La forgiatrice di lame Ⅰ

By Adriano_Marra

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Si prospettava essere una primavera come le altre per Keiko e i suoi amici, abitanti di un placido villaggio... More

Prologo
1. Sgattaiolando all'alba
2. Spedizione di classe!
4. Ostaggio in una grotta
5. Ragazza in braccio, zaino in spalla
6. Gli arcani d'una fuggiasca
7. Intimità infranta
8. Appesi a un filo
9. Mani calde - parte 1
10. Mani calde - parte 2
11. Sgattaiolando al tramonto
12. L'amica di Larou
13. Pesce di biblioteca
14. Sgattaiolando di notte
15. Davanti al ruscello
16. Lupacchiotti irritabili
17. Una notte tormentata
18. Vicini alla meta
19. L'accampamento di Hako
20. Assassini e latitanti
21. Un'avventuriera sfuggente
22. Tecniche di evasione
23. In taverna
24. Hako poco sobria
25. Notte al calduccio
26. Le mutande della discordia
27. Indagini in fucina
28. Un bibliotecario atipico
29. Analisi ipogee
30. Visitatori alquanto irruenti
31. L'assedio di Irake mashi - Sciabolate fra i vicoli
32. L'assedio di Irake mashi - Messi alle strette
33. L'assedio di Irake mashi - Il generale Toratta
34. Mano nel tufo
35. Quotidianità postuma
36. Teso scotte e cazzo cime
37. Confessioni al largo
38. Scisma di cabina
39. Ansia astrale
40. Scialuppa abusiva
Anticipazioni

3. Prima notte nella foresta

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By Adriano_Marra

Preparai tutto in fretta e furia, portando ovviamente anche il mio portafortuna. Non ebbi problemi a recuperare tutto il necessario per la spedizione, ma impiegai solo un po' di più per decidere che indumenti portare.

Al nostro villaggio il clima era sempre molto caldo, e non era strano vedere gente in maniche corte anche in tardo autunno, ma proprio per questo facevo fatica a immaginare quale fosse il corretto abbigliamento per la foresta. Decisi di abbondare con qualche vestito pesante in più e, a zaino ben chiuso, schizzai fuori dalla mia stanza, quando fui intercettato dal mio tutore poco prima che valicassi l'uscita.

– Keiko.

– Oh, ciao Kokua, sì?

– Dove vai così di fretta? – chiese con curiosità.

Era in cucina, appoggiato alla mobilia in legno mentre degustava un ricco panino di cui parve non voler sospendere la consumazione neanche durante il dialogo con me, continuando a tirare un morso fra una frase e l'altra.

– Ah, giusto! Abbiamo una spedizione di classe, quindi non tornerò a casa per un po', non è un problema?

– Tranquillo, – e tirò un altro morso al panino, – piuttosto, ti sei portato del cibo?

– Ah, me ne sono dimenticato... – levai un'autoironica risatina.

– Tieni, – mi porse un sacchetto dapprima nell'angolo della cucina, – c'è cibo sufficiente per tre giorni. Avevo appena finito di prepararlo per me, ma vedo che vai di fretta.

– Gra... grazie!

Non avevo un rapporto strettissimo col mio tutore, che si limitava a poco più di condividere la stessa casa, e non ci conoscevamo in maniera molto profonda. Quel suo gesto fu tanto carino quanto inaspettato, perciò lo ringraziai sentitamente, o almeno ci provai.

All'improvviso, un'altra voce si aggiunse alle nostre.

– Ciao tutore di Keiko!

Alle mie spalle era comparso Larou che, entrato in casa, si mostrò all'ingresso della cucina.

– Ciao Larou. Ve ne state andando ora? – chiese Kokua.

– Il tempo di fare l'inventario e siamo fuori! – rispose energicamente il ragazzo.

– Ho capito, – Kokua morse ancora una volta il suo panino.

Col dialogo apparentemente terminato, riposi nello zaino il pacco datomi da Kokua e mi diressi con Larou in camera mia, dove avremmo fatto un ultimo riepilogo dell'equipaggiamento racimolato.

Quando sparimmo dal suo campo visivo, tuttavia, Kokua mi richiamò.

– Ah, Keiko!

– Sì? – sporsi il capo al di là del tramezzo.

– Tra qualche giorno mi assenterò di casa per una mezza settimana, se quando tornate non mi trovi, sai che non sono morto –. Puntualizzò, concludendo, e stavolta davvero, sia il dialogo sia il proprio panino.

– Va bene! – gli risposi euforicamente, già tornando al piano di sopra, – Ma comunque quando tornerai noi saremo ancora nella foresta!! – dissi con ottimismo.

Volatilizzatomi dalla cucina, percepii l'ultima battuta di Kokua prima salire sulle scale a pioli:

– Che buffo...

In partenza

A mezzogiorno in punto, la maestra Chirei arrivò in piazza con repentinità epifanica, riaggregò tutti gli studenti e ci condusse fuori dal villaggio.

Il professor Zeitsuta colse quel paio d'ore di camminata per darci alcune dritte teoriche di sopravvivenza, mettendo in piedi una sorta di lezione in movimento che, al posto delle pareti dell'aula, aveva come sfondo il mare da un lato e gli alti promontorii dall'altro.

Fece discorsi su quali piante mangiare e quali no, i tipi di animali che con più probabilità avremmo potuto incontrare e altre cose del genere, il tutto per passare incolumi la permanenza boschiva.

Il tragitto era tutt'altro che breve. Solcammo tutta la costa andando verso nord, mantenendo alla nostra destra le alte falesie rocciose per diversi stadii. Queste impedivano la creazione di qualsiasi percorso alternativo a quello lungo la spiaggia, nell'unica striscia di sabbia risparmiata dai rilievi.

A un certo punto il paesaggio di aprì, coi promontorii che si sostituirono a un'ampia valle rigogliosa. L'attraversammo in direzione ovest-est, allontanandoci dal mare e, una volta valicato il ponte che sovrastava una profondissima gravina al margine orientale della valle, ci trovammo definitivamente nella Grande foresta.

– Perfetto ciurmaglia! – esordì la Chirei, – La vostra spedizione inizia da qui. Avete tutte le competenze necessarie per sopravvivere senza di noi, perciò, buona fortuna!!

Così dicendo, la maestra tornò fulmineamente in direzione del villaggio, seguita dal più composto professor Zeitsuta.

– Ma, se ne va così? – una nostra compagna pensò ad alta voce, allibita.

– Ci vediamo a scuola, e ricordatevi di non barare!

Quelle erano le ultime parole che avremmo udito dalla maestra prima che sparisse definitivamente dietro erba e foglie, lasciandoci in balia del mondo selvaggio.

– A quanto pare... – un altro studente fece la sua amara constatazione, rispondendo alla ragazza.

Dopo esserci guardati un po' a vicenda, iniziammo a sparpagliarci in giro per la foresta.

⸱⸱⸱

Dopo le prime due ore di passeggiata non avevamo ancora trovato alcun buono scorcio per accamparci e, nonostante la ricchezza degli elementi a decorare l'ambiente, la noia iniziò a farsi tangibile.

Larou alleviava il tedio fischiettando qualche canzoncina, mentre io, privo di tale capacità, mi accontentai di osservare l'ambiente circostante.

Il vento, anche quel giorno, soffiava piano fra le fronde degli alberi, capace a stento di smuovere le singole foglie. Di piante rigogliose e coloratissimi fiori se ne vedevano molti, mentre molto più sporadico fu l'incontro di animali.

A farsi vive fra un cespuglio e l'altro, furono non più che un paio di creaturine svolazzanti. Non se ne vedevano molte nei centri urbani, ma in natura erano assai comuni. Quasi impalpabili e caratterizzate da una fioca luminescenza, non avevano un aspetto del tutto concorde all'atmosfera della natura boschiva, ma tali peculiarità non furono sufficienti a captare la mia attenzione per più di un paio di secondi, così cercai di tamponare la noia attaccando dialogo:

– Secondo te come farebbe la maestra a impedirci di barare? – posi a Larou la questione.

– Boh, ma un modo l'avrà sicuramente. Magari ha incaricato qualcuno di spiarci da lontano.

– Uhm... chissà. Effettivamente, per quanto la foresta è contorta, non sarebbe difficile pedinarci rimanendo ben nascosti.

– Beh, sì, – rispose lui, – certamente è assai più complessa del mare.

– Che intendi?

– Nel mare i pericoli vengono dal basso: dalle onde e dal fondale. La foresta è pericolosa in ogni direzione: fossati, costoni di colline, bestie feroci, piante velenose... tutto potrebbe nuocerci –. Argomentò Larou.

– Vero, ma le stesse cose potrebbero essere un vantaggio. Un fossato può diventare una trappola per animali, le colline possono essere punti di avvistamento e le piante una valida ancora di salvezza dall'inedia. La foresta è solo più divertente, – risposi, convinto di quel che dicevo.

– Uhm... – Larou parve rifletterci su.

– Per esempio, – continuai, – ricordi la pianta di cui ci ha parlato prima il professor Zeitsuta, capace di repellere alcuni predatori?

