Dolceamaro

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Cassie voleva molto bene a Diamond: lo capivo dal modo in cui mi guardava quando parlavamo di lui, con gli occhi sgranati e lucidi, lo capivo dal modo in cui mi stringeva la mano se le dicevo che in quel momento lui stava parlando nella mia testa, lo capivo dalla maniera in cui era tranquilla e spensierata, perché ora sapeva che lui era sempre con lei, attraverso di me. Forse Cassie aveva paura che io stessi con lei solo perché era il mio lavoro, ma io, io... E se non fossi stato un buon tramite? E se non fossi stato la persona giusta a collegarli? Insomma, il mio rapporto con Diamond era sempre stato complicato.

Da piccolo facevamo spesso cose insieme, ci confidavamo l'un l'altro, insieme ci divertivamo ma pensavamo anche a quanto ci sarebbe piaciuto essere più liberi. Io lo facevo con l'innocenza di un bambino, lui lo faceva con tutto il peso delle sue vite precedenti sulle spalle. Perchè invece io non ricordavo niente?

Ma il punto non era quello. Dopo che lui se ne fu andato, io iniziai a rimuginare e rimuginare... Perchè non mi aveva mai chiesto se volevo scappare con lui? Se pensava che quella vita fosse inaccettabile, perché non aveva cercato di salvare anche me?

Nel frattempo che pensavo e pensavo, il tempo passava e io crescevo. Ma perché ero rimasto in quel regno? Forse la colpa non era di Diamond, forse la colpa era mia: non riuscivo a decidermi, non sapevo se credere a lui o agli altri cimiteriali. Papà mi ripeteva sempre che dovevo impegnarmi a realizzare i desideri e che la nostra specie era buona e faceva solo cose belle.

Però se fossi stato al posto di Diamond, se durante il rito l'anima di Maria fosse entrata in me... Adesso sarei stato libero e felice. Se solo avessi preso la tomba ascensore e non fossi tornato mai più... Ma io non ero Diamond, dannazione.

Ogni tanto adesso sprofondavo nei ricordi, e mi pesavano nel cuore proprio come le vite passate pesavano in quello di Diamond. Come per esempio quella sera in cui...

Tirai un pugno al cuscino e la mia mano affondò nel materiale morbido e deformato. Ripetei l'azione, poi ancora, ancora, ancora e ancora, fino a crollare distrutto. Avevo il respiro affannato, ma non trovavo nemmeno una ragione per smettere. Forse il cuscino si sarebbe arrabbiato? Non importava, visto che traslocavamo ogni volta che papà cambiava incarico, e quindi molto di frequente.

A proposito, eccolo... Arrivò nella stanza e io mi sedetti sul letto. "Perché torna solo la sera? Perché dedica più tempo ai morti che a me? Cos'ha fatto oggi? Non ci capisco nulla di questo mestiere!" Un buco nero di dubbi m'inghiottiva, ma non gli domandai nulla. I miei pensieri si mischiarono alle voci dei defunti che avevo in testa.

-Papà, è normale che io provi invidia per qualcuno?

Lui prese a infilarsi e sfilarsi gli anelli sopra cui erano incise le iniziali del mio nome e quelle degli spiriti di cui era riuscito a realizzare i desideri. -No, Burald, non è normale. Sai, io credo che la ragione di questo sentimento negativo sia tua madre... - Mi posò una mano sulla spalla. Aveva le labbra socchiuse, come se avesse dovuto dire anche qualcos'altro, ma non lo fece.

-Papà, vai avanti, mia madre...?

-No Burald, lascia stare. Non ha importanza.

-Invece sì che ne ha! Voglio sapere chi è mia madre.

Glielo avevo chiesto tante volte, ma lui non mi aveva mai risposto. Quella sera però mi si accese una miccia dentro: dovevo dire basta alle solite cose sbagliate, a quei fatti che si ripetevano sempre uguali ma allo stesso tempo sempre più strazianti. Resi il mio sguardo più affilato. -Non puoi rimandare anche stasera, papà. Spiegami tutto.

Lui assunse una posizione più rigida. Il suo sguardo diventò all'improvviso più duro, la sua mascella uno spigolo tagliente. -È una terrestre.

Il giovane dei desideri irrealizzatiWhere stories live. Discover now