32. L'assedio di Irake mashi - Messi alle strette

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Feci di quella ombrosa casa il mio rifugio, ma in realtà ero pericolosamente bloccato. Riparatomi dietro il setto di muro del disimpegno che accoglieva le scale a pioli, acuii l'udito nel tentativo di capire quali fossero le intenzioni dei soldati, preparandomi a scappare al piano superiore qualora fossero entrati, ma, oltre a ciò, non avevo altre alternative.

L'unica mia vera speranza era che non entrassero, perché di fatto la mia corsa non poteva procedere in alcun modo rimanendo dov'ero.

Sentii dei passi in avvicinamento, e per almeno due dozzine di secondi rimasi in pietrificata attesa.

Prima di tornare a fuggire all'esterno avevo bisogno della sicurezza che quel viale fosse libero da uomini e, ancor più, farmi infiocinare all'ingresso della casa era uno scenario da evitare.

Passarono forse un paio di minuti, poi tutti i suoni svanirono.

"Se ne sono andati?" chiesi a me stesso.

Timidamente sporsi il capo al di là del muro: la soglia dell'ingresso pareva essere libera.

Mi presi qualche altro secondo di tempo per valutare se ripartire o meno, ma confermata l'assenza di suoni esterni, provai allora a uscire dall'edificio.

– Vado –. Pronunciai, per rompere l'indecisione.

Corsi fuori dalla casa e valicai l'uscita, ma qualcosa mi bloccò appena mi mossi verso destra.

Per l'urto barcollai indietro senza cadere completamente per terra, per accorgermi solo dopo che quella massa con cui mi scontrai fosse niente poco di meno che Hako.

– Keiko! – disse lei con tono furibondo, avendo subìto quanto me la spinta dell'urto.

– Eh... ciao?

Ci scambiammo un secondo di cocenti sguardi, rotti poco dopo dalla ripresa dello scontro.

Io schizzai di nuovo dentro la casa per sfuggirle, lei mi rincorse all'interno impugnando la spada che mai avrebbe usato contro di me.

– Carnemolle!! – urlò lei, standomi alle calcagna.

L'inseguimento all'interno dell'angusto spazio casalingo duro pochi attimi. Io corsi subito verso le scale per arrivare al piano superiore, mentre rovesciavo dietro di me quel che trovavo per ostacolare la ragazza.

– Cosa cazzo fai!! – protestò lei, non capendo il significato delle mie azioni.

– Lasciami arrivare al promontorio! – percorsi il corridoio del piano di sopra, diretto verso il terrazzo.

– Ti si è fuso il cervello! Ridammi il filamento! – anche lei valicò dopo di me le tende di separazione dalla zona notte al terrazzo.

Nel frattempo, tuttavia, avevo bisogno di pensare a una via d'uscita: "Mi serve una strada, un percorso per arrivare fino al promontorio, e anche subito."

Hako mi mise alle strette. La mia fuga sembrava finita, ma prima che mi agguantasse diedi sfogo al mio più impulsivo istinto e cambiai ancora posizione: con un piccolo balzo saltai su un vaso, che usai a sua volta come base per appiedare sul bordo della staccionata in legno. Da lì mi lanciai ad afferrare la trave che correva sulla sommità del terrazzo e con grande sforzo mi tirai su, fino a trovarmi sul terrazzo più alto della struttura, nemmeno concepito per essere calpestabile.

Hako cercò di afferrare il mio piede prima che salissi totalmente, ma per poco non ci riuscì.

Avevo guadagnato la distanza che mi serviva, ma mi trovai ancora più bloccato di prima.

La forgiatrice di lame ⅠDove le storie prendono vita. Scoprilo ora