La forgiatrice di lame Ⅰ

By Adriano_Marra

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Si prospettava essere una primavera come le altre per Keiko e i suoi amici, abitanti di un placido villaggio... More

Prologo
1. Sgattaiolando all'alba
2. Spedizione di classe!
3. Prima notte nella foresta
4. Ostaggio in una grotta
5. Ragazza in braccio, zaino in spalla
6. Gli arcani d'una fuggiasca
7. Intimità infranta
8. Appesi a un filo
9. Mani calde - parte 1
10. Mani calde - parte 2
11. Sgattaiolando al tramonto
12. L'amica di Larou
13. Pesce di biblioteca
14. Sgattaiolando di notte
15. Davanti al ruscello
16. Lupacchiotti irritabili
17. Una notte tormentata
19. L'accampamento di Hako
20. Assassini e latitanti
21. Un'avventuriera sfuggente
22. Tecniche di evasione
23. In taverna
24. Hako poco sobria
25. Notte al calduccio
26. Le mutande della discordia
27. Indagini in fucina
28. Un bibliotecario atipico
29. Analisi ipogee
30. Visitatori alquanto irruenti
31. L'assedio di Irake mashi - Sciabolate fra i vicoli
32. L'assedio di Irake mashi - Messi alle strette
33. L'assedio di Irake mashi - Il generale Toratta
34. Mano nel tufo
35. Quotidianità postuma
36. Teso scotte e cazzo cime
37. Confessioni al largo
38. Scisma di cabina
39. Ansia astrale
40. Scialuppa abusiva
Anticipazioni

18. Vicini alla meta

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By Adriano_Marra

Quel giorno fui lento a ridestarmi dal sonno. Permasi in dormiveglia a lungo, forse addirittura per qualche ora, in uno stato sempre in bilico fra il sonno e la lucidità.

Il fuoco della sera prima era ormai spento. Al suo posto, i suoni diurni della foresta echeggiavano di foglia in foglia.

Nel primo tempo di questo stato prolungato di leggero sonno, la mia mente non riusciva ancora a processare tutti gli stimoli. Solo quando mi trovai sul punto di svegliarmi definitivamente, iniziai a sentire un fastidio al piede.

Con la flemma tipica della prima mattinata alzai il busto e vidi la nostra situazione al momento del risveglio. Hako stava dormendo tenendo addentato il mio piede, a cavallo fra il dorso e la caviglia.

In quel momento riuscii più definitamente a percepire le sensazioni che provavo al piede: un senso di umidiccio e un po' di bruciore.

D'istinto mossi di qualche digito la gamba lontano dalle sue fauci, ma niente da fare; continuava a tener saldamente il piede coi denti.

A quel punto esclamai a voce alta per svegliarla:

– Hako!

Lei si smosse d'impulso, come colta alla sprovvista, e si svegliò tutta d'un colpo. Lasciò il piede e, dopo il primo scossone dovuto al mio richiamo, iniziò lentamente a riprendere consapevolezza.

Aveva il viso solcato dalle pieghe del telo ed era leggermente sudata. Doveva aver dormito molto profondamente, ma anche in modo poco quieto, a giudicare dalla gocciolina di sudore che le scivolò dal collo fino al centro del petto. Da appena sveglia, inoltre, le sue fattezze erano più rilassate, dandole in parvenza una pelle più soffice del solito.

Lo scatto la fece alzare in busto da un lato, ma era ancora stordita.

– Cos'hai da urlare? – disse, stropicciandosi l'occhio e sbadigliando.

– Mi, mi hai... guarda il mio piede! – mi dispiacque iniziare male la giornata, ma il mio piede era leso nel corpo e nello spirito.

Presi in mano quella mia terminazione e glie la misi bene in vista. Dopo che ebbe levato quei suoi denti dal mio piede, ebbi l'occasione di capirne lo stato. Il bruciore allora si fece sentire distintamente, con tutta la zona intorno al piede rossa in pelle, a tratti quasi violacea, e ben insalivata.

Lei, non esente ancora da un certo inebetimento, guardò il piede.

– Oh... sono stata io?

– Sì! Mi hai addentato il piede nel sonno! E brucia!

– Eh, scusa! Che cosa vuoi da me? Stavo dormendo, mica ero cosciente!

– Ho capito ma... Perché!? Sei cannibale?!

– Ma che dici! Mi piace solo la carne. Molto...

– Vedo che ti piace pure la mia di carne però!

– Eh, va be', – girò ironicamente il discorso, – scusa, ma come avrei potuto sapere se la tua carne fosse buona o meno senza neanche assaggiarla?

– Cosa!? – urlai io, esterrefatto.

– Niente... scherzavo.

– Oh mannaggia, brucia però... uffa, – mi rivolsi allora al piede dolorante.

– Uhm... fa così male? – avvicinò il viso a me, puntando il piede veterano con lo sguardo tipico di una bimba curiosa che non accenna colpevolezza.

– Sì –. Risposi con un tono pregno di autocommiserazione, guardando al povero martoriato con sofferenza e compatimento. Sul momento non ci feci caso, ma probabilmente avevo un timbro vagamente piagnucolante, tuttavia non potevo farci nulla... mi faceva male.

– Va bene, Keiko si è fatto la bua... – sorrise, burlandosene.

– Mi prendi anche in giro? – continuai il lamento funebre al mio piedino maltrattato.

– Va bene, scusa, – disse lei, sperando di concludere.

– La prossima volta dormiamo faccia a faccia.

– Non se ne parla, – mutò subito in tono.

– Ma perché?!

Rimase in silenzio, dopo poco risposi io.

– Sai, hai ragione. Sarebbe ancora peggio. In quel caso potrei svegliarmi direttamente con un'azzannata al collo. Meglio di no.

– Ecco bravo, eh eh, – sembrò quasi rassicurata di quel mio cambio di pensiero.

"Che ironia," pensai, "Siamo riusciti a non farci divorare dai rizekki, ma non ho potuto impedire l'assalto di Hako al mio piede."

Entrambi ci alzammo e lei prese ad armeggiare, preparando la ripartenza.

– Suvvia, àlzati. L'accampamento non dovrebbe essere troppo lontano, – riaperse lei il dialogo.

– Quanto manca ancora?

– Potremmo riuscire ad arrivare nel primo pomeriggio. Almeno questo è quello che mi vien da pensare guardando la mappa.

– Come fai ad avere un'idea così precisa della localizzazione del tuo accampamento? – chiesi, mentre m'accingevo ad asciugare il piede dalla saliva.

– Ho qualche punto di riferimento in testa, – riarrotolò il telo che usammo per dormire e si caricò lo zaino in spalla, –Quella mia baracchetta era non troppo lontana da un fiume e, salendo sugli alberi, era possibile intravedere qualche cima di collina a sud. Con buona approssimazione spero di riuscire a riconoscere l'ambiente prossimo all'accampamento una volta lì.

– Mi stupisce che tu abbia avuto la lucidità in passato di studiare così tanto l'ambiente attorno a te, – anch'io ero ormai stante e pronto alla ripartenza.

– Non è che avessi molto a cui pensare in quel frangente. Procurarmi cibo e osservare l'ambiente erano fra le poche attività possibili.

– Uhm, giusto. Allora, ripartiamo? – esortai.

– Non ti faceva male il piede?

– Effettivamente non più così tanto.

– Ti ho già detto che hai problemi?

– A prescindere da tutto non sono io quello ad azzannare persone nel sonno.

Si voltò dall'altra parte sbuffando, con la mappa in una mano e un pugno nell'altra, poi concluse.

– Andiamo.

Seguendo la mappa

La foresta, anche quel giorno, aveva un aspetto benevolo. Fatta eccezione per gli animali feroci della sera precedente, l'ambiente pareva sempre domestico e accogliente. Camminammo per ore, proseguendo il nostro cammino.

Riuscimmo a trovare un altro piccolo ruscello e a sostarvi per il tempo che ci serviva per sciacquarci, ripulendoci all'essenziale. "Chissà," pensai, "forse è proprio questo il corso d'acqua che porta all'accampamento di Hako," e la meta non sembrò più così lontana.

Io, corroso dallo sporco, non potei che lavarmi completamente: il richiamo della fresca acqua limpida del ruscello era troppo forte per non ascoltarlo. Mi levai i vestiti e mi gettai in acqua, soddisfatto e rinfrescato.

Il momento successivo ricordai di avere Hako in mia compagnia.

– Carne molle, – disse lei permanendo in piedi, con lo zaino in una mano, vicino alla riva del fiume.

– Sì? – la guardavo dal basso, a mollo nell'acqua.

– Perché sei nudo? – disse freddamente.

Dopo quella sua affermazione, imbarazzato, iniziai a ruotare lentamente, voltandomi dall'altra parte con sguardo perso nel vuoto. Ero abituato con Larou a momenti di nudità collettiva, e anche con Tailia non ci siamo mai fatti troppi problemi, ma con Hako il tutto risultava più imbarazzante.

– Ti vedo il culetto, – asserì cinicamente, consapevole del mio imbarazzo.

– È la forza dell'abitudine, non ci ho pensato, – risposi mantenendo lo sguardo altrove, cercando di parlare in maniera calma e priva di ansia.

– Va bene, ho capito. Vuoi che venga anche io?

La foresta tacque.

Le foglie smisero di frusciare, l'acqua divenne immobile, i fili d'erba si pietrificarono, la mia vista divenne in bianco e nero.

Per fortuna fu Hako stessa a decidere di sbloccare il dialogo e far ripartire il tempo.

– Sto scherzando, imbecille.

– Lo so, – esalai una risposta impacciata con voce strozzata.

– Mi limiterò a una sciacquata di faccia.

Dicendo così prese dallo zaino il telo che usammo per dormire e mangiare, immergendolo nel fiume in un punto a pochi cubiti più a sinistra da me. Io, naturalmente, facevo in modo da ruotare rimanendo in direzione opposta rispetto alla sua.

Se era già molto imbarazzante essere nudo nel fiume, sarebbe stato ancora più strano uscirvi e asciugarmi: "E ora come ne esco?" mi arrovellai per meditare una via d'uscita da quella prigione liquida.

Inaspettatamente, Hako venne vicino a me col telo in mano, già asciutto.

– Ehi, – mi richiamò, mentre io continuavo a darle le spalle.

– Mi dica, – cercavo di mostrarmi indifferente.

– Esci... e asciùgati.

– Come?

– Ho asciugato il telo riscaldandolo coi poteri, non abbiamo tempo da perdere, esci da quel fiume.

– Ah eh, grazie, però...

– Mi hai già vista nuda, non è vero?

– Cosa? – la mia mente andava scoppiettando in multiple parti, bombardata da quelle parole.

– Ero svenuta, quando ci siamo incontrati per la prima volta, ricordi?

– Oh sì, ma cioè... non ho visto niente, insomma ero in ansia, eri svenuta per terra, per la preoccupazione...

– Sì, sì, ho capito. Muoviti ed esci da quella pozzanghera.

– Uffa...

Obbedii e, con sguardo basso, presi il telo che teneva col braccio proteso verso di me.

– Potresti almeno farmi il favore di guardare altrove?

– No.

– Lo fai proprio apposta eh?

– Se per te è normale fare il bagno nudo in gruppo, lo è anche per me, no? – lo sfottò era ormai intenso e palese, – E poi tu mi hai vista nuda, quindi è uno scambio equo.

– Se è per questo, l'altra notte tu mi hai anche toccato, – lamentai, polemico.

Detto ciò, lei scattò in avanti come per avventarsi a me.

Mi prese dal telo minacciosamente e, nello stesso istante, si ricordò che fossi nudo, al che decise di rinviare quel nascente pestaggio per un momento in cui potesse malmenarmi da vestito. Io mi raggomitolai per riflesso e malcelata paura che mi facesse davvero male, ma lei lasciò la presa del telo subito dopo, e finalmente si voltò altrove, dandomi le spalle.

– Vèstiti –. Concluse.

– Siamo permalosetti eh? – allora la canzonai io, riacquistata la fiducia nelle mie azioni.

Fece finta di ignorarmi. Mi rivestii e tornammo in stato di pace, proseguendo il nostro cammino nella foresta.

⸱⸱⸱

Hako ogni tanto andava inerpicandosi occasionalmente sugli alberi, plausibilmente per comprendere la nostra collocazione rispetto all'accampamento.

– Allora? – chiesi io, – siamo vicini?

– Sì.

Scese dall'albero appiedando sull'erba e non aggiunse altro.

Ripose la mappa nello zaino, facendone a meno da quel punto in poi. Sembrava che fossimo così vicini da non essere più necessaria.

Camminando tronco per tronco, Hako si accorse di qualcosa e mi bloccò.

– Altri rizekki? – dissi io.

– No, peggio.

Indicò un punto della foresta alla mia sinistra. In fondo ai limiti del nostro sguardo si poteva scorgere una piccola figura umana, lontana da noi.

– Chi è?

– È un soldato del mio villaggio, – dialogavamo bisbigliando.

– Siamo arrivati troppo tardi? – iniziai seriamente a preoccuparmi.

Il soldato era troppo lontano affinché potessi scrutarlo definitamente con la vista, potendone scorgere solo i principali tratti. Indossava un'armatura con qualche accenno di colore sulle gradazioni del blu. Sembrava star tenendo qualcosa sottobraccio, probabilmente un elmo troppo rovente per essere sopportabile in quel clima.

– No. Sembra che stia pattugliando il territorio, – argomentò Hako, – probabilmente non hanno ancora trovato l'accampamento e il filamento, ma sono molto, molto vicini. Ci sono sicuramente altri soldati nei dintorni. Dobbiamo evitare in ogni modo lo scontro. È incredibile, però, che si siano già spinti così a ovest nelle ricerche.

Hako aveva ragione. L'uomo non era in allerta, bensì sembrava star errando per il bosco alla ricerca di qualcosa senza avere un'idea precisa.

– Cosa dobbiamo fare allora? – chiesi.

– Arrivare furtivamente all'accampamento, prendere il filamento e svignarcela senza che nessun soldato ci identifichi.

– La vedo difficile, Hako.

– Hai alternative?

– Uff... mannaggia, – capii come non vi fossero altre vie.

Il grado di pericolosità della situazione andava via via aumentando, ma la consapevolezza che vi fossero più soldati a rondare per la foresta alla ricerca della stessa cosa che stavamo cercando noi mi metteva non poca paura. Come li avremmo affrontati?

In ogni caso, dovetti far inabissare ogni mio dubbio: l'unica opzione era proseguire.

Il momento in cui vidi quel soldato fu la vera prima dimostrazione concreta delle storie di Hako che, a quanto pare, non doveva avermi raccontato affatto fandonie. Tutto, fino a poche ore prima, sembrava distante e irreale, ma ora quelle forze armate di cui Hako parlava erano lì, fisicamente presenti e visibili, anche a poca distanza da noi.

Nella mia mente si fece sempre più vivida la convinzione di essermi cacciato in qualcosa più grande di me, ma i soldati si stavano veramente avvicinando fino alle nostre zone e, a quel punto, il problema non sarebbe stato affatto solo di Hako.

Sotto un certo punto di vista fu un colpo di fortuna aver incontrato quella ragazza, anche se ancora dubitavo della capacità di due quindicenni di risolvere un conflitto di tale scala.

Sgattaiolammo furtivamente accovacciati. Ci muovevamo arbusto per arbusto, cercando di essere invisibili.

⸱⸱⸱

Dopo un po', il soldato di prima sembrò essere stato lasciato alle spalle, ma chissà quanti altri ve n'erano ancora in giro.

Passò un quarto d'ora da quando passammo in modalità furtiva. Hako si fermò e io la emulai.

– Che c'è? – chiesi.

Lei non rispose subito. Prima si guardò in giro, scrutando la foresta dalle radici alle punte delle foglie, dai propri piedi fino all'orizzonte, per poi constatare che non vi fosse nessuno nelle vicinanze, e infine proferì:

– Siamo arrivati.

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