4. I dubbi di William

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Rossella si congratulò con loro, ma il tremolio all'occhio sinistro di William, che compariva prima d'un esame, quando era studente, stemperò la sua festosità.

L'avevo notato anch'io, un assolato pomeriggio in cui la temperatura superava i venti gradi all'ombra e c'eravamo messi fuori a prendere il fresco.

Tra tutti, William era quello che non m'aveva mai dato pensieri, il che a volte mi faceva pensare.

Solare e pacioso, è il classico bravo ragazzo. Amico di tutti, separa i litiganti in una rissa e ci finisce a bere una birra insieme. Bei voti a scuola, passione per il tennis, la musica e la sua ragazza.

Sin da piccolo, s'è prefissato degli obiettivi e li ha perseguiti con risolutezza. Prendere dieci in matematica. Vincere la prossima partita. Sposare Rossella: 

"Piccole mani, lentiggini sul naso, quel modo di dire 'Ti amo', che lumeggiano tutto l'universo".

 L'aveva scritto sul diario, il terzo anno del liceo. 

Di dieci e di trofei ne aveva collezionati parecchi e il matrimonio era prossimo. A William sarebbe bastato per stare bene.

«Mi chiedo se Rossella reggerà.»

Cercava di bere, a piccoli sorsi, un tè indiano che aveva portato la mamma di Myriam dal suo ultimo viaggio. Si strozzò, come se avesse la gola stretta e il liquido ambrato, caldo e dolce, facesse fatica ad andar giù.

«Le serate a casa da sola, le tournée e tutto ciò che questo comporta. Perché per me, per quanto avvincente, è sempre stato un hobby. Non ho proseguito gli studi, mi sono ritirato dal tennis. Cos'altro mi toglierà l'essere parte dei Cipì?»

Ciò, più che i dissapori tra Thomas e Alex, l'aveva reso un tantinello svaporato. Più volte Nicolas gliene aveva chiesto conto; lui aveva minimizzato.

Festeggiò l'ascesa dei Cipì ingollando tre shottini, con l'animo mosso da un enorme punto di domanda, che vi spirava come il vento sul mare.

Aveva ventotto anni, era già un architetto rinomato e stava per compiere il grande passo. Se mai ci fosse stato un momento giusto per mollare il gruppo, era arrivato.

Fu Rossella, un paio d'ore più tardi, a dissipare i suoi dubbi:

«Solo quando sei a letto con me ti vedo felice come quando suoni la tromba. È la mia rivale in ottone, ma non potrei mai chiederti di sigillarla nella custodia. Fa parte di te. Senza musica, senza il gruppo, saresti un'altra persona. Io è te che voglio sposare, non un uomo triste».

William non avrebbe potuto desiderare di più. Riprese colore, sollevato e pronto per firmare la sua condanna alla felicità.


Le lenzuola erano bianche con roselline rosa ricamate a mano. La nonna di Rossella teneva alla tradizione molto più di me e aveva preparato il corredo come si usava in passato. Se solo avesse immaginato che non tutt'i pezzi che aveva confezionato erano ancora immacolati e intatti, le sarebbe venuto un coccolone! Erano di cotone buono e piacevole al tatto. Il peccato sarebbe stato non tirarli fuori dal cellophane.

L'orologio sul comodino segnava le 02:05; Rossella e William non riuscivano ad addormentarsi. Partendo dai programmi per l'estate, passando ai preparativi per il matrimonio, il discorso era arrivato a Lucilla e lì s'era arenato.

«Dobbiamo trovare il modo d'aiutarla.»

«Non ce lo permetterà mai.»

«Ho un'idea.»

Rossella rotolò s'un fianco e si protese sopra il busto di William per prendere il suo cellulare sul comodino. Lui le leccò il braccio, lei seriosa, asserì:

«Non è Lucy ad avere bisogno di noi, siamo noi ad avere bisogno di lei».

Anche Lucilla era sveglia. Lesse il messaggio; trasudava ansia da ogni carattere.

«William, più chéto d'una tavola piallata, che s'è andato a inventare questa volta?»

Stesa sul letto a pancia in su, rise come non le accadeva da settimane.

PRANZO DI FAMIGLIA - RomanzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora