8. 'Tutto qui?'

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Il portone era aperto. Thomas sarebbe voluto arrivare per primo. Aveva implorato Nicolas:«Sbrigati, fratellone!», ma tutte le auto circolanti nella regione erano affluite agli incroci che dovevano oltrepassare loro, con i semafori immancabilmente rossi.

Inspirò lentamente, restò in apnea contando fino a venti, poi, altrettanto lentamente, espirò. A occhi chiusi, con la testa reclinata all'indietro e le mani che scivolavano in su e in giù lungo i fianchi graffiando i jeans, lo fece per tre volte. Dopodiché, si stampò sulle labbra un sorriso di circostanza ed entrò, scortato da Nicolas e William.


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Alex, che non s'aspettava di vederlo "Né ora, né mai più", dissimulò la sorpresa con un «Ciao» generico e abbassandosi a slacciare e riallacciare le stringhe delle scarpe pure se non erano sciolte. 

I Cipì gli risposero in coro.

"Tutto qui? Come se niente fosse?"

Thomas accordò la kora, i fratelli fecero altrettanto con i loro strumenti. Forse davvero non era successo nulla, ed erano loro quattro, ognuno nella sua testa, a ingigantire il mostro senza volto e senza nome che faceva digrignare i denti fino al bruxismo.

"Sì, deve essere così, non è successo niente."

Thomas strimpellò qualche ritornello.

"Sì, sì. Credici."

Non avevano, non trovarono, o non vollero trovare argomenti di conversazione. Al Via di Alex, cominciarono a suonare.

Rispetto all'ultima volta, Nicolas e William ci misero un po' più di sentimento, che i loro sentimenti erano importanti, ma ancora di più lo era comunicare con le canzoni ciò per cui erano state scritte. Dopotutto, "Il lavoro è lavoro e i problemi ne rimangano fuori. Almeno finché Thomas resta in piedi".

Nicolas, che era il più teso di tutti, per un paio d'ore riuscì a non pensare ad altro che alla musica.

Alex e Thomas si finsero concentrati nel suonare e cantare, guardandosi ogni minuto o due. Quel progetto era troppo importante per rovinarlo a causa d'un bacio, quattro carezze, poche parole fuori luogo.


Dopo le prove o dopo un'esibizione, da solo, in cucina, Thomas pensava ad Alex, alle sue mani su di sé, ai suoi occhi languidi.

"Ci avevo quasi creduto!"

Si grattava il naso chiedendosi se ce l'avrebbe potuta fare, questa volta, ad andare avanti.

"Forse sì."

Le zampine di ragno gli camminavano sul dorso.

"O forse no."

Sospirava. Apriva il frigo e trovava conforto nella Crema di nocciole della qualità Tonda Romana Gentile della Tuscia che si faceva mandare Linda da Caprarola.

"Meglio così; se non ci fosse stato di mezzo un contratto, avrei fatto perdere le mie tracce in un battibaleno."

A volte crederci è più impegnativo e spaventoso del vuoto affettivo.


Dopo le prove o dopo uno spettacolo, ovunque fosse, Alex pensava a lui.

"Dove, cosa, ho sbagliato?"

Si rivedeva su quel divano, ad accarezzare Thomas, che non lo respingeva. Ne assaggiava la pelle del collo, le palpebre, le labbra.  Era tutto così "Banalmente bello, semplicemente magico".  Scorrevole, come doveva essere, come desiderava che fosse.

Ascoltava la sua stessa voce ribadire con significanti diversi lo stesso significato: 

«Siamo simili, io e te, abbiamo molto in comune; insieme arriveremo lontano, posso portarvi lontano. Una mia parola, e avrete la mia stessa fama, anche di più». 

Una mano, da sotto la camicia bianca a righine azzurre, scendeva giù, dove s'intravedeva un lieve rigonfiamento.

Riempiva il silenzio di promesse. Thomas rispondeva mollemente ai suoi baci. La musica, la luce, rendevano tutto così concreto, eppure Alex stentava a credere che Thomas fosse lì, nel suo soggiorno, sul suo divano, così vicino, tangibile, odoroso di muschio e sudore dolciastro. Il suo stupore era tale, e la sua gioia anche, che non si sarebbe meravigliato di sentire suonare le campanelle della slitta di Babbo Natale mentre scartava il regalo tanto desiderato.

Poi, a un tratto, Thomas, terreo, sgusciava dalle sue mani e si alzava, barbugliando una frase che Alex non comprendeva. Ammutolito, lo vedeva prendere il giubbetto piegato s'una sedia e aprire la porta di casa.

«No, aspetta, io-»

La porta si richiudeva sulla sua voce. Thomas se n'era andato, lasciandolo inebetito, col cuore che batteva all'impazzata, le guance arrossate, le arterie cavernose che si andavano ricolmando di sangue, il respiro accelerato che bruciava le labbra.

Si strologava su ciò ch'era accaduto prima e dopo, e continuava a non comprendere. 

Quelle parole dissonanti! Più le ripeteva, più perdevano suono e significato, risultando atone, vuote, scarnificate:

«NON SONO IN VENDITA. Non sono in vendita. Non sono in vendita. VENDITA. Vendita. Vendita.».


I giorni passavano, le mattine, i pomeriggi, le sere. Poi le notti, a guardare il muro, o fuori dalla finestra, a fingere di leggere un libro o di seguire uno sketch alla tv. A pensare, sempre, ogni istante, a quella cena.

Thomas pensava ad Alex, mentre cercava di non pensarci. William e Nicolas facevano muro. Col rospo che saltellava nel piloro, arrivava con loro e con loro se ne andava, senza che i due fratelli lo lasciassero un attimo da solo.

"Così vicino, così irraggiungibile."

A volte Alex si distraeva, chiedeva scusa, facevano una pausa e riprendevano. 

Alla sera, solo al buio nella sua stanza, ripeteva un rito tutto suo, sperando di poter cambiare le cose. Come in sogno, riviveva i diversi momenti della cena e ripensava a frasi e gesti, aggiustando un movimento qui, una parola qua, rosicchiando le unghie d'una mano e l'altra sempre là, dove avrebbe voluto la mano di Thomas o, forse, anche, la sua bocca.


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*Facciamo due chiacchiere?!*

Ora sappiamo perché Thomas è "fuggito" da Alex. Cosa ve ne pare della sua reazione? La condividete? O la trovate esagerata? 

Fatemi conoscere le vostre impressioni, ormai sapete quanto sono importanti per me.

PRANZO DI FAMIGLIA - RomanzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora