Prologo

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Era una giornata come le altre. Ormai è una routine avere giornate strane. Stavo qui, in questo ufficio, a lavorare ore e ore.

 Perché lo facevo? Perché era il compito che mi era stato assegnato. Tutti nell'istituzione della Mafia abbiamo un compito. Tutti sappiamo cosa dire e cosa non dire, come comportarci. Alla Mafia non interessava cosa pensavi, non interessavano i tuoi sogni oi tuoi desideri. Alla Mafia non importava se avevi figli, se avevi fratelli, una moglie, una famiglia. A lei non interessava. La Mafia era morte. La Mafia ero io. La Mafia eravamo noi.

Quando si parla di Mafia generalmente si pensa all'Italia. Fate bene a pensarlo.

Chi sono io? Scusate la scortesia, mi presento subito. Sono Lucia. Lucia Esposito, figlia di Edoardo Esposito, ex capo della Mafia, e sorella di Riccardo Esposito, attuale capo della Mafia. 

Come stavo dicendo prima, stavo lavorando. Ad un certo punto, con gli occhi leggermente irritati a causa della luce accecante proveniente dal computer, distolsi lo sguardo e mi guardai intorno. Era buio. Lanciai uno sguardo allo schermo del dispositivo e vidi che erano le 20:37. Era ora di andare. Mi lasciai cadere sullo schienale della poltrona girevole, assunsi una postura scomposta, appoggiai la nuca al bordo della poltrona, chiusi gli occhi e sospirai. Ormai ero abituata a quella vita. Passavano i minuti, le ore, ed ero ancora qui, in questo mondo. Mi alzai, lisciai il pantalone del mio tailleur nero, presi la borsa e uscii dall'ufficio. Percorsi il corridoio e mi beai di quel silenzio che la mattina non c'era. Entrai in ascensore e schiacciai il pulsante per il piano terra. In pochi secondi ero giù e, una volta varcato l'uscio dell'uscita, mi incamminai verso la mia auto blindata dove il mio autista,Luigi, mi stava aspettando. 

Mentre apriva la portiera mi disse << Buonasera signorina, dove la porto >>. 

<< Villa Esposito >> dissi secca mentre entravo nel vicolo. Potrei essere sembrata scortese ma ormai Luigi era abituato al mio modo freddo e schivo. Durante il viaggio, appoggiai il gomito sullo sportello e guardai Milano scorrermi davanti. Milano era un bel posto ma non potevo definirla come una casa nonostante ci abitassi da quasi quattro anni. Questa città apparteneva agli Esposito. L'Italia apparteneva agli Esposito. La Mafia era una potenza mondiale. Mi riscossi dai miei pensieri appena entrammo nel cancello di Villa Esposito. Com'era? Inizialmente, una volta oltrepassato il cancello, bisognava percorrere un breve tratto di strada immersi negli alberi. Poco dopo si ci ritrovava davanti a un'immensa distesa di prato verde all'inglese, subito davanti una fontana elegante e suggestiva. Dietro questa si trovava un'imponente villa di due piani enorme. Il colore esterno era beige chiaro, il colore era perfetto come sempre ma si vedeva benissimo che la struttura era antica. Le luci erano tutte accese come al solito. La macchina si fermò. 

<< Siamo arrivati ​​signorina. Aspetti, sto scendendo per aiutarla >> Luigi scese subito dalla macchina, mi aprì lo sportello e mi porse una mano, perfettamente avvolta da un guanto bianco, per aiutarmi a scendere. L'accettai, presi la borsa e scesi. 

<< Buona serata, Luigi >> dissi e me ne andai senza aspettare una risposta.  

Salii i pochi gradini che c'erano prima dell'ingresso, oltrepassai le colonne del portico e alzai la mano per suonare. Abitavo qui ma avevo una strana sensazione addosso stasera. Sentivo come se stesse per succedere qualcosa. Schiacciai il pulsante del campanello e * ding dong *. Attesi qualche secondo e sentii la serratura scattare. Fui invasa dal fascio di luce proveniente dall'interno dell'abitazione. 

<< Buonasera signorina. Suo padre, il boss, i suoi fratelli e gli altri signori la stanno aspettando nel salone. La prego mi segua >> mi disse Renzo, il maggiordomo che aveva servito e serviva questa casa da decenni. Tornando a noi, la cosa era strana. Non mi avevano messo al corrente di nessuna riunione e dalla faccia agitata di Renzo capisco che dev'essere successo qualcosa. 

Entrai in casa, la curiosità mi stava mangiando viva insieme alla preoccupazione.

Caldo come il ghiaccio, freddo come il fuocoWhere stories live. Discover now