La forgiatrice di lame Ⅰ

By Adriano_Marra

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Si prospettava essere una primavera come le altre per Keiko e i suoi amici, abitanti di un placido villaggio... More

Prologo
1. Sgattaiolando all'alba
2. Spedizione di classe!
3. Prima notte nella foresta
4. Ostaggio in una grotta
5. Ragazza in braccio, zaino in spalla
6. Gli arcani d'una fuggiasca
7. Intimità infranta
8. Appesi a un filo
9. Mani calde - parte 1
10. Mani calde - parte 2
11. Sgattaiolando al tramonto
12. L'amica di Larou
13. Pesce di biblioteca
14. Sgattaiolando di notte
15. Davanti al ruscello
16. Lupacchiotti irritabili
17. Una notte tormentata
18. Vicini alla meta
19. L'accampamento di Hako
20. Assassini e latitanti
21. Un'avventuriera sfuggente
22. Tecniche di evasione
23. In taverna
24. Hako poco sobria
25. Notte al calduccio
26. Le mutande della discordia
27. Indagini in fucina
29. Analisi ipogee
30. Visitatori alquanto irruenti
31. L'assedio di Irake mashi - Sciabolate fra i vicoli
32. L'assedio di Irake mashi - Messi alle strette
33. L'assedio di Irake mashi - Il generale Toratta
34. Mano nel tufo
35. Quotidianità postuma
36. Teso scotte e cazzo cime
37. Confessioni al largo
38. Scisma di cabina
39. Ansia astrale
40. Scialuppa abusiva
Anticipazioni

28. Un bibliotecario atipico

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By Adriano_Marra

Immediatamente dopo aver salutato Ruggine, ci incamminammo nella direzione da lei indicataci e, nuovamente soli com'eravamo, dialogai con Hako con maggiore calma:

– Certo che hai rischiato grosso col fabbro.

– Bah... – si limitò a fare un breve versetto e sbuffare.

– Perché sei così acida? – chiesi.

– Semplicemente mi sembra un buco nell'acqua che aumenterebbe senza motivo il numero di persone a conoscenza del filamento. Un fabbro che ci manda da un bibliotecario? – chiese a me e a sé stessa, – Cosa vuoi che possa fare un bibliotecario con un pezzo di ferro? Cosa dovrebbe capirne?

– Va be', suvvia... se ce l'hanno consigliato loro stessi, ne saprà sicuramente qualcosa.

– Un bibliotecario più esperto di metalli di un forgiatore? Sarebbe assurdo... – rispose lei.

– Uffi, siamo sulla strada, e poi non avremmo altro da tentare, quindi cosa ci costa?

Quell'effimera discussione si concluse con un sospiro di Hako, che però non sembrava affatto soddisfatta. Ebbi la sensazione che dietro quel suo sbuffo vi fosse una più profonda volontà di rispondermi ancora, che però decise di trattenere.

Continuando a passeggiare, arrivammo alla piazza del municipio, che appariva come un grande spazio agorale pullulante di genti. Lo sfondo urbano si componeva di alti edifici su tre livelli, con alcuni che ne possedevano persino un quarto, costruiti con la chiara pietra tipica del luogo. Le facciate mostravano tutte le proprie partiture architettoniche tramite gli intagli nella pietra, che suggerivano la presenza talvolta di pilastri, colonne e lesene, talaltra di basamenti, architravi e cornici. Anche il corpo murario non era lasciato al caso, mostrando tutti i giunti fra un blocco e l'altro, palesando sulla superficie ogni singola assisa di cui si componeva.

La vegetazione non era dissimile da quella del nostro villaggio, tuttavia, in quell'ambiente secco e afoso, gli stessi alberi di roroenka che a Dasami contribuivano alla definizione di un'immagine umida e marina, qui esaltavano gli aridi colori della sabbia.

Stendardi dai caldissimi colori con sopra lo stemma del villaggio pendevano dai lati dei maggiori portali di accesso agli edifici pubblici, rimarcandone la funzione.

Nonostante la maggiore monumentalità del villaggio di Irake rispetto al mio, non ebbi una sensazione di piccolezza o spaesamento, bensì mi sentii parte viva e partecipe di quella cittadina così energica e sgargiante. Per un attimo mi sentii irakense anch'io insieme agli altri, e ancora una volta mi chiesi se Hako stesse provando sensazioni simili alle mie.

Diverse erano le fontane in cui la gente poteva rinfrescarsi, peraltro in prossimità della vegetazione posta lì artificialmente. Fra questi, vidi alcuni uomini sospendere il trasporto di un carro per sciacquarsi il viso e il petto, mentre più d'un bambino si tuffava insistentemente nell'acqua delle vasche, rincorso dai disperatissimi tutori che speravano di raggiungerlo prima che l'irreparabile fosse commesso.

Sul lato sinistro della piazza, corrispondente al settentrionale, imboccammo una via talmente ricolma di botteghe su entrambi i lati che ci illudemmo di essere in una strada semi-coperta.

Attraversare quel mercato affollatissimo non fu impresa facile, per cui dovemmo intraprendere percorsi molto tortuosi per aggirare tutti coloro che erano lì per acquistare la propria merce quotidiana: cibo, spezie, abiti, attrezzatura da disegno e molto altro, insomma... un assortimento dall'incredibile varietà di beni.

Le strade riapparvero immediatamente più tranquille quando riuscimmo a terminare quella lunga e curva via mercatile.

Procedemmo un altro po' e iniziammo a cercare la piazza secondaria di cui ci parlò Ruggine, in cui doveva esservi la biblioteca, ma alla fine del percorso ci si palesò dinanzi un grande parco ricco di vegetazione che si estendeva a perdita d'occhio.

Decidemmo di tornare indietro di qualche passo, convintici di essere andati troppo avanti. Nel retrocedere, avvistammo un'apertura da una piccola via posta sulla nostra sinistra e fu lì che scovammo quella piazza quieta e poco frequentata. V'era un unico edificio dominante, perciò immaginammo che si trattasse proprio della biblioteca.

Provammo ad accedere dal grande portale a piccoli e timidi passi e, una volta dentro, apprezzammo un ambiente completamente differente rispetto alla biblioteca del mio villaggio. Qui il soffitto non era elevato come in una monumentale doppia altezza, ma si limitava a essere di poco maggiore di una comune abitazione.

Le librerie riempivano completamente l'aula, creando una vera e propria foresta di libri di cui era impossibile percepire i confini. In prossimità del vestibolo d'accesso mancava ogni tipo di spazio per la lettura: "Che siano al piano superiore oppure dietro quella foresta?" pensai.

Il fatto che l'edificio fosse stretto lateralmente da altri due corpi di fabbrica impediva la creazione di sufficienti aperture per ottenere un ambiente chiaro e luminoso. Dai punti più profondi della stanza si potevano addirittura intravedere lanterne accese per alleviare la scarsità di luce.

Nel tombale silenzio del luogo non notammo subito il bibliotecario, che giaceva taciturno sul proprio sgabello, dietro il bancone, assorto nella lettura di un libro; praticamente proprio quello che ci si aspetterebbe da un tipico bibliotecario.

Noi tre sembravamo essere gli unici individui nell'edificio, cosa che rese l'approccio più facile da un lato, ma dall'altro infuse un'aura di mistero e nebbia.

– Salve, cosa vi porta qui? – chiese l'uomo, con voce calma, pacata e in un certo qual modo rassicurante.

Egli alzò gli occhi dal libro che stava leggendo per accogliere la nostra presenza. Era un giovane uomo che poteva avere ventitré o ventiquattro anni, ma la bassa statua e i lineamenti lisci del viso lo facevano sembrare più giovane, nonostante da rada barba che portava.

Si portò in su i corti capelli riccioluti, riconoscendoci un certo grado di attenzione. Questi erano d'un colore verdognolo simile al mio, ma più tendente al giallo. Molto differentemente da me, tuttavia, era la presenza di sporadici ciuffi d'un verde assai più chiaro e brillante, che screziavano a piccole macchioline la chioma.

La carnagione era ben lontana dalle tonalità contadine o da marinaio, mentre le iridi erano di un azzurro molto più profondo e intenso del colore del ghiaccio o del mare, spingendosi piuttosto a un blu simile al cobalto.

Quella volta, per evitare che Hako rispondesse male fin dall'inizio, inacidita com'era, risposi io.

– Ecco... non veniamo esattamente per cose da biblioteca.

– Ditemi, allora.

– Ehm, ci manda Ruggine, o almeno è così che si fa chiamare, – ammisi con incertezza.

– Ruggine? Perché? – ci chiese con tono composto, quasi paterno.

Hako, nel frattempo, iniziò a tirare il filamento fuori dallo zaino riluttantemente, esponendolo pian piano alla vista. Io continuai a spiegare:

– Le abbiamo portato questo filamento metallico per farlo analizzare, ma il maestro Fiunchi ci ha detto essere un manufatto magico, e quindi... – descrissi la situazione in maniera incerta e tentennante, non sapendo bene che parole usare.

– Capisco, e da me cosa volete nello specifico? – chiese il bibliotecario, come percependo che la nostra vera richiesta fosse più articolata.

– Lo dobbiamo distruggere, – intervenne Hako, – loro non hanno potuto far nulla e ci hanno mandati in biblioteca, – disse in maniera polemica.

– Beh, sì, visto dall'esterno ha poco senso, ma non ha sbagliato a portarvi qui, – l'uomo scrutò il filamento, ancora nelle mani di Hako.

La ragazza si ammutolì e cambiò espressione, non capace di mantenere l'atteggiamento scontroso che si portava dietro dall'inizio della mattinata, tendendo più a farsi lentamente ammaliare dal carisma serafico dell'uomo.

– Se mi facessi la gentilezza di posarlo sul bancone, potrei dargli un'occhiata, – disse lui ad Hako.

Lei soddisfò la richiesta seppur con sospetto. Il bibliotecario scostò definitivamente il proprio libro e studiò per diversi secondi il cimelio, per poi voltarsi indietro e prendere degli spessi guanti da un cassetto delle armadiature alle sue spalle.

Da un altro cassetto prelevò invece una lente d'ingrandimento, dopodiché tornò al bancone.

Emerse così il temperamento prudente e ponderato del bibliotecario, che prima di prendere in mano l'oggetto si preoccupò di capire col solo sguardo se questo potesse essergli dannoso, quindi decidendo in anticipo di munirsi delle giuste protezioni.

Analizzò allora il filamento da vicino, studiandone il materiale. Hako e io, nel frattempo, rimanemmo a guardarlo in attesa di una risposta, ma ci diede l'impressione di sapere discretamente bene come comportarsi davanti a un oggetto del genere.

A un certo punto si concentrò su una delle estremità del filamento, poi privò la mano sinistra del guanto e resse parte del filo esclusivamente con la destra ancora inguantata.

Con cautela avvicinò il dito alla punta, intento a toccarla.

Hako, prima impassibile, iniziò a lanciarmi qualche sguardo miscelante sospetto e curiosità, fin quando nel profondissimo silenzio della biblioteca, qualcosa ruppe fragorosamente la quiete.

Nell'istante in cui l'uomo sfiorò col dito l'estremità del filamento, un fascio di luce fu sparato dall'altra parte, andando a infrangersi contro uno scaffale della libreria, i cui libri furono ridotti a un ammasso di cenere. Il fascio riuscì persino a forare totalmente il legno nei punti più vicini al centro del raggio.

Per fortunatissimo caso, o forse no, l'estremità di uscita non era direzionata verso di noi, altrimenti saremmo diventati farina d'ossa tanto quanto la libreria divenne polvere.

Tutti e tre trasalimmo, e rivolgemmo istantaneamente i nostri occhi sbarrati verso la libreria fumante.

– Co, cosa? – esalò Hako, stupefatta.

Il bibliotecario, nonostante il disastro, non si allarmò affatto, e tornò a guardare l'oggetto di studio subito dopo; poi si risolve a noi con tono serio, ma non meno pacato:

– È molto interessante, oramai cose del genere si vedono di rado. Qual è la storia dietro questo oggetto?

– Ehm, è un po' difficile da spiegare, – constatai io, evitando di obbligare Hako a confessare cose che, forse, non avrebbe voluto dire a chiunque ci passasse davanti.

– Capisco, avete detto che volete distruggerlo, – rifletté l'uomo, – Ruggine aveva ragione, è magico, però per capire meglio di cosa si tratti, vi chiederei di seguirmi al laboratorio al piano interrato.

– Un laboratorio? – ripeté Hako, dubbiosamente, – In una biblioteca?

Al sentire l'ennesimo sintomo di mal fidanza, il bibliotecario si rivolse direttamente a lei:

– Ragazzina, come ti chiami?

– Hako, – rispose rigidamente.

– Hako, vedo che fra i due sei quella più gagliarda. La ragazza dell'armeria non vi ha mandati da un semplice bibliotecario, in quanto devi sapere che ho svolto diverse mansioni prima di impegnarmi qui. Difficilmente troverete al villaggio persone che possano aiutarvi con questo filamento meglio di me, e non lo dico con supponenza. Banalmente, qui la magia non interessa a nessuno, pertanto è ovvio che sia facile esserne il massimo esperto.

Il suo modo di interloquire fu interessare: prima aveva dichiarato la propria superiorità conoscitiva, poi si è lavato autonomamente in una doccia di modestia. "Che modo peculiare di rimanere nell'equilibrio verbale," pensai.

Nonostante tutto, Hako non sembrava ancora convinta dalle parole del bibliotecario, e perpetrò nel portar sospetto, pure se più cripticamente.

– Va bene, – riprese il bibliotecario, – portiamo questo filo in labo... ah... – si interruppe sbuffando, quando portò la vista al bancone.

Il filamento, senza che nessuno di noi se ne accorgesse, era improvvisamente sparito, e appena ce ne accorgemmo, Hako iniziò a sudare freddo.

– Cosa?! – esclamò lei, ad alta voce.

– Dov'è finito? – incalzai io.

Il bibliotecario reagì ancora una volta senza allarmismi, prendendo a parlare senza una direzione specifica, come se avesse voluto discorrere con la biblioteca stessa:

– Ah... quante volte ti devo ripeterti di non rubare tutto quel che non conosci?

Il silenzio non si smosse, ma tali parole ci confusero fuori d'ogni misura, laddove sia ad Hako sia a me iniziò a emergere la stessa idea in mente, ma passammo comunque da uno stato di allerta totale a uno di rigida e confusa tensione.

Dopo un po', in assenza di una risposta, il bibliotecario riprese il suo dialogo con le travi del soffitto:

– Ti sei fatta male col filo, vero? – disse, quasi con compassione.

Iniziammo a udire dei leggeri passi provenire dalle profondità della stanza, finché una ragazza minuta ed esile comparve da una delle librerie con un tirato sorriso volente nascondere il dolore.

Teneva una mano protesa in avanti, la quale, lacerata dal taglientissimo filamento, grondava copiosamente sangue.

Quando si mostrò, tuttavia, quel volto non fu affatto nuovo per noi, né per lei. Entrambe le parti, una volta che l'una si trovò di fronte all'altra, finirono in pietrificati sguardi, finché Hako, in un ringhio di strabiliata rabbia, esclamò:

– Saioki?!

– Eh eh... – ridacchiò lei, – ciao?

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