Ferite inguaribili

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Un altro passo. Un altro maledetto passo. Ma il suo battito risuonava anche nel mio, il suo battito mi picchiava sulle tempie e contro le costole. Iniziai a correre lungo la strada, allontanandomi dal cimitero. Corsi come una pazza, con le gambe mosse dalla smania di fuggire, il cuore che mi rimbalzava nel petto e il fiato corto. Dovevo porre fine a tutto questo il prima possibile: la mia corsa era un tentativo disperato di tagliare il tempo, di spezzarlo, di calpestarlo mentre scappavo sempre più lontano.

Le sue labbra strette, i suoi pugni chiusi e le nocche bianche come porcellana scheggiata, il suo sguardo ferito, i suoi occhi pieni di crepe. Erano un mosaico di frammenti che stava per esplodere.

Tenevo le mani in tasca, e quella destra stretta attorno al biglietto del treno che avrei preso mezz'ora dopo. Io avevo scheggiato Burald. Gli avevo fatto male.

Tum. Tum. Tum. Il suo battito era caldo, il suo battito era un tocco leggero che faceva l'effetto di un abbraccio. Ma il suo battito sussurrava, sibilava con disprezzo e poi mi urlava contro. Lo avevo cambiato, lo avevo reso umano, forse lo avevo modellato come un giocattolo tra le mie mani, e ora lo stavo gettando via, come una bambina annoiata che ne voleva uno nuovo. Era questo che pensava?

Tum. Tum. Tum. E se si fosse fatto del male? E se i pugni che tirava alle porte si fossero trasformati in qualcosa di più grave? E se, e se... E se avesse tentato di fare come Diamond? E se lo avessero punito? E se lo avessero bruciato vivo? E se Burald si fosse messo nei guai di proposito? Se lo avesse fatto apposta, solo per farmi tornare, per farmi sentire in colpa? E se...?

Mi bloccai di colpo. Presi il biglietto e lo strappai in mille pezzi, poi lo lanciai in mezzo alla strada in modo che le automobili ci passassero sopra e lo distruggessero ancora di più. Ricominciai a correre, ma questa volta nella direzione inversa, verso di lui, perché non era troppo tardi. Non era troppo tardi per trovare una soluzione, qualsiasi altra soluzione, qualsiasi cosa che non significasse piantargli un coltello nel petto e lasciarlo morire dissanguato, proprio come aveva detto lui prima che me ne andassi.

- Burald! - gridai. La mia voce risuonò nel cimitero. Vuoto. Vuoto come un'enorme tomba piena di ossa in decomposizione. - Burald, io ci ho ripensato, Burald, io... Ho deciso: non me ne vado. Non posso. Hai ragione, sarebbe stupido, sarebbe...

Rabbrividii. Le lacrime sul mio viso erano acqua gelida che attirava un vento di ghiaccio. Ma di lui non c'era più traccia. Spalancai di scatto la porta della cappella dove ci rifugiavamo di solito ed entrai. Non c'era. Ne provai un'altra a caso. Non c'era. Il mio respiro si affannò.

-Dove diamine sei? Te ne sei andato così in fretta... - Strinsi i denti. - Non a fare sciocchezze, spero.

Camminai ancora lungo il porticato, e ancora non lo trovai, ancora ansimai e agitai la testa. Iniziai a piangere di nuovo. - Se solo ci avessi pensato prima...

Capitai di fronte a un'altra cappella. Mi si mozzò il fiato in gola. Tra le decorazioni di ferro avrebbe dovuto esserci un vetro, invece era frantumato in un tappeto di schegge sul pavimento.

"Maledizione, maledizione, Burald..." Entrai di corsa, senza respirare, e mi precipitai da lui. Era accovacciato sul pavimento e si teneva la testa tra le mani, con le dita ricurve come arpini che si aggrappavano alle ciocche di capelli e le stringevano, le tiravano... Gli avambracci costituivano una barriera tra la sua faccia e il mondo esterno, ma il sangue delle mani scendeva in lunghi sentieri anche su di loro e gli colava sulle guance. Sembrava che piangesse lacrime di fuoco.

Aveva spezzato il vetro con i suoi pugni, e non si era fermato fino a quando il bruciore dei tagli era diventato insopportabile. Era andata così. Di sicuro.

Il giovane dei desideri irrealizzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora