Capitolo diciassette

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Sia - The Greatest

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Sia - The Greatest

«Ma come si permette quella...quella...».

Seguo Carmen in silenzio, con un perenne sorriso cucito sul volto. Lei mi sta davanti, mentre siamo diretti all'auto che ho lasciato in fondo al viale. Pesta i tacchi furiosamente, contro l'asfalto innocente. Marcia a passo di carica, imprecando, col fiato corto.

Non riesco a farmi scappare una risatina.

Lei si volta verso di me, inorridita, puntando le mani sui fianchi. «E tu ridi, pure?», mi chiede.

Metto le mani nelle tasche dei pantaloni, godendomi le sue espressioni. È molto arrabbiata. Ed è bellissima. Ma non lo dirò ad alta voce, nemmeno sotto tortura. «E cosa dovrei fare?», le chiedo, divertito.

«Avresti dovuto intervenire, invece di startene lì a goderti la scena».

Ma certo, come se non fosse stato memorabile. «Siamo passati al tu, adesso, signora Zimmerat?», le chiedo, con un sopracciglio sollevato.

«Al diavolo!», esclama lei voltandosi e continuando la sua marcia.

Con un sorrisetto sulle labbra riprendo anch'io la marcia, senza risparmiarmi lunghe occhiate al suo sedere. «Davvero molto fine, signora. Questo lo ha imparato nell'alta società berlinese?».

«Taci!», mi ordina, senza voltarsi ne fermarsi.

Rido di gusto e lei arresta nuovamente la sua marcia.

Si volta, togliendosi i capelli dal viso. «Vuoi smetterla?».

«Di fare cosa?».

«Di ridere».

«Non lo farò», ribatto.

Caccia una ciocca di capelli lisci dietro l'orecchio. «Ti piace davvero così tanto?».

Capisco immediatamente a cosa si riferisce e non mi va nemmeno di fingere con lei. Chi se ne importa, di quello che pensa, di quello che vuole. «Sì».

La sua bocca si spalanca. «Non cerchi nemmeno di dissimulare!».

Faccio schioccare la lingua, sfoderando il mio miglior tono saccente. «Perché, dovrei?».

Lei, per tutto risposta, fa un urletto esasperato. Poi ringhia. Ringhia, porca puttana. Ed io non so se ridere o prenderlo come un complimento. Perché tutta questa tiritera, sta avvenendo per un solo motivo: lei è gelosa. Gelosa di me.

Devo scoprirlo.

Accelero il passo e mi piazzo davanti a lei.

Ha il fiatone e le guance arrossate. «Andiamo!», esclama.

«No, aspetta».

Caccia un altro urletto, come una bambina capricciosa. «Fammi passare!».

Un po' di persone si voltano verso di noi, incuriosite. Questo non mi piace, perché alcuni di loro potrebbero riconoscerla e farsi strani pensieri. E, peggio, potrebbero azzeccarci.

La mia salvezzaWhere stories live. Discover now