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By Raven_Cherish

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By Raven_Cherish

Gotham era avvolta da una leggera nebbia quella notte di fine febbraio. Solo le cime dei grattacieli superavano quella coltre grigiastra, riflettendo sulle ampie vetrate un bagliore lattiginoso che proveniva da uno spicchio di luna immerso in un cielo terso e privo di stelle.
La foschia aleggiava indisturbata per le strade, regalando alla città un'aria intrisa di mistero. Ma per quanto bella potesse essere quella visione, i piccoli disagi che procurava non potevano essere definiti altrettanto.

Amber Price si trovava in centro città quella sera, in compagnia della sua migliore amica, Emma.
Quest'ultima, dopo neanche un'ora da quando avevano messo piede fuori di casa, aveva già sbuffato una quindicina di volte, esasperata per via dei capelli puliti e piastrati che dopo neanche mezz'ora erano ritornati in onde castane e crespe. Non era riuscita a sistemarli più da allora, e avevano cominciato a darle fastidio nonostante la mezza lunghezza.

«Non so come tu faccia» aveva detto all'amica, riferendosi alla lunghezza dei suoi capelli biondo cenere, mentre legava i propri in una coda di cavallo. «Io certe cose proprio non le sopporto.»

«L'aggiungo all'infinita lista delle cose che non sopporti» rispose Amber ridacchiando.

«Lista?» fece l'altra inarcando un sopracciglio, «Sono poche le cose che non sopporto.»

«I bambini che piangono» iniziò Amber.

«Be'? Il loro pianto potrebbe essere utilizzato come suono per sirene di ambulanze e vetture della polizia» si giustificò.

«I motorini che fanno troppo rumore, le scarpe alte...»

«Dopo un po' fanno male e fanno uscire bolle e vesciche.»

«Abitudine» replicò Amber, scandendo quella parola che le aveva sempre detto in merito l'argomento, ma che a quanto pareva, l'amica non aveva intenzione di mettere in pratica. Poi riprese a elencare. «I vestiti troppo stretti ed eleganti, il rosa, il gusto pistacchio...»

«Sopravvalutato. Come si fa a scegliere il pistacchio al cioccolato fondente?»

«I giusti sono diversi, per fortuna» la bionda alzò le spalle.

«Sì, ok, ma su alcune cose la scelta non dovrebbe neanche esistere.» In quel momento l'elastico dei suoi capelli si ruppe. Emma impiegò qualche secondo per capire.
«Cinesi» commentò, allungando tra le mani l'elastico in plastica che ricordava i fili dei vecchi telefoni fissi.

«Queste» sottolineò Amber, «Sono le maledizioni delle persone a cui piace il pistacchio.»

«Fortuna che tu non rientri tra quelle, allora» le rispose Emma, «O non saresti mia amica.»

«Devi odiarlo parecchio, il pistacchio» sbuffò Amber in maniera ironica.

«Sì, ti ricordo che da piccola un pistacchio mi stava soffocando.»

«Tu, ti stavi soffocando con un pistacchio» rettificò Amber.

Emma scosse la testa, «No, il pistacchio stava soffocando me» precisò, e Amber alzò le mani in segno di resa, non riuscendo a trattenere una risata.

Emma passò i dieci minuti successivi con le mani tra i capelli, e alla fine, non trovando pace, propose ad Amber la visione di un film a casa sua. Le urgeva una doccia per togliersi quell'umidità dalla pelle e dai capelli. Non sopportava sentirsi appiccicosa.

«Se ti agiti è peggio» l'informò Amber, «E comunque va bene. Ma prima prepariamo i pancake, sto morendo dalla fame.»

La serata per le due amiche terminò con la visione di un horror. Mezza visione per Amber, visto che per quasi l'intera durata del film si era ritrovata con le mani davanti al viso.

Le undici e mezza arrivarono prima del previsto. Il tempo con Emma trascorreva sempre in maniera rapida.

Il taxi che la stava accompagnando a casa si era fatto attendere qualche minuto in più del previsto.
La luce del suo smartphone illuminò il retro buio della vettura.
La bocca di Amber s'incurvò in un lieve sorriso nel leggere il messaggio che l'amica le aveva appena inviato: un osservazione ironica su un tipo che aveva adocchiato in un bar poche ore prima. Scosse la testa divertita e le rispose con due emoji che piangevano dalle risate. Poi ripose il telefono nella piccola borsa di pelle nera che portava a tracolla e puntò lo sguardo oltre il finestrino dell'auto.

Quella sera il centro era più trafficato del solito. Le macchine sulle tre corsie procedevano con una lentezza estenuante, talmente tanto che l'uomo al volante sbuffò tre volte in maniera sonora, prima di imboccare una strada secondaria.
La manovra fu brusca e inaspettata. Le ruote posteriori stridettero sgommando sull'asfalto scuro, lasciandone i segni. Amber venne schiacciata contro la portiera della macchina, e per poco la sua testa non colpì il finestrino.
Spalancò gli occhi. Di certo quello era il peggior tassista che avesse mai incontrato, ma evitò di lamentarsi.

La strada intrapresa dall'autista li aveva allontanati dal centro della città. Amber non conosceva quel percorso, ma Gotham non era di certo piccola.
Non prestò molta attenzione a quelle vie, fin quando un murales non passò davanti ai suoi occhi. E tra le tante scritte, una in particolare attirò la sua attenzione: "BATMAN DEAD".
Sarebbe stato impossibile non notarla. Era scritta a caratteri cubitali e di un rosso scarlatto che ricordava il colore del sangue. Sembrava un enorme e raccapricciante ferita.
Amber increspò la fronte, le labbra serrate in una linea dritta e gli occhi assottigliati focalizzati su quelle lettere sanguinanti.
Solo un pazzo avrebbe potuto volere la morte del vigilante mascherato, o un criminale, essendone gli unici bersagli. Se molti di loro erano in carcere, era proprio grazie a lui.

Nessuno sapeva chi si nascondesse dietro quella maschera. L'opinione più diffusa era quella di un soldato o di un uomo di un qualche reparto speciale delle forze dell'ordine, viste le capacità di combattimento.
Tutti speravano d'imbattersi in lui almeno una volta, persino Emma moriva dalla voglia di vederlo in azione dal vivo, ma Amber non la pensava allo stesso modo. Incontrarlo avrebbe significato soltanto una cosa: pericolo.

Il tassista scalò la marcia e rallentò, poi il suo pollice prese a picchiettare il volante con fare nervoso.
Amber era sicura di non conoscere quel posto, eppure aveva l'impressione di aver già visto quel murales.
La sua mente impiegò qualche minuto per rammentare. Quel graffito era apparso al telegiornale appena un mese fa, ed era stato realizzato sulla parete di una delle strade d'ingresso a Bowery.

Bowery.

Amber spalancò gli occhi e li puntò sull'uomo al volante, prima di schiudere la bocca e crucciare la fronte. Avvertì un lento brivido arrampicarsi lungo il suo corpo, incastrandosi tra le ossa e facendogliele vibrare.
Deglutì.
«Dove sta andando?» la domanda fu lecita a quel punto.

«All'indirizzo che mi ha fornito» rispose l'uomo, come se fosse ovvio.

«E sta passando per... Bowery?» continuò lei, alzando di poco il tono di voce, sconvolta. Scosse la testa e inspirò a pieni polmoni. Era inconcepibile e da masochisti passare per quel posto, tutti ne erano a conoscenza.

«C'è stato un tamponamento a catena sulla strada principale, se non vuole arrivare domani mattina...» borbottò, staccando le mani dal volante per amplificare il tutto con un gesto.

«Meglio tardi che mai» replicò Amber con un filo di voce, schiacciandosi contro il sedile posteriore della vettura e incrociando le braccia al petto.
Sospirò infastidita. Quell'uomo avrebbe come minimo dovuto avvisarla di quel cambio direzione, soprattutto se quel cambio includeva il passaggio per un quartiere come quello.

Bowery era il quartiere più malfamato di tutta Gotham, dove regnava il crimine che non dormiva mai. Era sede di prostituzione, delinquenti e malviventi della peggior specie.
Nessuno sano di mente sarebbe mai passato di lì. Lei stessa in diciannove anni non ci era mai stata, e se conosceva il volto di quelle strade era solo perché le aveva viste al telegiornale, annesse a una qualche notizia raccapricciante.

Le strade erano diventate più strette e buie, a causa della stragrande maggioranza dei lampioni rotti. I negozi avevano ceduto il loro posto a magazzini chiusi, sulle quali serrande ossidate vi erano scritte e disegni di ogni tipo e genere. I cassonetti dell'immondizia strabordavano, e gli enormi sacchi neri che si trovavano a terra occultavano quasi del tutto i bidoni. La sporcizia sparsa per quel tratto di carreggiata fuoriusciva da alcuni sacchi rotti. Mentre le bottiglie e i vetri degli alcolici erano ovunque, ed evitarli era impossibile.

Amber temette il peggio. Con quella situazione ci mancava soltanto una ruota bucata.

La strada in cui s'immisero subito dopo era trafficata da individui a piedi. Alcuni camminavano da un marciapiede all'altro muovendosi a zig-zag, senza preoccuparsi di quelle poche macchine che vi circolavano, costrette a brusche sterzate per evitarli.
Amber osservò due uomini sul ciglio della strada, in piena rissa, ma prima che potesse distogliere lo sguardo da quella raccapricciante scena, sobbalzò.

L'autista aveva appena suonato il clacson a una vecchia e malmessa vettura rossa ferma al centro della strada, che impediva a chiunque di sorpassarla vista la carreggiata ristretta.
Guardò l'orologio e ripeté l'operazione, fin quando la macchina davanti non partì sgommando, lasciando dietro di sé una scia di fumo denso e grigiastro.

Amber notò un uomo camminare a grandi e frettolose falcate nella loro direzione, e nel mentre fare un gesto con la testa a qualcuno.

Il taxi in cui si trovava non fece in tempo a ripartire, che una donna dai fluenti capelli neri e avvolta in un tubino corto di vernice bordeaux, si sedette sul cofano, con una sigaretta tra le labbra che continuò a fumare con disinvoltura, spargendone la cenere sulla vernice gialla.
Il tassista imprecò, sbattendo le mani sul volante e suonando per l'ennesima volta il clacson, ma non fece in tempo a fare nient'altro, che lo sportello del suo lato venne bruscamente aperto dal tipo che Amber aveva visto avvicinarsi.

«Mi hai fatto perdere un cliente, stasera» esordì quest'ultimo parlando lentamente ma con un tono che di mite non aveva nulla. Poggiò le mani sul tettuccio della macchina e ridusse gli occhi a due fessure ardenti.

«Sto...»

«Mi devi seicento dollari» l'uomo si arricciò il pizzetto della barba e rimase in attesa.

«Ascolta, sto lavorando per...»

Lo sconosciuto batté i pugni sul tetto della vettura, interrompendolo, «Voglio, i miei soldi» il tono si fece d'un tratto più cupo e minaccioso di quanto non fosse già. E nel secondo successivo estrasse una pistola, che caricò e puntò alla tempia del tassista, che d'istinto chiuse gli occhi e alzò le mani in segno di resa. Poi i suoi occhi saettarono sulla figura di Amber avvolta dalla penombra, «Fuori» pronunciò rauco, con un cenno del capo.

Amber si sentì mancare il respiro, che fino a quel momento aveva cercato di ridurre al minimo per non emettere neanche il più piccolo dei rumori.
Non aspettò di udire quell'ordine una seconda volta. Scese dall'auto con talmente tanta foga che rischiò di cadere.
Solo quando i suoi piedi toccarono l'asfalto, si rese conto del tremore incontrollato delle sue gambe, che la portarono a indietreggiare con passi scoordinati e malfermi. La sua schiena urtò qualcuno, e prima ancora di voltarsi una voce piccata e femminile le arrivò alle orecchie.

«Sta attenta.»

Amber inalò una cospicua boccata d'ossigeno. Era la donna che aveva fermato l'auto.

«Be'? Che ci fai ancora qui, vattene prima che finisca nei guai» aggiunse, ma nonostante l'avvertimento, non si poteva dire che fosse realmente preoccupata, visto il tono disinteressato con il quale quella frase le era uscita dalla bocca.

Amber si ritrovò a fronteggiare un repentino senso di sbigottimento, mentre avvertiva il proprio cuore pompare con discontinuità a ridosso delle costole della gabbia toracica. I muscoli degli arti inferiori erano atrofizzati dalla paura. Voleva muoversi ma non riusciva a farlo. Chiuse gli occhi e scosse la testa come a volersi scrollare di dosso quello stato di scompiglio, e un passo dopo l'altro, le sue gambe acquistarono una velocità che non sapeva di possedere.

«Ragazzine...»

La voce della donna le arrivò come un lontano borbottio, tra i passi concitati che battevano l'asfalto e il respiro che le diventava sempre più corto.

Uno sparo echeggiò tra le mura di quella strada che sembrava non avere fine.

Amber s'immobilizzò di colpo, e impiegò qualche secondo per voltarsi. Contro ogni sua aspettativa, il conducente del taxi era ancora vivo. Quel colpo non era stato destinato a lui, ma a giudicare dalla situazione, che osservava da lontano, il prossimo lo sarebbe stato.

Un paio di fischi, non troppo lontani e a lei indirizzati, le fecero riprendere quella corsa sfrenata, alla ricerca di un posto lontano e tranquillo. Ma la parola tranquillità non esisteva in quel posto.

Continuò a correre fin quando la lanciante fitta al fianco destro divenne insopportabile, talmente tanto da renderle anche solo la sola camminata un'ardua impresa. Inoltre, era a corto di fiato.
Si levò da quella strada, imboccandone una alla sua destra stretta e scarsamente illuminata, con la speranza di non dare nell'occhio se qualcuno fosse passato.

Si poggiò con la schiena al muro e prese a inspirare a pieni polmoni per recuperare fiato. Aveva le tempie indolenzite, e la fitta di panico all'altezza del petto non l'aveva abbandonata neanche un po'.
L'odore di quel vicolo era il peggiore che avesse mai sentito, era aspro, un pungente mix di alcol, erba e urina.
Spostò alcune ciocche di capelli che le si erano attaccate al viso umido e arrossato e strofinò i palmi delle mani tremanti contro il tessuto dei pantaloni neri che indossava, per asciugarle dal sudore freddo fermo sulla sua pelle bollente.

Solo in quel momento ricordò di non aver ancora chiamato nessuno per farsi venire a prendere. Così, dopo aver recuperato il cellulare, decise di comporre per l'ennesima volta il numero a tre cifre del centralino dei taxi.
Chiamare i suoi era fuori discussione visto il luogo in cui si trovava, anche se la colpa non era la sua, ma conosceva sia suo padre che sua madre, e sapeva che sarebbero andati fuori di testa, oltre che a fondo della situazione. E poi infondo, non era successo nulla, lei stava bene e quello era soltanto un episodio da dimenticare.

Si bloccò poco prima di avviare la chiamata, chiedendosi se magari fosse più opportuno contattare la polizia. Ma poi ricordò che l'uomo l'aveva vista in viso, e il pensiero che quest'ultimo potesse risalire a lei e alla sua famiglia una volta fatto due più due, vista la facilità con cui in quella città certa gente riuscisse a ottenere informazioni, decise di non farlo.
Se fosse capitato qualcosa ai suoi genitori per causa sua, non se lo sarebbe mai perdonata.

Inspirò pigiando con forza il tasto verde sullo schermo del telefonino, portandolo all'orecchio solo quando sentì una voce provenire da esso.
Ben presto però, si rese conto di non sapere dove si trovasse con esattezza, così uscì dal vicolo buio, in cerca di una via che trovò scritta su un pezzo di muro. E non appena la comunicò al suo interlocutore, questo l'informò che non solo avrebbe dovuto attendere una decina minuti ma che, vista la zona, la tariffa raddoppiava.

Dieci minuti. Non molti in fin dei conti, ma neanche pochi. Un lasso di tempo durante il quale poteva succedere tutto o niente.
Non le rimaneva che aspettare e sperare.

Abbassò la luminosità dello schermo che prese a fissare, con l'applicazione delle chiamate ancora aperta. Sapeva che quello che stava facendo era orribile, e non era da lei. Si era abbassata ai livelli della stragrande maggioranza dei cittadini di Gotham, che denigrava e criticava.
Quell'uomo era in pericolo, lo sapeva, stava rischiando la vita e lei non stava facendo nulla. Perché per quanto potesse essere giusta e corretta quell'azione, le conseguenze la terrorizzavano.
Gotham non era una città come le altre, i suoi criminali non lo erano. Con loro non si scherzava, e Amber non aveva alcuna intenzione di giocare con un fuoco con il quale sapeva avrebbe finito per bruciarsi. Un fuoco malato che non purificava, ma che ardeva e s'insinuava nelle menti delle persone, controllandole con la paura e consumandole in maniera lenta.

Improvvisamente udì dei passi provenire dalla strada principale, accompagnati da uno schiamazzo di voci alticce e risate, che la fecero piombare di nuovo in uno stato di panico.
Il battito del suo cuore accelerò, non che fosse mai tornato regolare, e si schiacciò contro il muro con un movimento rapido, con la speranza di non essere notata.
Tuttavia, il suo telefono iniziò a suonare in quel preciso istante e chiunque fosse, non avrebbe potuto trovare momento meno opportuno.
Amber silenziò la chiamata in un nano secondo, leggendo sullo schermo il nome di sua madre. Ma ormai, l'attenzione era stata attirata.

Primo capitolo so che è ancora presto, ma sarei felice di sapere cosa ne pensate.

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