Capitolo ventuno

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Capitolo ventuno.

Passo attraverso una serie di fasi dopo che Carmen va via.

Stordimento, rabbia, paura, autocommiserazione. Queste sono le principali.

Adesso sto per attraversare quella dell'azione.

Raccolgo i miei vestiti e come una furia mi dirigo fuori dalla dependance. Arrivato al salotto, dove una cameriera sta spolverando, arresto la mia marcia e finalmente attraverso la fase del ragionamento.

Non posso introdurmi in casa Zimmerat in questo modo. Björn non c'è, ma non si sa mai. Anche se riuscissi a parlarle non potremmo comunque farlo senza essere sentiti da qualcuno.

«Le serve qualcosa?».

La vocina melensa non mi arriva subito, perché sono troppo preso dai miei pensieri. Per questo quando sollevo gli occhi, la cameriera mi guarda con la testa piegata di lato e un piccolo sorriso lascivo dipinto sul viso.

Tempo fa me la sarei fatta tranquillamente, ma non adesso. Ora ho altre priorità.

«Cosa?», chiedo.

Quella sorride di più. «Le ho chiesto se ha bisogno».

Mi passo una mano tra i capelli. «Bé', io...sì, effettivamente sì».

«Come posso esserle utile?».

«Sa dov'è la signora Zimmerat?».

La donna muove il piumino acchiappa polvere mentre parla. «Sì, è salita in camera sua. Ha detto che si sarebbe fatta un bagno, perché era molto sudata dopo la palestra».

Sollevo un sopracciglio. «Palestra?».

«Così mi ha detto».

Certo, come no. La palestra. Sono stato io la giostrina sulla quale ha saltellato per mezz'ora. Meglio di qualsiasi tapis roulant.

Scommetto che la cameriera vorrebbe saperlo, visto come mi guarda.

«Ha lasciato detto se aveva bisogno di me?», chiedo, più speranzoso di quanto vorrei.

Quella si morde il labbro. È carina, gliene si deve dare merito. «No, almeno non a me».

«Capisco».

«Gliela vado a chiamare?».

Soppeso per qualche istante la proposta. Mandarla a chiamare significherebbe dare nell'occhio, perché non si è mai visto un dipendente prendersi tutte queste libertà; ma allo stesso tempo mi da il vantaggio di essere sicuro che lei verrà, non rifiuterebbe davanti alla cameriera per non insospettirla.

«Se possibile».

La cameriera annuisce. «Ma certo, vado subito».

«Grazie, signora».

Lei molla lo spolverino in un angolo e sbatte le mani una contro l'altra. «Prego. Mi chiami Hannah».

Le faccio un piccolo sorriso e dopo un cenno di commiato lei si allontana, salendo le scale che portano al piano di sopra, dove io non sono stato.

Sto per prendere posto sull'immacolato divano color crema, ma cambio idea quasi subito. Questa non è casa mia ed io non sono un ospite qualunque.

Punto lo sguardo verso la scala e dopo qualche lungo minuto la vedo scendere.

Carmen si è cambiata i vestiti e adesso indossa un castigato tubino nero, mentre una vistosa collana rossa le pende dal collo. I sandali dal tacco alto, di default nel suo solito abbigliamento, picchiettano a ritmo sul povero marmo che sicuramente sta graffiando.

La mia salvezzaWhere stories live. Discover now