20. Assassini e latitanti

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In lontananza iniziarono a vedersi i primi soldati, vestiti identicamente a quello che avevamo appena sconfitto.

Io ero ancora paralizzato, ma provai a tirarmi su. Finita la carica di adrenalina, però, il dolore per me fu troppo. Provai a rialzarmi ma ripiombai a terra, sfinito.

– Diamine... – disse Hako.

Mi afferrò di peso e mi caricò sulle sue spalle. Difficilmente capivo come una ragazzina mia coetanea potesse avere tutta quella forza in corpo. Il fatto di essere preso sulle sue spalle e portato da lei in salvo fu un duro colpo al mio orgoglio... non che ne avessi molto.

Una volta raccoltomi come una carcassa, prese a correre lontano dall'accampamento, nella direzione del ritorno. L'intento era quello di seminare i soldati, ma sarebbe stato molto difficile con me in groppa.

Ci lasciammo dietro quel soldato agonizzante e fuggimmo. Io mi voltai indietro non riuscendo ad accettare quel che avevamo fatto.

– Non ti voltare! – mi rimproverò lei.

– L'hai ucciso, Hako! Sta prendendo fuoco! – prendemmo a litigare mentre lei non stentava ad arrestare la sua corsa.

– Devi sperare che non prenda fuoco pure la foresta!

– Fammi scendere! Non possiamo lasciarlo lì! – opposi resistenza.

– Sei impazzito?! – mi riassestò sulle sue spalle impedendomi con tutte le forze che aveva di farmi tornare indietro.

– Ma! – non sapevo bene cosa contestare. Vidi una vita umana svanire in maniera terrificante davanti ai miei occhi e lei, nonostante ciò, mantenne i nervi perfettamente saldi.

– Non potevamo fare altro, cretino! Mi avrebbe rapito e riportato da mio fratello, e a te avrebbero senza dubbio fatto la pelle!

– Non avremmo potuto solo immobilizzarlo?! – protestai, piagnucolante.

Quello, per me, fu un momento terribile. Tutto accade troppo velocemente, troppe emozioni emersero insieme, troppa paura, troppa violenza.

– Non funziona così il mondo, cresci!! La vita non è una favoletta per bambini!

Cedetti così alle sue dure parole, ben sapendo che in fondo avesse ragione, ma non potevo accettarlo, non con quella velocità almeno, non in quel modo.

Accasciai il capo e gli occhi ormai umidi sulla sua spalla, a fianco al suo viso, con le guance di entrambi a contatto.

Lei attese qualche secondo, poi cambiò tono.

– Keiko... riprenditi, – era ancora severa, ma meno aggressiva.

– Lasciami, – la implorai con voce distrutta emotivamente.

– Non tornerai indietro –. Asserì, mantenendomi saldo su di lei e continuando a correre.

– Uff... – esalai un sospiro, arreso alla realtà, – voglio scendere.

– Ti faccio scendere solo se non torni indietro.

– Non lo farò.

Lasciò che qualche istante passasse, tempo in cui io rimasi col volto accasciato sulla sua spalla.

– Riesci a correre? – mi chiese con più apprensione.

– Sì... non puoi correre all'infinito con me sulle spalle, fammi scendere.

– Va bene.

Interruppe la fuga e mi calò al suolo, consentendomi di posare i piedi per terra.

Gli schiamazzi dei soldati che si erano dati al nostro inseguimento erano ancora udibili in lontananza, ma si stavano terribilmente avvicinando, col livello di pericolo che era altissimo.

La forgiatrice di lame ⅠDove le storie prendono vita. Scoprilo ora