4. Ostaggio in una grotta

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Mi risvegliai senza che vi fosse alcunché intorno a me, o meglio, alcunché di visibile. Una volta riaperti gli occhi, mi aspettavo di trovare la luce, ma non vedevo nulla.

Per una dozzina di secondi mi sentii naufragare nel buio, privo di una concezione dello spazio circostante. Cominciai a percepire alcuni vaghi volumi man mano che i miei occhi s'adattavano progressivamente all'oscurità, con anche la mia mente che andava risvegliandosi dal torpore.

Attorno c'era solo gelida roccia e qualche sporadico ciuffo d'erba. Al mio fianco, nascosto dalla conformazione rocciosa a sinistra, si potevano percepire gli echi di un'indiretta luce provenire dall'alto, unica fievolezza capace di rischiarare in maniera appena percettibile quella cavità.

Probabilmente ero in un piano inferiore della grotta, ma l'uscita non poteva che essere vicina, un po' per l'erba, un po' per la luce stessa.

Mi portavo sulle membra una debolezza che non comprendevo, forse lascito della botta che mi ebbe tramortito.

"Cos'è successo?" tentai di recuperare le memorie, "Che mi sia caduto un sasso dal soffitto?" sperai utopisticamente.

Provai ad avanzare una gamba, ma qualcosa mi trattenne: avevo i piedi legati a un masso.

Conclusi di essere stato preso in ostaggio, sicuramente dallo stesso ladruncolo che avrei voluto catturare. Temevo per quel che mi sarebbe potuto accadere, ma il non essere stato intaccato durante il sonno fu già la prima stranezza, e mi fece ben sperare. In fondo ero ancora vivo e, tastandomi un po', avevo ancora tutti gli arti.

Iniziai a dimenarmi nel tentativo di disfarmi di quelle funi, che erano intrecciate troppo bene per essere slegate con facilità.

Provai a usare il tatto per riconoscere di quale nodo si trattasse, ma non riuscii a capirlo. Nei nodi ero bravo, e normalmente li riconoscevo senza troppe difficoltà, eppure, quella volta, al mio teso insuccesso nel decodificarlo, seguì la conclusione che non si trattasse di uno dei più tipici nodi del nostro villaggio, almeno, non uno di quelli che conoscevo.

Riflettendoci ancora, non somigliava nemmeno a un nodo marinaresco, ma era più affine a un duro, severo e cattivo vincolo di prigionia, privo di grazia ed estetica, ma efficace. Non sembrava pensato per ormeggiare barche e navi al porto, né per un utilizzo legato a una rurale architettura lignea, men che meno per la giunzione fra più cavi. Piuttosto, pareva essere stato appositamente congeniato per arrestare un umano, per imprigionarlo violentemente senza possibilità di errore.

Al sentire il mio tumulto pregno di ansia e paura, una figura nascosta dal buio della grotta, dall'altra parte della stanza e approssimativamente di fronte a me, mi ammonì:

– Sta' fermo, così lo stringi solo di più.

Mi sembrò paradossale non notare quella presenza a pochi cubiti da me, indice del fatto che le tenebre sotterranee erano capaci di celare il proprio interno assai più efficacemente di quanto m'aspettassi, ma forse ero anche talmente pervaso dall'idea del dover fuggire che non pensai ad altro.

Diedi ascolto alla voce, mi fermai subito.

Aveva ragione, le funi erano di una fibra molto dura. Se avessi continuato a forzarle mi avrebbero solo danneggiato la pelle, e senza nemmeno rompersi.

– Chi sei? – risposi io, tesissimo, – Cosa vuoi da me, slegami!

Quella serie di pavide domande minava sicuramente la mia virilità, ma speravo più in una diplomatica contrattazione, siccome non mi spiegavo il senso di quel che stava accadendo. Pensai che, in fondo, mi fossi ritrovato in quella brutta situazione per caso, senza alcuna colpa alle spalle, e perciò non avevo alcunché da nascondere, né da scontare.

La forgiatrice di lame ⅠDove le storie prendono vita. Scoprilo ora