CAPITOLO 2

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IL PRIMO CALCIO AL PALLONE E IL SANGUE

Quando Michel Platini, a soli sedici, diciassette anni e quindi negli anni 1972 e 1973 calcò i campi della massima serie francese per la prima volta, debuttando come ala sinistra nella partita del Nancy contro il Nimes; io a 5 / 6 anni calcai il campo in cemento per la prima volta, del cortile dove risiedevo, debuttando come tiro a segno di un imbecille più grande di me.

Mi ricordo ancora come se fosse ieri, il mio vicino di casa dirimpettaio convinse me (fra l'altro molto timido) ma, soprattutto mia madre, a seguirlo per giocare in cortile. Ebbene, scesi con lui contento ed eccitato perché spesso guardavo i bambini e i ragazzini a giocare a calcio in cortile, dal balconcino interno a cui si accedeva dal pianerottolo. Scesi appunto con il vicino, ma mentre egli si aggregò subito con gli amici che stavano già giocando la partitella, io me ne stetti inizialmente in disparte, con la schiena appoggiata a una porta del box finché l'imbecille non mi disse:

<< Che fai lì così Carlo? Dai su, non essere timido vieni qui a giocare con noi! >>

Così molto contento e saltellando entrai anch'io a partitella in corso. Il bello è che non mi ricordo neanche se ero riuscito a dare un calcio al pallone. Fatto sta che mi ricordo benissimo che l'imbecille bastardo che era più grande di me di almeno quattro anni, diede un bel calcio al pallone che arrivò dritto, dritto sulla punta del mio naso. Il sangue grondò a dirotto dappertutto: sul mio mento, sulla mia maglietta, sui miei calzoncini, sulle mie calzette e dulcis in fundo sulle mie scarpine. A proposito, chissà che scarpe portai ai piedi? Questo non me lo ricordo. Il sangue grondava in ogni dove, lasciai una grande scia sul cemento mentre mi diressi verso l'interno del palazzo per raggiungere il mio appartamento che fra l'altro si trovava al quinto piano. Meno male che il vicino mi seguì subito in mio soccorso accompagnandomi in ascensore. Chissà quale espressione imbarazzata e impacciata avrà avuto il mio vicino, quando si presentò alla porta da mia madre vedendomi sanguinante dal naso e tutto insanguinato dalla testa ai piedi.

Mia madre, da buona siciliana scenografa emise delle urla come se mi avessero tagliato la testa con un'ascia, accrescendo in me puro e vero terrore. Insomma, una volta entrato in casa e coprendomi il naso con dieci chili di cotone, finalmente il sangue si fermò.

Ma il mio rapporto con il gioco del pallone e il sangue, nell'età dell'infanzia doveva avere ancora un seguito, ma questa volta non fu per colpa dell"amico" bastardo bensì per colpa di una mia tragica distrazione. Stavo giocando, con i miei amici, sempre nel cortile quando diedi un colpo al pallone che prese un traiettoria troppo alta, tanto da terminare il suo viaggio sopra la tettoia dei box. Così andai sul tetto grazie a un ingegnoso stratagemma adottato con gli amici: la scaletta umana. La scaletta umana consisteva in questo modo: uno si metteva con le spalle al muro e con le proprie mani incrociate e ben strette ad altezza appena sotto l'ombelico. Il prode e piccolo scalatore poggiava il piede sulle mani incrociate che formavano un piccolo gradino amovibile e appoggiando le mani alle spalle dell'amico ci si faceva sollevare, cosicché poi ci si trovava con i piedi sulle spalle e si poteva raggiungere il ciglio del tetto e arrampicarsi fiero sullo stesso. Il bello è che, una volta che mi trovai con i piedi sul tetto, non vidi la schermatura di ferro della tapparella che era completamente aperta e dava proprio sul tetto.

La mia nuca proprio sull'angolo della schermatura in metallo e... ahi ahi... che dolore! Sentii un gran calore sull'epidermide sottocutanea e il sangue impietoso grondante fece il bis ricoprendomi completamente. Allora mi ricordo che non ricorsi neanche alla scaletta ma saltai giù dal tetto e ora, pensandoci bene, fu un miracolo che non mi ruppi le ossa. Feci cinque piani di corsa stabilendo forse un record ineguagliabile per chiunque e sporcando quasi tutti gli scalini di sangue. Penso che per questo la donna delle pulizie di allora mi avrà cacciato chissà quante maledizioni e per quanto tempo. Fatto sta che questa volta, forse, la sceneggiata "napoletana" di mia madre vedendomi alla porta, come un cadavere sanguinante che aveva perso la roulette russa, era più che giustificata.

Meno male che, dopo minuti e minuti con la testa nel lavandino sotto l'acqua fredda, il sangue si fermò ma probabilmente si ghiacciò, quel giorno, anche la mia indole di genialità di calciatore.

Le Roi amour éternel Where stories live. Discover now