diventati all'improvviso enormi. Ansimava. Aveva le guance scavate dalle occhiaie.

Un piccolo tratto della sua clavicola venne alla luce e mi permise di vedere un tatuaggio stampato sotto al suo collo: si trattava di tre corvi neri, in volo nel cielo candido della sua pelle. Ma il disegno era circondato da un alone rosso e in alcuni tratti più scuro, tendente al viola o al bluastro, che faceva pensare a un livido. Allungai le dita per sfiorarlo: la sua pelle in quel punto era anche un po' gonfia. Di ritrasse con un gemito. Doveva fargli male, a giudicare dalla sua espressione strizzata dal dolore. Ehi, ma... Burald mi aveva spiegato che il loro Dio li puniva attraverso i tatuaggi! Eppure questi erano così diversi...

- Quelli cosa sono? - Le mie narici erano dilatate. Mi formicolavano le braccia. -Non ce li hai mai avuti. Quando sono comparsi?

Deglutì. -Non importa, Cassandra.

La palpebra gli sbatté più volte, allora abbassò lo sguardo e finse di concentrarsi sui suoi piedi.

-Si, invece. - Avvampai. Burald non si meritava anche questo tradimento. -Sì, invece, importa eccome! Fino alla settimana scorsa non c'erano, ne sono sicura.

A un tratto mi prese i polsi, mi scansò e si liberò dalla mia presa, si assicurò con un'occhiata che nessuno avesse assistito alla scena e fuggì prima che avessi il tempo di reagire. Rimasi con le labbra dischiuse per la sorpresa: nel petto mi cresceva un peso strano, mentre il cuore mi si stringeva in una morsa.

Il giovane dei desideri irrealizzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora