La forgiatrice di lame Ⅰ

By Adriano_Marra

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Si prospettava essere una primavera come le altre per Keiko e i suoi amici, abitanti di un placido villaggio... More

Prologo
1. Sgattaiolando all'alba
2. Spedizione di classe!
3. Prima notte nella foresta
4. Ostaggio in una grotta
5. Ragazza in braccio, zaino in spalla
6. Gli arcani d'una fuggiasca
7. Intimità infranta
8. Appesi a un filo
9. Mani calde - parte 1
10. Mani calde - parte 2
11. Sgattaiolando al tramonto
12. L'amica di Larou
13. Pesce di biblioteca
14. Sgattaiolando di notte
15. Davanti al ruscello
16. Lupacchiotti irritabili
17. Una notte tormentata
18. Vicini alla meta
19. L'accampamento di Hako
21. Un'avventuriera sfuggente
22. Tecniche di evasione
23. In taverna
24. Hako poco sobria
25. Notte al calduccio
26. Le mutande della discordia
27. Indagini in fucina
28. Un bibliotecario atipico
29. Analisi ipogee
30. Visitatori alquanto irruenti
31. L'assedio di Irake mashi - Sciabolate fra i vicoli
32. L'assedio di Irake mashi - Messi alle strette
33. L'assedio di Irake mashi - Il generale Toratta
34. Mano nel tufo
35. Quotidianità postuma
36. Teso scotte e cazzo cime
37. Confessioni al largo
38. Scisma di cabina
39. Ansia astrale
40. Scialuppa abusiva
Anticipazioni

20. Assassini e latitanti

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By Adriano_Marra

In lontananza iniziarono a vedersi i primi soldati, vestiti identicamente a quello che avevamo appena sconfitto.

Io ero ancora paralizzato, ma provai a tirarmi su. Finita la carica di adrenalina, però, il dolore per me fu troppo. Provai a rialzarmi ma ripiombai a terra, sfinito.

– Diamine... – disse Hako.

Mi afferrò di peso e mi caricò sulle sue spalle. Difficilmente capivo come una ragazzina mia coetanea potesse avere tutta quella forza in corpo. Il fatto di essere preso sulle sue spalle e portato da lei in salvo fu un duro colpo al mio orgoglio... non che ne avessi molto.

Una volta raccoltomi come una carcassa, prese a correre lontano dall'accampamento, nella direzione del ritorno. L'intento era quello di seminare i soldati, ma sarebbe stato molto difficile con me in groppa.

Ci lasciammo dietro quel soldato agonizzante e fuggimmo. Io mi voltai indietro non riuscendo ad accettare quel che avevamo fatto.

– Non ti voltare! – mi rimproverò lei.

– L'hai ucciso, Hako! Sta prendendo fuoco! – prendemmo a litigare mentre lei non stentava ad arrestare la sua corsa.

– Devi sperare che non prenda fuoco pure la foresta!

– Fammi scendere! Non possiamo lasciarlo lì! – opposi resistenza.

– Sei impazzito?! – mi riassestò sulle sue spalle impedendomi con tutte le forze che aveva di farmi tornare indietro.

– Ma! – non sapevo bene cosa contestare. Vidi una vita umana svanire in maniera terrificante davanti ai miei occhi e lei, nonostante ciò, mantenne i nervi perfettamente saldi.

– Non potevamo fare altro, cretino! Mi avrebbe rapito e riportato da mio fratello, e a te avrebbero senza dubbio fatto la pelle!

– Non avremmo potuto solo immobilizzarlo?! – protestai, piagnucolante.

Quello, per me, fu un momento terribile. Tutto accade troppo velocemente, troppe emozioni emersero insieme, troppa paura, troppa violenza.

– Non funziona così il mondo, cresci!! La vita non è una favoletta per bambini!

Cedetti così alle sue dure parole, ben sapendo che in fondo avesse ragione, ma non potevo accettarlo, non con quella velocità almeno, non in quel modo.

Accasciai il capo e gli occhi ormai umidi sulla sua spalla, a fianco al suo viso, con le guance di entrambi a contatto.

Lei attese qualche secondo, poi cambiò tono.

– Keiko... riprenditi, – era ancora severa, ma meno aggressiva.

– Lasciami, – la implorai con voce distrutta emotivamente.

– Non tornerai indietro –. Asserì, mantenendomi saldo su di lei e continuando a correre.

– Uff... – esalai un sospiro, arreso alla realtà, – voglio scendere.

– Ti faccio scendere solo se non torni indietro.

– Non lo farò.

Lasciò che qualche istante passasse, tempo in cui io rimasi col volto accasciato sulla sua spalla.

– Riesci a correre? – mi chiese con più apprensione.

– Sì... non puoi correre all'infinito con me sulle spalle, fammi scendere.

– Va bene.

Interruppe la fuga e mi calò al suolo, consentendomi di posare i piedi per terra.

Gli schiamazzi dei soldati che si erano dati al nostro inseguimento erano ancora udibili in lontananza, ma si stavano terribilmente avvicinando, col livello di pericolo che era altissimo.

– Ehi voi, fermi! – sentivamo urlare furiosamente.

Ci guardammo negli occhi e mi feci forza.

– Andiamo, carne molle, – mi disse lei con complicità.

Riprese a correre e, stavolta, insieme a me. Provavo ancora fatica e dolore dalla battaglia, ma stava lentamente passando.

Hako, alleggerita, riuscì a correre molto più velocemente di prima. In quel modo, seminare i soldati divenne davvero possibile.

La distanza fra noi e le truppe appesantite dalle armature iniziò ad aumentare, avvantaggiati dall'esser privi di carichi pesanti. L'importante allora era restare a galla abbastanza a lungo, senza fermarci mai.

– Dove dobbiamo andare? – chiese Hako.

– La città sul promontorio. È più vicina del mio villaggio, – dialogammo con voce alta e interrotta dai profondi respiri a cui la corsa ci obbligava.

– Quanto tempo potremmo metterci?

– Non lo so... abbiamo impiegato quasi due giorni netti per raggiungere il tuo accampamento camminando. Se continuassimo a correre potremmo arrivare addirittura stanotte.

– Bene, – mormorò.

– Cos'hai intenzione di fare ora con quel filamento?

– Non lo so. Non ho mai trovato un modo per distruggerlo.

– Alla città sul promontorio ci sono diversi fabbri molto esperti, forse possono aiutarci.

– Dubito... ma intanto scappiamo.

Continuammo a correre all'incirca per un quarto d'ora senza darci tregua. Non avrei mai potuto fare uno sforzo simile se non avessimo avuto delle truppe armate determinate a farci la pelle, ma a un certo punto fummo obbligati a fermarci per recuperare le forze.

I soldati erano ormai completamente seminati e anche il percorso che facemmo ci aiutò. Cambiammo più volte direzione per confonderli e cercammo di farci occultare dagli elementi della foresta stessa.

Era pieno pomeriggio quando ci accasciammo al suolo per riposare e riprendere fiato. Saremmo ripartiti forse non di corsa, ma sicuramente a passo svelto, appena ci saremmo potuti rialzare.

Sia io che Hako usammo un albero dietro di noi per appoggiarvi la testa.

Lei prese a parlare dopo qualche dozzina di secondi di profonda ansima:

– Keiko...

– Sì? – parlavamo a fatica.

– Cos'era quello?

– Quello cosa?

– Durante il combattimento, la spada...

– Ah sì... Non lo so. Ho solo messo la mano davanti alla lama e quella è stata respinta.

– Quel tuo colpo di scena ha salvato entrambi.

– Io?

– Sì... difficilmente avremmo vinto senza quella mossa. Erano i tuoi poteri quelli, l'hai capito, vero?

Annuii e, nel mio affaticato silenzio, ne diedi conferma.

– Non l'ho fatto apposta, ho avuto fortuna.

– Spesso l'uso dei poteri emerge istintivamente. È come usare un normale arto, viene spontaneo.

– Se lo dici tu...

– Il tuo cuoricino da carne molle mi ha fatto faticare di più nella corsa, ma è grazie a te se il soldato si è trovato impreparato. Non si aspettava che avessi dei poteri, e in un attimo è passato dall'essere in vantaggio al non avere più speranze di vittoria.

Non risposi nulla, lei poi riprese.

– Se ti allenassi un po' all'utilizzo dei tuoi poteri potremmo ricavarne qualcosa di buono.

– Potrò lanciare anch'io pallette incandescenti? – ironizzai col latente bisogno di esorcizzare quel che successe poco tempo prima.

– Non è detto... mi sembra di star capendo che ognuno utilizzi la propria energia in maniera diversa. Tu, per esempio, hai convogliato tutta la tua energia verso quella spada, respingendola. A me non sarebbe venuto così naturale come pensiero.

– Uhm... – riflettei, – piuttosto, come ti ha chiamato quel soldato? La forgiatrice di pane?

– Sei un cretino carboidratomane, – rise con affanno, – Lame... di lame.

– È qualcosa come il tuo nome da celebrità?

– Più o meno, – rispose con voce ancora occlusa dalla fatica.

– Tutti i soldati ti conoscono?

– Una buona parte sì, almeno delle legioni di mio fratello. Altri cadetti non mi hanno mai visto. Mio fratello mi ha sempre sfruttato per le armi, ma in certo senso questo ha fatto sì che diventassi una sorta di gioiello prezioso e intoccabile. Ero e sono la pedina più importante per le sue malate ambizioni. Ben presto, fra gli uomini dell'esercito e nel villaggio iniziarono a girare pettegolezzi e dicerie sul mio conto. La gente iniziò a parlare di una certa Forgiatrice di lame capace di creare armi potentissime.

– Ammetti che per quanto drammatico, almeno un po', ti gratificasse.

– Non posso nasconderlo, – strappò un sorriso vagamente malinconico, – avere leggende sul proprio conto è figo.

Riprendemmo fiato per poco altro tempo e poi decidemmo di ripartire.

– Beh, allora... ti sei riposato abbastanza? – disse lei.

Un frastuono improvviso mi impedì di risponderle, quando scoprimmo di non essere così soli come pensavamo.

In quel tratto di foresta intimo e scuro, come una folata di vento, apparve rumorosamente una moltitudine di soldati da ogni direzione del bosco, e ben presto quel piccolo spazio per il riposo si trasformò in una vera e propria trappola.

– Cosa?! – reagii di soprassalto.

Ovunque voltassi lo sguardo v'erano robuste armature bluastre che correvano nella nostra direzione, circondandoci pericolosamente.

– È un'imboscata!! – urlò Hako, – Scappa!

Disancorammo le spalle dal fusto dell'albero su cui eravamo appoggiati e provammo a fuggire via, ma non avevamo scampo. In un istante ci trovammo con mani bloccate e visi sbattuti al suolo.

– Maledetti! – imprecò Hako.

Lei parve essere intenta a sferrare uno dei suoi attacchi magici, forse simile a quello usato poco prima, ma le truppe furono assai più rapide della ragazza, e sapevano bene come neutralizzarla:

– Bendatela! – ordinò uno di loro.

– Lasciatemi! Vi ammazzo tutti!! – Hako, bloccata come me da almeno tre uomini, si divincolava con tutte le forze che possedeva, ma ogni suo sforzo di contrattaccare fu vano.

Un soldato prese una benda e glie l'annodò attorno al capo, occludendole la vista, al che capii una parte in più del funzionamento dei poteri di Hako: "Quindi per lanciare una magia in un punto dello spazio, questo deve essere nel suo campo visivo," spiegai a me stesso.

– Bene, bene, – continuò il soldato di prima, probabilmente un superiore, – ce ne hai fatta fare di fatica, Forgiatrice, – disse con sprezzo, girandole attorno.

– Crepate, – ringhiò lei, con la testa che schiacciava i fili d'erba.

Il fatto di aver lasciato me privo di benda, mi fece dedurre che non avessero capito che fossi anch'io in possesso di poteri magici, ma sul momento non seppi dire se fosse una fortuna o una sfortuna.

– Allora, – l'uomo avanzò nel dialogo con calma e malcelata spavalderia, – dov'è che hai messo il filamento?

– Ti pare che lo dica proprio a voi? – Hako li provocò, cercando di nascondere che il manufatto fosse nei nostri zaini.

– No, ovviamente mi aspettavo di no, – rispose il soldato, avvicinandosi a me, – ma abbiamo i nostri modi per incentivarti a farlo.

– Torcimi un capello e ti faccio fare una brutta fine, – disse lei.

– Ah, ma no, tranquilla. Il primo a prendersela per un tuo maltrattamento fisico sarebbe proprio il principe. Piuttosto, questo ragazzetto capita a perfezione, – minacciò, riferendosi a me.

– Io? Che volete farmi?! – alzai la voce, terrorizzato, per poi essere istantaneamente zittito di forza da uno degli uomini che mi tenevano fermo, che mi premette con più cattiveria il capo sul terriccio.

– Avete già fatto fuori uno dei nostri soldati, e difficilmente vi sarà perdonato, – l'uomo poi si rivolse a un suo compagno, – Vieni qui, tu che con la frusta hai un bel polso!

– Lasciate perdere lui!! – Hako, furibonda, non aveva modo di opporsi realmente agli intenti dei soldati.

– Se vuoi che il tuo amico rimanga tutto intero, farai bene a consegnarci il filamento! – concluse il soldato.

– Non ve lo daremo mai! – dichiarò Hako, dando per scontato che fossi d'accordo con lei, tuttavia, alla vista del guerriero che si avvicinava a me brandendo la severa frusta, non è che avessi grande coraggio da vendere.

– Se non parlano dopo dodici frustate, passate alle dita dei piedi, poi a quelle delle mani, – ordinò il superiore, ignorando la ragazza.

Non sapevamo cosa fare, e prima che potessi iniziare a pensare a un modo per uscire da quella situazione, la prima frustata mi fu selvaggiamente inflitta sulla schiena.

Lanciai un urlo di dolore strozzato e acuto.

– Uno, – il superiore contava le frustate per conto dell'esecutore.

– Due, – la mia schiena ricevette il secondo colpo, – tre, quattro!

In breve, le mie urla si spensero in soffocati singulti e rantolii piagnucolanti.

Non potevo lasciare che i soldati prendessero il filamento, né che sequestrassero Hako, ma allo stesso tempo non avevamo vie di fuga, e potei solo temporeggiare accettando la sofferenza delle lacerazioni prima che passassero ad amputarmi i piedi. A quel punto, non sapevo se avrei resistito ancora e, probabilmente, avrei confessato.

Nella tortura a cui ci sottoposero le truppe, non vedevo un intento risolutivo, ma una vera e propria ritorsione, forse per la morte del loro compagno, o forse per una più generale anima sanguinaria.

Avrebbero potuto facilmente perquisirci per trovare subito il filamento, ma preferirono lasciare sigillati gli zaini. Il loro obiettivo non si limitava a ottenere quell'oggetto, ma pretendevano che fossimo noi, Hako per prima, a consegnarglielo. Volevano la nostra sottomissione, la nostra resa, prima ancora della nostra sconfitta.

– Smettetela!! Non è qui il filamento! – Hako cercò maldestramente di sviare l'attenzione, con insuccesso.

– Dieci! – esclamò il soldato, – Devi essere più precisa, Miroe! Undici!!

A quel punto era terminata anche la mia forza di reagire agli stimoli. Ero sul punto di svenire.

L'unica cosa che sentivo era la sensazione di umidiccio sulla pelle, ed era assai poco probabile che si trattasse di acqua o sudore.

– È ancora all'accampamento! – disse lei.

– Non ti credo, – rispose, come se sapesse perfettamente che l'avessimo portato con noi, – Dodici!

Il soldato che fino a quel momento mi ebbe frustato, terminata la sua mansione, gettò per terra lo strumento.

Io, ancora cosciente per miracolo, vidi la frusta cadere a un cubito dal mio sguardo. Rosseggiava del mio sangue, che timidamente prese a gocciolare sull'erba, colando via dalla scura cinghia.

– È il mio turno, signore? – un altro soldato aprì bocca per la prima volta.

– Prego, – rispose il superiore, con fare litico e composto, – non preoccuparti di risciacquare la lama. Andrà bene anche sporca.

– Certo, signore.

Il nuovo soldato fece i primi passi nella mia direzione. Fra le mani stringeva un piccolo coltello, ma tanto era annebbiata la mia vista, e non meno di tutti gli altri sensi, che poco altro riuscii a percepire.

Sentii vagamente il soldato che si metteva in ginocchio alle mie spalle, preparandosi a recidermi un dito alla volta.

Io non avevo più la forza di reagire. Rimasi in silenzio, nella speranza che qualcuno accorresse in mio soccorso.

– Mi arrendo! – eruppe Hako, all'ultimo istante, – Vi dirò tutto quanto!!

Ognuno degli uomini si voltò verso di lei, e anche il soldato alle mie spalle parve aver messo in pausa la tortura.

Il superiore del gruppo sfiatò, sicuramente tirando un malevolo sorriso, avendo ottenuto da noi la resa che cercava, ma una nuova voce, stavolta femminile, fece la sua teatrale apparizione in quel drammatico palcoscenico boschivo:

– Non servirà! – la voce rispose con audacia alle ultime parole di Hako.

Proveniva dall'alto, da una delle chiome degli alberi, verso cui buona parte dei soldati si voltò di scatto. Ognuno portò la vista verso una foglia diversa, noi due compresi, ma quella voce fu talmente sfuggente che ci illuse quasi di essere scaturita dalla foresta stessa.

Il capo della squadriglia di soldati non ebbe nemmeno il tempo di esalar ennesime minacce ché una scura presenza veloce come un lampo, invase il campo, entrando in gioco.

In un battito di ciglia l'uomo alle mie spalle cadde al suolo privo di sensi, con gli altri a seguire. Dopo una manciata di secondi iniziando a cadere l'uno dopo l'altro, neutralizzati da quella figura che continuava a fuggire e rientrare nel mio campo visivo senza che potessi nemmeno coglierne l'umanità dell'immagine, troppo veloce perché i miei occhi ne costruissero un aspetto definito.

– Chi va là! – protestò il capo dei soldati che, confuso da quanto stava accadendo e col proprio gladio stretto fra le mani, osservò l'inconsapevole sconfitta di tutti i suoi compagni, a cui fu costretto ad assistere senza potersene dar ragione.

Ma anche costui, che era l'unico rimasto a gambe diritte, ricevette il suo invisibile colpo fatale, e piombò col capo su una dura radice che emergeva dal terreno.

Hako si tolse la benda, mentre io riuscii finalmente a inquadrare stabilmente quella figura salvifica, allora che si era arrestata dinanzi a me e Hako.

Cancellata in un disumano e impercettibile attimo l'intera squadriglia di soldati, i cui bluastri metalli smisero di tintinnare, costei fece roteare fra le dita uno strano coltello con tre lame insanguinate disposte a cerchio, per riporlo al fianco di una lunga mantella che le copriva spalle e schiena, finanche a cosce e polpacci.

La donna emise un leggero e quieto sospiro, si scostò alcune ciocche della rossiccia chioma, e infine parlò:

– Benvenuti nella Grande foresta!

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