9. In lista

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«Jacopo è in lista.»

Ad Anna sfuggì un sorriso malinconico.

"Peccato che non si tratti dell'ingresso a una discoteca, avrebbe fatto i salti di gioia."

Invece stava così, a mezza via tra la vita e la morte, appeso a un filo di speranza, a una flebo e a un catetere, e l'unica certezza era che di salti non ne avrebbe più fatti, anche se si fosse svegliato.

«Appena si libera un posto ci chiamano.»

«Non potete proprio tenerlo qui?»

«Ne abbiamo già parlato, anche con suo marito. Qui non c'è molto che possiamo fare per lui.»

Il medico era lo stesso che aveva dimesso Mirko; gentile e schietto, diceva le cose come stavano: «Non sta migliorando».

«Neanche peggiorando.»

Anna sapeva che non era una buona notizia, ma aveva bisogno d'un qualsiasi appiglio pur di non crollare.

«È una bella struttura, sono molto competenti.»

«Lo so, dottore, è quella in cui sta la nonna. Spero solo che mi facciano restare insieme a lui; non voglio lasciarlo da solo in mezzo a estranei.»

Dal giorno dell'incidente, Anna non era più tornata a casa. Si allontanava dal capezzale di Jacopo solo quando gli infermieri si occupavano della sua igiene personale e di medicargli le ferite, restando sempre in zona, «Così se mi cerca torno subito da lui».

Erano brevi momenti in cui approfittava per fare una passeggiata all'aperto, fumare una sigaretta e chiamare gli altri suoi figli per assicurarsi che stessero bene.

Anche quella mattina, dopo aver parlato col medico, e prima che arrivasse Sergio, uscì a prendere una boccata d'aria, che si sentiva asfissiare nel caldo dell'ospedale.

Il cielo era parzialmente coperto da qualche nuvola passeggera; la temperatura era mite, ma l'umidità la faceva sembrare più fredda. Scelse una panchina al sole, perché non aveva molta voglia di camminare; si sentiva slombata, forse perché non aveva fatto colazione, o perché cominciava a realizzare l'eventualità, sempre più concreta, che Jacopo non si svegliasse più.

Prese il cellulare dalla borsetta blu che le aveva regalato Myriam, e svolse il suo rito mattutino, l'unico che le desse ancora dei picchetti a cui poggiarsi.

Per primo chiamò Thomas, che stava studiando per la tesi; contava di laurearsi entro l'estate e di fare una bella festa, con tanti giochi: il tiro alla fune, la corsa dei sacchi, il rubabandiera.

«Lo so che a Jajo non piacciono; lui potrà fare l'arbitro.»

Per secondo chiamò Nicolas, il quale la teneva aggiornata sul raccolto di cavoli, zucche, e spinaci.

«Pensavo di fare una bella zuppa come piace a Jajo e surgelarla per quando torna a casa.»

Si chiese se si rendessero conto della gravità delle condizioni di Jacopo; lei e Sergio avevano deciso di rimandare il discorso al giorno in cui sarebbe stato trasferito; per il momento, li ragguagliavano circa l'emocromo, la saturazione, la pressione arteriosa, le ferite che aveva sul costato, senza alcun riferimento diretto o indiretto alle gambe.

Per ultimo chiamò Mirko, che rispondeva sempre più stringato alle sue domande, senza mai chiedere del fratello, e sembrava aver fretta di riagganciare, quando lei avrebbe voluto dirgli tante cose. Si sentiva terribilmente in colpa per quel suo cucciolo lasciato a se stesso, in balìa dei suoi stessi sensi di colpa, e sperava che tra il padre e i fratelli trovasse navi sicure per tornare in porto. Si raccomandava loro di stargli vicini, non sapendo che Nicolas la comprendeva bene la tribolazione di Mirko, perché n'era rimasto soggiogato anche lui, dopo l'incidente di Thomas, "Anche se io di colpe ne ho davvero, e Mirko no". Le aveva promesso che l'avrebbe guardato a vista e così stava facendo.

PRANZO DI FAMIGLIA - RomanzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora