La mia salvezza

By DayStonege

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#3° romanzo della serie della salvezza Alexander Laspek vorrebbe una vita comune. Famiglia, lavoro e amici. M... More

CAST
Prologo
Capitolo uno
Capitolo due
Capitolo tre
Capitolo quattro
Capitolo cinque
Capitolo sei
Capitolo sette
Capitolo otto
Capitolo nove
Capitolo dieci
Capitolo undici
Capitolo dodici
Capitolo tredici
Capitolo quattordici
Capitolo quindici
Capitolo sedici
Capitolo diciassette
Capitolo diciotto.
Capitolo diciannove
Capitolo venti
Capitolo ventuno
Capitolo ventidue
Capitolo ventitré
Capitolo ventiquattro
Capitolo venticinque
Capitolo ventisei
Capitolo ventisette
Capitolo ventotto
Capitolo ventinove.
Capitolo trenta
Capitolo trentuno
Capitolo trentadue
Capitolo trentatré
Capitolo trentacinque

Capitolo trentaquattro

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By DayStonege


«Guarda, papà! Sta arrivando lo zio Lex!».

Fa caldo ed ho aperto i finestrini dell'auto, è per questo che sento la voce della piccola Zaji.

Eccola lì, con gli strettissimi riccioli marroni e un sorriso bianco. Mi indica col ditino, aldilà del cancello chiuso. A quelle parole, Arran estrae dalla tasca dei pantaloni un piccolo telecomando e lo punta verso di me.

Era un bel pezzo che non venivo a casa di mio fratello, l'ultima volta è stato perché Carmen era venuta a cercarmi. O forse no. Nemmeno lo ricordo, sono troppo concentrato sul mio dolore.

Il solo pensare a lei mi stringe lo stomaco in una morsa di ferro. Chiudo gli occhi per qualche istante, mentre sento l'amarezza scorrere nella gola, nell'esofago e poi ancora giù fino alla parte più intima di me. È come aver ricevuto una coltellata su una ferita che non ha mai smesso di sanguinare.

Quando riapro gli occhi vedo che il cancello di Arran si sta aprendo lentamente, così conduco l'auto fino al giardino e poi sotto la tettoia costruita appositamente per tenere le auto all'ombra. Parcheggio accanto all'Alfa Romeo di Ella e scendo.

Per un attimo mi stupisco che lei abbia scelto un auto del genere pur avendo cinque figli al seguito.

"Ma che me ne frega", penso successivamente e mi avvio verso il porticato, dove Arran mi aspetta con le mani sprofondate nelle tasche. Inizialmente mi sorride, ma poi, notato il mio malumore, muta la sua espressione in un piccolo sorriso timido e stentato.

La piccola Zaji mi corre incontro abbracciandomi all'altezza delle ginocchia. «Ciao zio Lex!», esclama, con voce gioiosa.

Ultimamente i marmocchi di Ella mi adorano ed io non posso dire di non ricambiare il sentimento. Sono uno stronzo, ma non fino al punto di odiare dei bambini innocenti. Oltretutto, mi sono ritirato dal servizio militare con le migliori intenzioni.

«Ehi, piccoletta», la saluto, prendendola fra le braccia.

Lei mi fa un mega sorriso, ma poi scalpita per scendere, così l'accontento.

«Hai una faccia stanca», constata Arran.

Scrollo le spalle. «Sono solo stanco».

«Non avete ancora risolto, vero?».

Faccio una smorfia e mi esimo dal rispondere.

Zaji mi trascina per un braccio. «Zio, vuoi vedere il laghetto delle tartarughe? Lo ha costruito il nonno».

«Ma certo», le concedo.

Mi lascio condurre pochi metri più lontano e subito la piccola inizia a dare minuscoli gamberetti puzzolenti alle tartarughe. Io ed Arran rimaniamo dietro di lei. È talmente assorta nel compito che si è momentaneamente dimenticata di me.

«Bé'...non hai una bella cera», commenta Arran.

«Devo solo riposare ancora».

«Certamente. Comunque, se vuoi tenere la mia auto, vai tranquillo».

«Sono venuto a riportartela», dico, «ho sempre detto di volerne comprare una, adesso è arrivato il momento».

«Quella che ti aveva fornito Björn che fine ha fatto?».

«Sequestrata».

«Anche le pistole?», chiede, speranzoso.

Sollevo lo sguardo verso di lui. «Per la vostra felicità, anche quelle».

Lui sembra visibilmente sollevato. «Hans ti ha già chiamato? Sai già quando inizierà il processo?».

Scuoto il capo. «No, prima dovranno interrogare Björn e Flavia».

«Ma è davvero così arrabbiata con te?».

Sbuffo. «Più di quanto pensassi. Adesso sa anche di Flavia. Quella stronza gliel'ha raccontato e le ha persino mostrato il filmato».

«Non deve essere stato bello», commenta lui.

«Che filmato?».

La voce stridula mi è familiare e so già di chi si tratta, mentre io ed Arran ci voltiamo contemporaneamente.

«Allora?», chiede Ella, spazientita.

«Tesoro», fa Arran, conciliante, «non ci riguarda».

Lei stringe gli occhi a fessura. «Tu sai di cosa si tratta».

«Non per mia scelta», le spiega Arran.

Ella posa gli occhi verde-azzurri di me. «So che ti faranno un processo per violenza sessuale su minore».

«Così pare», commento, saccente.

«Ho letto il tuo fascicolo».

«Non avresti dovuto».

«Non avrei dovuto», ammette lei, «ma l'ho fatto. Anne era come impazzita. Perché sei qui?».

«Ho riportato indietro l'auto».

«Dovresti andare da lei», mi dice, fissandomi intensamente.

«Lei non mi vuole più», commento tristemente.

Lei solleva un sopracciglio. «Nemmeno io ti vorrei, ma non è di Carmen che sto parlando».

Sto per dire qualcosa, ma lei mi interrompe.

«Non sono la più grande fan di tua madre», mi spiega, con voce ferma e tono autoritario, «ma le devi delle spiegazioni. Non ti voglio qui finché non gliele avrai date».

«Io non...».

«L'ultima volta che ho avuto modo di controllare avevi le palle», mi interrompe ancora, «non posso e non voglio rifarlo, perciò fai in modo che restino dove sono e non appassiscano».

Detto questo se ne va sculettando, lasciandomi lì impalato.

L'allusione al nostro schifoso rapporto sessuale non mi fa nessun effetto, ma so che può farlo ad Arran. Quando poso gli occhi su di lui, però, ha uno sguardo impassibile.

Deve essere questo quello che succede quando hai una relazione solida, in cui sei sicuro al cento per cento di chi ti sta di fronte: niente ti può scalfire.

«Credo mi abbia appena dato degli ordini», commento.

Arran ridacchia. «Mia moglie è autoritaria, specie da quando abbiamo avuto questa carrellata di figli».

«Appunto. Gli altri dove sono?».

«I gemelli sono al nido, andrà a prenderli papà, da bravo nonnino. Hans ormai è abbastanza grande per occuparsi di Vincent e riportarlo a casa. Zaji è qui perché le sue maestre scioperano, oggi».

«Capisco».

«Lex», mi chiama ed io già so cosa sta per dirmi, «va dalla mamma, non perdere altro tempo».

***

Il silenzio carico di tensione che aleggia nella stanza mi fa stare male. Ho gli occhi fissi sulla tazzina di caffè bollente e non ho ancora avuto il coraggio di sollevarli.

Sono seduto al tavolo della cucina dei miei genitori, mentre mio padre sorseggia tranquillamente il suo caffè e mia madre traffica rumorosamente con alcune stoviglie e china sul lavandino mi da le spalle.

Quando mi decido ad alzare timidamente lo sguardo, mio padre mi fa mezzo sorriso, lanciando un'occhiata all'orologio che ha al polso. «Tra poco andrò a prendere i gemelli all'asilo», poi si rivolge a mia madre, «abbiamo gli omogeneizzati oppure mi fermo a comprarli?».

Mia madre non lo guarda, ma apre un paio di sportelli e li sbatte con veemenza. «Ci sono quelli al pollo, ma al piccolo Christopher non piacciono. Bé'...ora che ci penso nemmeno Josef impazzisce per questo tipo di cose. Prendi delle lenticchie al market qui sotto, quelle le mangiano entrambi volentieri».

Mio padre annuisce e torna a sorseggiare il suo caffè.

A quel punto decido che è meglio iniziare a parlare. Ingollo buona parte del caffè e finalmente parlo. «C'è qualcosa in particolare che vorreste chiedermi su ciò che è successo?».

Vedo mia madre irrigidirsi e gettare con veemenza il piatto sul lavello, tanto da romperlo.

Sia io che mio padre sobbalziamo, mentre lei si volta e mi incenerisce con lo sguardo. «Ho già letto abbastanza in quella dannata cartelletta».

Sospiro. «Hai letto un freddo riassunto stilato da Hans, il mio avvocato. Non vuoi la mia versione?».

Mia madre si acciglia. «Sai dove puoi infilarti la tua versione?».

«Anne!», l'ammonisce mio padre, «Che cavolo dici?».

«Mamma, io...».

«Non ho intenzione di ascoltarti! Tutto per una donna poi, puah!», mi schernisce.

«Anne», la richiama mio padre, «siediti accanto a me e stai a sentire cosa ha Alexander da dirci. Glielo dobbiamo».

Lei spalanca la bocca. «Come puoi...».

«Come posso?», fa lui, sorpreso, «Glielo devo, Anne. Si è sempre comportato da figlio responsabile e posso anche concedergli di darmi una spiegazione ai suoi strani comportamenti! Ci ha tenuti a galla per due anni, non dimenticarlo solo perché sei arrabbiata con lui».

Mia madre rimane molto sorpresa dalle parole di mio padre ed io con lei. È la prima volta in vent'anni che fa riferimento a quel brutto periodo.

Mi dimeno sulla sedia, in difficoltà, mentre mia madre prende posto allo stesso tavolo.

«Okay, immagino vi ricordiate di quando ho raccontato di aver salvato Carmen da uno scippo e che sono stato costretto ad accettare una cena».

Entrambi annuiscono.

«È stato prima di questa cena che ho conosciuto Flavia Zimmerat e bé'...ci sono finito a letto. Non sapevo chi fosse, conoscevo solo il suo nome di battesimo e lei aveva omesso di essere minorenne. Io stesso sono quasi morto di infarto quando ho scoperto quanti anni avesse e che, soprattutto, era la figlia di quell'uomo. Oltretutto, lei ha iniziato a ricattarmi».

«E come un allocco hai accettato di lavorare per loro!», sentenzia mia madre.

«L'ho fatto sotto consiglio di un avvocato», mi difendo, «poi suo padre l'ha spedita in un collegio all'estero e non l'ho più vista fino al suo arresto in Italia, giusto l'altro giorno».

«Bé'...suppongo non ti sia bastata la figlia ed hai ripiegato sulla moglie», sputa mia madre.

Il suo tono accusatorio mi fa male, ma cerco di non darlo a vedere. «Non è andata così, mamma. Noi ci siamo innamorati».

«E credi davvero che lei ti ami?», mi sfotte lei, sicura di sé, «Non pensi che abbia voluto semplicemente ricordarsi come fosse andare a letto con un uomo più giovane e bello?».

Sto per esplodere dalla rabbia, ma cerco di contenermi. «Non è andata così».

Lei sbatte un pungo sul tavolo. «Ma cosa diavolo ti aspettavi da un'ex prostituta? Una puttana, Lex, una donna da marciapiede!».

A quel punto ci vedo talmente rosso che, non riuscendo più a contenermi, mi alzo in piedi facendo cadere dietro di me la sedia su cui ero seduto. «Lei è la donna che amo e tu non hai il diritto di parlare così di lei! Non la conosci», urlo con tutte le mie forze, ma l'espressione sgomenta di mia madre mi spinge ad abbassare la voce, «non sai niente di lei, mamma! Io so tutto e non ti racconterò nulla, in ogni caso. Quella donna ha passato l'inferno e non merita di essere giudicata da nessuno di noi! E, se mai lei dovesse decidersi di perdonarmi per i miei errori, la vedrai al mio fianco! Non costringermi a scegliere!».

Nervoso, sollevo la sedia e mi rimetto a posto.

«Ti ricordi di Elsa, mamma?», le domando, ad un certo punto.

Lei, esterrefatta, posa gli occhi su di me. «Se ci penso, ce l'ho ancora davanti. È impossibile dimenticarla».

Constato con stupore che parlare di lei non mi fa soffrire come prima, ma sorridere per i nostri bei momenti, anche se ripenso al modo in cui me l'hanno strappata via fremo ancora di rabbia. «È stata uccisa, non è stato un banale incidente».

«Cosa? E da chi?», chiede mio padre, scioccato.

«È stato Björn Zimmerat, ubriaco alla guida della sua auto. Carmen mi ha fornito le prove necessarie per incriminarlo, ma poi le cose sono andate per il verso storto», racconto, «quel bastardo ci spiava e non solo sapeva che eravamo amanti, ma che Carmen mi aveva raccontato del giro di droga e prostitute e che ci eravamo accordati col commissario Luirsman per incriminarlo. Fortunatamente per noi, ha fatto comunque dei passi falsi, tra cui il rapimento di Carmen, che ha permesso agli agenti di arrestarlo. Avevano già diverse indagini aperte su di lui, ma ancora nessuna prova schiacciante. Io e la donna che amo abbiamo rischiato entrambi la vita per questo. È stato questo che ci ha uniti e, allo stesso tempo, separati», concludo con amarezza.

A quelle mie parole, segue un lungo silenzio, finché mio padre non si alza da tavola. «Per quanto mi riguarda, Lex, non giudicherò quella donna per il suo passato e se è lei che vuoi al tuo fianco non sarò di certo io ad oppormi. Sei abbastanza adulto per fare le tue scelte, come tuo fratello Arran. Credo tu sappia già quanto Ella si sia battuta per farsi accettare dalla nostra famiglia», dice posando gli occhi su mia madre, «adesso devo andare a prendere i bambini dall'asilo», annuncia e dopo avermi dato una pacca sulla testa esce di casa.

Mia madre fissa il tavolo con un'espressione indecifrabile e non osa rivolgermi la parola. Credo si stia rendendo conto di aver esagerato. Decido di andare in bagno a farmi una doccia, visto che qui ho ancora dei vestiti. La lascio al tavolo e, quanto torno una ventina di minuti dopo, è ancora lì che la trovo.

«Mamma, per favore...», la imploro.

Lei alza la testa, scuotendo i ricci neri. «Ti ho sempre difeso», inizia, con voce dura, «quando hai tentato di prenderti la donna di tuo fratello per ripicca, io ti ho difeso a spada tratta, nonostante fossi indifendibile. Ho preferito dare la colpa a lei e ho fatto soffrire a morte tuo fratello. Alle fine, volente o nolente, Ella è la madre dei miei nipoti, che amo alla follia. Io non sono una sua fan e nemmeno lei lo è di me, ma ci sopportiamo punzecchiandoci di tanto in tanto per amore di tuo fratello e i bambini. Posso farlo anche con te, perché per me tu ed Arran siete due once di ugual peso nella bilancia del mio cuore. Ma non ti aspettare che da oggi al domani io impazzisca per quella Carmen. Vedrò sempre in lei la donna che ha quasi fatto ammazzare mio figlio. Non potrò rimanere arrabbiata con te per sempre, ma con lei sì. Per me è una totale estranea ed una macchia nera nella mia famiglia. Avrei desiderato sicuramente due donne diverse per i miei figli, ma voi avete il libero arbitrio».

Rimango lì impalato, intontito dalle sue parole piene di veleno, ma poi mi tocca arrendermi alla realtà dei fatti. Mia madre ha un carattere di merda, ed io ho sicuramente preso da lei. Nonostante Ella faccia parte della nostra famiglia ormai da anni, lei ancora non l'accetta ma se la fa piacere per il bene comune, senza nasconderlo. Constato con sollievo che almeno Ella ha la decenza di farlo in maniera velata.

Sto cercando di trovare una risposta da dare a mia madre, quando qualcuno suona al campanello. Visto che lei non accenna a muoversi, vado io ad aprire la porta.

Appena la vedo sono tentato di credere alla forza del pensiero. Abbiamo parlato di lei ed eccola che si materializza. Incredibile.

Ella entra in casa, con in mano una borsetta e le chiavi dell'auto, salutandomi con un cenno del capo.

«Non ho trovato i gemelli all'asilo», spiega, «la maestra ha detto che li ha presi Josef. Forse si è dimenticato che oggi sarei andata io».

«È uscito per quello», confermo, «ma non è ancora tornato».

Ella fa saltare lo sguardo tra me e mia madre, che non la degna di un'occhiata.

«Preparerò delle lenticchie ai gemelli», è tutto quello che le dice.

«Bé'...allora ne approfitto per andare a dare una mano ad Arran in ufficio», azzarda Ella.

Guardo mia madre, alla ricerca delle parole giuste da dirle, ma capisco dalla sua espressione che non c'è niente che io possa dire o fare per farla ragionare.

«Va bene, io vado allora», annuncia Ella.

«Aspettami», la blocco, «vengo anch'io».

Ella annuisce ed insieme usciamo di casa, senza salutare nessuno. Quando siamo in strada, Ella apre la sua Alfa con il telecomando. «Hai una faccia di merda», constata.

«Non è la mia giornata».

«Scusa per quello che ho detto prima», dice ad occhi bassi, «potevi tornare a casa mia anche senza averle parlato».

Mi passo una mano sul viso. «Non preoccuparti, so che l'hai detto per spronarmi. Magari la prossima volta eviti allusioni sul mio corpo nudo davanti ad Arran».

Lei fa una smorfia. «È abituato a cadute di stile peggiori, ma hai ragione. Tua madre ti ha fatto a pezzettini, eh?».

«Diciamo che oggi ho veramente capito chi è mia madre e che, soprattutto, non posso farci niente».

Lei solleva un sopracciglio. «Ho del tempo prima che Arran apra lo studio. Facciamoci un giro».

Mi fa un cenno con la mano ed entra nella sua auto, così io la imito sedendomi al lato passeggero.

Ella fa partire l'auto e dopo aver fatto manovra ed essere uscita dal parcheggio, ridacchia. «Scommetto che ti ha ribadito quanto mi odia».

«E di quanto odierà Carmen».

Ella ride a bocca spalancata e mi rendo conto che è davvero bella. Non quanto Carmen, almeno ai miei occhi, ma con la bocca rosa e gli occhi verdi azzurri è veramente carina. «Non conosco questa donna», mi dice mentre cambia marcia, «ma se è riuscita ad affrontare tutto quello che è successo con suo marito, sopportare tua madre sarà una bazzecola».

«Hai letto anche tu il fascicolo».

Lei sbuffa. «Purtroppo sì. Me ne sono pentita, se ti consola».

«Quindi sai del passato di Carmen».

Lei mi lancia un'occhiata e cambia nuovamente marcia, per poi rallentare e parcheggiare. Scende dall'auto ed io faccio lo stesso. Dopo aver chiuso l'auto con il telecomando, inizia a camminare, avviandosi verso l'entrata di Viktoriapark. È stata veloce, quindi faccio una corsetta di qualche istante per raggiungerla.

«Passeggiamo», mi dice.

La osservo per la prima volta con occhi diversi. Cammina fiera sulle sue gambette corte, fasciate da dei pantaloni di pelle a vita bassa. È piccola ed è davvero carina, direi seducente, ma il mio giudizio si ferma lì. Non me la farei nemmeno fosse l'ultima donna rimasta nell'universo. «Perché mi hai portato qui?».

«Mi piace questo parco», mi dice, «spesso ci porto i bambini. Comunque sì, so del passato di Carmen».

«E tu...».

«Ed io non la giudicherò», mi interrompe, «non ho mai...fatto quello che mi ha fatto lei, ma anche a me è stata addossata l'etichetta della puttana. So come si ci sente. Tua madre me lo ricorda spesso, ma io non ho mai dato peso a questa cosa».

«Sembra dura», ammetto.

«Lo è. Lo hai visto con i tuoi stessi occhi, oggi. Ma Arran è la cosa migliore che potesse capitarmi e non ho mai voluto rinunciarci. Almeno, non ora. Perché ti assicuro che i primi due anni della nostra relazione non sono stati rose e fiori».

«Io ho contribuito a renderli tali».

«Non per molto», ammette, «io parlo anche di prima. Non hai idea di quanto Arran abbia insistito con me. Quando l'ho incontrato, io amavo un altro uomo ed lui era solo quello che volevo portarmi a letto per vendicarmi».

«Vendicarti?».

«Io ed Arran siamo coetanei e, in passato, abbiamo frequentato la stessa scuola, prima che lui proseguisse gli studi alla scuola avanzata. Quelli sono stati altri anni bui della mia vita, ma quell'anno in particolare ero una semplice ragazza sovrappeso, che tuo fratello aveva preso di mira. Immaginami qualche anno fa: consapevole di essere dimagrita ed essere diventata una bella donna, voglio far sbavare il tormento della mia adolescenza per vendicarmi di lui. Solo che i miei progetti sono andati a monte quando lui si è realmente innamorato di me», mi racconta con un sorriso nostalgico, «Io ho fatto di tutto per allontanarlo da me, ma lui non si è mai arreso».

«Stravedi per lui», constato, «perché lo allontanavi?».

Lei ridacchia. «Ora sì. Prima, quando ci siamo conosciuti, amavo un altro uomo. Un uomo che mi ha fatto molto male, sia fisico che psicologico».

«Ti picchiava?», chiedo, col cuore in gola.

«In realtà l'ha fatto una volta soltanto. Però, quando ormai stavo insieme ad Arran da due anni, si è fatto venire in mente di rapirmi», si avvicina e mi indica la sua fronte, «vedi questa cicatrice? È stata il suo regalo di addio».

Mi si contorce lo stomaco al solo pensiero di cosa lei abbia potuto passare e, se avessi quell'uomo di fronte, lo ucciderei con le mie stesse mani. «Deve essere stato...».

«...orribile, sì», completa per me, «ma mi sono anche resa conto di quanto fosse diverso Arran da qualsiasi uomo che io avessi mai conosciuto e di quanto fossi fortunata ad averlo con me».

«È una bella storia da raccontare ai nipotini», commento.

Lei scuote il capo. «Nessuno saprà mai niente. Questa storia la conoscono in pochi e vorrei che fosse così per sempre», mi intima ed io annuisco, «vedi, non è solo il fatto di rendersi conto di essere innamorata di un uomo. Arran mi ha proprio insegnato cos'è l'amore. Come ad una bambina a cui insegni ad usare il gabinetto ed abbandonare il rassicurante pannolino. Scusa per il paragone, ma vista l'età sto abolendo il pannolino alla piccola Zaji e non riesco a pensare ad altro se non a quanta merda in meno smetterò di spalare, entro la fine dell'estate».

Mi ritrovo a ridacchiare. «Perdonata. Comunque, di questo ne sono stato testimone. Ricordo certe tue parole...».

«Quando volevo allontanare Arran da me», mi interrompe, «ho abusato dell'etichetta della puttana che mi era stata affibbiata. Gli ho mostrato che ero solo un trastullo per gli uomini, che potevo usare il sesso come un'arma per ottenere tutto ciò che volevo. E lui sai cos'ha fatto? La sera che gli aperto la porta di casa mia, con la mia migliore lingerie addosso e nient'altro, ha preso una vestaglia e me l'ha messa addosso, implorandomi di smettere di sminuirmi in quel modo e che avrei potuto fare qualsiasi cosa per ingannarlo ma lui era già andato oltre qualsiasi pregiudizio».

Non diciamo niente per qualche minuto e camminiamo ancora per qualche minuto, finché non lei non prende di nuovo la parola.

«Sai perché ti ho raccontato questa storia?», chiede, all'improvviso.

Scuoto il capo.

«Sei sempre il solito idiota», mi sfotte, «la rivuoi o no la tua Carmen?».

Alla sua menzione, mi metto sull'attenti. «Ma certo!».

Blocca la nostra andatura, piazzandosi davanti a me, a braccia conserte. «Allora capisci perché ti ho raccontato di me e tuo fratello? Lui mi ha conquistata, Lex. Non mi sono innamorata dei suoi bicipiti, del sorriso o della sua bravura nelle arti amatorie. Mi sono innamorata di lui e del suo amore per me. E se l'ho fatto io, una mangia uomini incallita, può farlo anche Carmen. Lei dev'essere la tua aria, il tuo respiro, la ragione per cui apri gli occhi la mattina».

«Lo è», confermo, «te lo giuro, Ella...lo è».

«Questo l'avevo capito anch'io, ma è a lei che devi dimostrarlo».

«Non vuole più vedermi...».

«E chi se ne frega?», urla, facendo voltare un paio di teste, «Combatti, Lex! Dimostrale che l'ami, che non puoi vivere senza di lei e che te sbatti il cazzo di chi sia stata lei in passato! Sii petulante, se necessario. E non parlo solo di fiori, sesso appagante e cene costose. Dille ogni giorno ciò che pensi di lei, di quanto è bella, di quanto tu sia innamorato di lei alla follia...diglielo sempre! Anche quando lei sarà arrabbiata, quando ti respingerà e quando crederà che mollerai al suo rifiuto. Soffocala d'amore. Solo d'amore. Stringi le mani al suo cuore, non al suo collo o al suo sedere. Sii l'uomo che le cambierà la vita e che renderà i suoi risvegli ogni volta migliore dei precedenti».

Rimango inebetito davanti al suo fervore, mentre il mio cervello elabora le sue parole. Noi uomini siamo molto lenti in questo, devo ammettere.

«E, soprattutto, smetti di guardarmi con quella faccia da pesce lesso perché tra poco ti do un calcio nelle palle», borbotta, acida.

D'istinto mi ritraggo, ma le sorrido. «Non serve la violenza».

Lei solleva un sopracciglio. «Lo spero».

Le sorrido ancora. «Mi dispiace per ciò che ti ho detto in passato».

Lei alza gli occhi al cielo. «Sarai perdonato solo quando la tua Carmen siederà alla mia tavola».

Il mio sorriso si allarga, alla prospettiva. «Tu...vorresti frequentarla?».

Lei fa una faccia allibita. «Secondo te perdo l'occasione di aggiungere un nuovo membro al club "Odiamo Anne più della candida vaginale"?».

Mi ritrovo a ridere a crepapelle, nonostante l'allusione all'antipatia di mia madre per Carmen. «Credo proprio di no».

Mi sorpassa ed inizia a camminare, mentre mi parla sa sopra la spalla. «Adesso torniamo indietro e ti riporto all'auto di Arran. Tornerai da lei e le dimostrerai ciò che realmente provi e la riconquisterai».

Rido ancora e, con il cuore decisamente più leggero e speranzoso, la seguo come un soldatino obbediente.


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