– Ehm, – temporeggiò, lievemente imbarazzato, – devo essermelo perso.

– Sul serio? E a che stavi pensando?

– Ecco... a una ragazza, – confessò.

– Eh? – non potei che essere confuso.

– Lascia perdere, – concluse, – mi sono arreso con voi.

Non specificò a chi si riferisse quel voi, ma di lì a poco un particolare scorcio attirò la mia attenzione.

– Larou, guarda qua! – esclamai, arrestando la camminata di entrambi.

– Cosa? – disse Larou, di riflesso.

– Questo posto è perfetto per accamparsi! – nel correre in avanti, lasciai che lo zaino mi scivolasse lungo le spalle, adagiandosi al suolo.

Alla nostra destra, dietro la verde cortina di alberi e cespugli, un rialzo del terreno costituiva l'attacco al suolo di una ripida collinetta dall'aspetto compatto, e che difficilmente sarebbe stata soggetta a frane.

Fatte le mie intuizioni a colpo d'occhio, ne parlai a Larou:

– Da un lato abbiamo la protezione della collina, dall'altro ci basterà mettere qualche palo acuminato di legno e il gioco è fatto!

– Uhm... per la prima notte potrebbe funzionare, ma un animale potrebbe comunque assalirci saltando gli spuntoni.

– Sì, ma con due cubiti di rialzo naturale più un altro di palizzate ne scoraggeremmo la maggior parte, – mi guardai attorno, poi ripresi, – E poi, se guardi oltre la piattaforma, ci sono un paio di alberi molto vicini. occultati; a quel punto dubito che una qualsiasi bestia decida spontaneamente di avvicinarsi a una zona piena di pali acuminati senza averne ragione, non percependo la nostra presenza da lontano.

– Tu... – Larou portò al livello dello sterno la propria mano, indicandomi con incertezza, – hai pensato a tutto questo solo guardando quel pezzo di terriccio?

– Eh... – mi paralizzai nell'imbarazzo, rotto subito dopo da Larou stesso, che riprese un fare sicuro e deciso.

– Ho capito. Allora io penso al lavoro pesante, incidendo gli spuntoni, e tu intrecci la parete di ramoscelli?

Emisi un versetto di conferma, riconoscendo una certa ironia nella situazione.

Non era la prima volta che collaboravamo durante le spedizioni, ma non siamo mai stati completamente soli prima di allora. In passato la maestra Chirei rondava sempre per l'area, controllando i varii gruppi e il loro stato, prestando aiuto quando ve n'era bisogno, ma non in quel caso.

⸱⸱⸱

Iniziammo a lavorare ai rispettivi ambiti, sperando di concludere tutto prima della sera. Nel tempo d'un tuffo giunsero le diciassette, o forse le diciassette e mezza. Quel che è certo era che fossimo nel tardo pomeriggio, ma non avevo totale certezza della bontà con cui interpretai l'orario guardando le ombre proiettate al suolo.

Io continuavo a intrecciare alla velocità più alta possibile i rametti, ma per quanto fosse un lavoro molto più leggero di spaccare alberi e ricavarne spuntoni, provavo una certa fatica.

Mi venne sete.

– Larou, credo di aver dimenticato qualcosa di molto importante.

– Cioè? – Non distolse lo sguardo dal pugnale che stava usando per affilare il legno, attività che parve svolgere con una facilità incredibile, peraltro fischiettando fra sé con spensieratezza. Quello che per me appariva con un materiale inscalfibile e durissimo, nelle sue mani sembrava essere non più solido d'un cumulo di sabbia bagnata.

– Non ho pensato a trovare una sorgente d'acqua, – dissi, con tono colpevole.

– Va be', poco male, per la prima notte ci basteranno le borracce. Ce ne occuperemo domani mattina.

– Sì, hai ragione...

Non diede peso alla cosa, ma io ero tutt'altro che quietato. Lui non provava fatica nel suo lavoro, io invece mi stancai unicamente nel viavai della raccolta dei rametti, e avevo sete. Pensai che fosse già un primo errore, ma sicuramente non avremmo avuto il tempo di trovare anche una sorgente d'acqua, perciò, forse, sarebbe dovuta andare in quel modo per forza di cose, e lo accettai.

Tornai ai miei rametti, rimuginando su una varietà di pensieri a causa della noia.

Larou era sempre stato più dotato per i lavori pesanti. Era fisicamente molto più atletico di me, invece al limite della gracilità, ma lui aveva una muscolatura molto più sviluppata anche in confronto agli altri nostri coetanei. Non era, però, quel tipo di persona che esibisce superbamente addominali e pettorali in pubblico, cosa che lui stesso considerava una mera caratteristica personale, alla stregua di avere i capelli castani anziché biondi.

Innegabilmente, tuttavia, quella sua facoltà gli permetteva di svolgere con più facilità lavori per me molto faticosi, se non impossibili.

Questo divario fra me e lui, ogni tanto, mi portava a meditare un po' di frustrazione, ma poi pensavo anche: "Beh, almeno non me lo fa pesare".

⸱⸱⸱

L'ambiente iniziò a rabbuiarsi velocemente e finimmo tutto alle porte della sera. Non appena calò il sole ci rintanammo nel piccolo spazio fra il muro di fronde e il rialzo, in quella posizione percettivamente interrata di qualche spanna.

Entrambi cacciammo dagli zaini i nostri tessuti, che in quel frangente usammo come coperte. Lo spazio non era sufficiente anche per le due cartelle, che posizionammo a qualche braccio di distanza, alla base della collina.

Larou aveva difficoltà a dormire, non trovava facilmente una posizione comoda e non sembrava neanche particolarmente stanco. Ciò forse era dovuto all'avere abitudini molto diverse dalle mie, oppure, a quanto pare, non s'era affatto spossato intagliando e spaccando.

Questi furono tra i miei ultimi pensieri prima di addormentarmi.

Era in una situazione come quella che, un po', invidiavo la sua forma fisica, ma tendevo a rispecchiarmi più in colui che fa da mente, piuttosto che da braccio, ma non eravamo poi così tanto simmetricamente opposti.

Anche lui era un ragazzo intelligente, ed eravamo in ciò più o meno pari, perciò sarebbe stato ingiusto attribuirgli il ruolo del braccio e niente di più.

Fra le poche differenze, spesso dimostravo di avere una maggiore capacità esplorativa e di osservazione dell'ambiente. Interpretavo meglio i segni della natura e riuscivo più facilmente a piegarli a mio vantaggio.

Quell'ultimo pensiero mi ricordò il dialogo tra me e Tailia della stessa mattina, e di conseguenza pensai: "Oh, vero, Tailia... non ci siamo più visti dopo la scuola" e me ne dispiacque, siccome mi avrebbe fatto piacere almeno informarla della partenza.

Prima di assopirmi guardai un'ultima volta in alto.

Sopra di me era visibile solo la chioma dei bassi alberi: "Bene," pensai. Quel manto gentile mi faceva intimamente sentire più al sicuro rispetto alla sconfinata vista del cielo, laddove il dolce abbraccio delle foglie era sempre, in una certa misura, rassicurante.

Giratomi su di un lato, mi addormentai poco dopo.

⸱⸱⸱

La mattina seguente mi svegliai con una manciata di foglie sul dorso.

Mi alzai scrollandomi i detriti dalla spalla, proibendo a una piccola fogliolina posatasi sui miei capelli durante la notte di continuare a rimanervi.

Larou ancora dormiva e la luce della foresta era fin troppo fioca per essermi ridestato ben oltre le sei del mattino, insieme alla leggera nebbiolina che di lì a poco si sarebbe diradata.

Scavalcai il mio compagno con minuzioso silenzio e in punta di piedi, dopodiché salii sul rialzo di terreno, aprendo lo sguardo al panorama boschivo, ma un dettaglio, prima rimasto inosservato, sconvolse la mia vista.

Il mio zaino era sparito e con esso anche il mio portafortuna. Al suo posto, fra i fili d'erba, v'era un piccolo pezzo di tessuto d'un colore che non apparteneva ad alcuno degli indumenti da noi posseduti.

I miei sensi, non ancora lucidi, furono fulmineamente sollecitati, e fu solo allora che la mia mente si risvegliò davvero.

Non v'era alcun dubbio: qualcuno aveva rubato il mio zaino.

– Impossibile, impossibile, – continuavo a dire a me stesso, voltandomi in continuazione in direzioni del bosco sempre diverse, come nella speranza di vedere lo zaino riapparire in un angolino di poco distante, – Chi potrà mai essere stato?

Iniziai a ipotizzare tantissimi scenarii, ma nessuno che potesse spiegare esaustivamente l'accaduto:

"Un animale particolarmente malandrino? Non si spiegherebbe il tessuto." Fu la mia prima ipotesi.

"Qualcuno della città sul promontorio? Non si registrano furti da anni, ed è ovvio che un paio di quindicenni in esplorazione non abbiano alcunché di valore."

Ancora, pensai: "Forse una carovana di passaggio? No... i carri avrebbero strepitato per tutta la zona, accompagnati dai versi degli animali e alla luce delle torce. Ci saremmo svegliati subito, soprattutto Larou".

E infine: "Qualcuno dei nostri compagni? Che sia bastato fare quel paio d'interventi in classe per indispettirli a tal punto da metterci in condizione di tale pericolo?" forse era l'ipotesi più sensata.

Non sapevo più cosa pensare.

Cercai di riprendere il controllo dei miei pensieri, tentando di capire cosa poter fare, dove quel frammento di tessuto era l'unico indizio a mia disposizione.

Avevo bisogno di procurarmi preventivamente un'arma, ma nello zaino di Larou, prevedibilmente, non v'era alcunché, siccome riponemmo tutte le cose taglienti nel mio zaino per avere un maggior ordine.

Mi accontentai di staccare un pezzo di spuntone alla base della piattaforma, quindi mi misi alla ricerca di tracce. Cercavo qualcosa che potesse indicarmi una via, come impronte sul terriccio, dell'erba insolitamente schiacciata o altri pezzi di tessuto simili al primo.

Mi allontanai verso ovest, mentre scrutavo un po' in giro acuendo la vista e, ben presto, trovai qualcosa di assai più distintivo.

Camminando, toccai istintivamente un fusto d'albero nel farmi strada tra la flora selvatica, e una volta distaccata la mano dalla corteccia, un liquido denso e più che purpureo m'imbrattò la pelle.

Mi voltai di nuovo verso l'albero e vidi la macchia che mi ebbe tinto il palmo.

– Del sangue... – dissi fra me e me, sconcertato.

Rabbrividii all'idea che la situazione potesse essere più seria di un birbantello arraffone.

Il sangue non era talmente spropositatamente copioso da aspettarsi un cadavere nelle vicinanze ma, proseguendo, iniziai a notare piccole gocce qua e là, un po' sull'erba, un po' sulle cortecce di altri alberi.

Con un pensiero smaccatamente ottimistico, immaginai che il ladruncolo non potesse essersi allontanato molto, nell'ipotesi in cui quel sangue fosse proprio il suo, e che egli stesso, prima di me, avesse appoggiato la mano sul medesimo albero, trascinandosi a fatica verso un luogo più sicuro.

Mi feci coraggio e continuai a seguire le tracce, stringendo con forza il mio paletto legnoso.

La scia di sangue continuava fiancheggiando la base della collina, fino a inabissarsi nell'oscurità di una piccola grotta scavata nel fianco della stessa altura.

A vederla, era abbastanza celata dalla vegetazione da poter fungere come buon nascondiglio, e nemmeno talmente profonda, almeno in apparenza, da diventare troppo buia e insidiosa.

Il ladruncolo avrebbe dovuto essere per forza là dentro, per giunta ferito.

Strinsi i denti ed entrai a piccoli passi, lanciando sguardi in ogni direzione a ogni singola avanzata.

Un rumore improvviso mi fece trasalire. Mi voltai d'istinto.

Guardai di nuovo nel verde della foresta e vidi uno di quei piccoli esserini luminosi fluttuare attorno a un cespuglio. Quel suono doveva provenire dunque dall'innocua creaturina, ma non mi tranquillizzai affatto e la tensione non faceva che salire.

Mi feci nuovamente forza e continuai ad avanzare, seguendo le piccole macchie di sangue che tingevano la pietra.

Ero troppo teso per apprezzare la parete interna della grotta, ma anche in quella situazione era impossibile non notarne le peculiarità, ma subito dopo dissi a me stesso che non fosse il momento di tergiversare. Forse volevo concludere che non vi fosse nessuno, trattare quel luogo con la normale confidenza con cui mi approcciavo al resto dell'ambiente, ma la sensazione che il malfattore fosse lì era troppo alta per essere ignorata.

Con lo sguardo piantato al suolo, le tracce parvero terminare improvvisamente in un punto al centro della grotta.

– Ma... il sangue si ferma all'improvviso... – dissi fra me e me, stupito ma anche intimorito.

"Cosa può significare un'interruzione così repentina della tracce?" mi chiesi.

Le tracce s'interrompevano senza senso palese, ma l'istante immediatamente seguente, dopo aver guardato meglio la disposizione delle macchie di sangue, capii:

"No, non si fermano..." pensai, per poi esclamare a piena voce:

– Tornano indietro!!

Mi girai di scatto, e un nuovo rumore, stavolta non correlato alla creaturina di prima, eruppe nel silenzio.

All'ultimo secondo percepii una scura ombra con la coda dell'occhio venirmi incontro.

Non feci neanche in tempo a voltarmi ché caddi a terra svenuto.

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