Capitolo trentaquattro

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«Guarda, papà! Sta arrivando lo zio Lex!».

Fa caldo ed ho aperto i finestrini dell'auto, è per questo che sento la voce della piccola Zaji.

Eccola lì, con gli strettissimi riccioli marroni e un sorriso bianco. Mi indica col ditino, aldilà del cancello chiuso. A quelle parole, Arran estrae dalla tasca dei pantaloni un piccolo telecomando e lo punta verso di me.

Era un bel pezzo che non venivo a casa di mio fratello, l'ultima volta è stato perché Carmen era venuta a cercarmi. O forse no. Nemmeno lo ricordo, sono troppo concentrato sul mio dolore.

Il solo pensare a lei mi stringe lo stomaco in una morsa di ferro. Chiudo gli occhi per qualche istante, mentre sento l'amarezza scorrere nella gola, nell'esofago e poi ancora giù fino alla parte più intima di me. È come aver ricevuto una coltellata su una ferita che non ha mai smesso di sanguinare.

Quando riapro gli occhi vedo che il cancello di Arran si sta aprendo lentamente, così conduco l'auto fino al giardino e poi sotto la tettoia costruita appositamente per tenere le auto all'ombra. Parcheggio accanto all'Alfa Romeo di Ella e scendo.

Per un attimo mi stupisco che lei abbia scelto un auto del genere pur avendo cinque figli al seguito.

"Ma che me ne frega", penso successivamente e mi avvio verso il porticato, dove Arran mi aspetta con le mani sprofondate nelle tasche. Inizialmente mi sorride, ma poi, notato il mio malumore, muta la sua espressione in un piccolo sorriso timido e stentato.

La piccola Zaji mi corre incontro abbracciandomi all'altezza delle ginocchia. «Ciao zio Lex!», esclama, con voce gioiosa.

Ultimamente i marmocchi di Ella mi adorano ed io non posso dire di non ricambiare il sentimento. Sono uno stronzo, ma non fino al punto di odiare dei bambini innocenti. Oltretutto, mi sono ritirato dal servizio militare con le migliori intenzioni.

«Ehi, piccoletta», la saluto, prendendola fra le braccia.

Lei mi fa un mega sorriso, ma poi scalpita per scendere, così l'accontento.

«Hai una faccia stanca», constata Arran.

Scrollo le spalle. «Sono solo stanco».

«Non avete ancora risolto, vero?».

Faccio una smorfia e mi esimo dal rispondere.

Zaji mi trascina per un braccio. «Zio, vuoi vedere il laghetto delle tartarughe? Lo ha costruito il nonno».

«Ma certo», le concedo.

Mi lascio condurre pochi metri più lontano e subito la piccola inizia a dare minuscoli gamberetti puzzolenti alle tartarughe. Io ed Arran rimaniamo dietro di lei. È talmente assorta nel compito che si è momentaneamente dimenticata di me.

«Bé'...non hai una bella cera», commenta Arran.

«Devo solo riposare ancora».

«Certamente. Comunque, se vuoi tenere la mia auto, vai tranquillo».

«Sono venuto a riportartela», dico, «ho sempre detto di volerne comprare una, adesso è arrivato il momento».

«Quella che ti aveva fornito Björn che fine ha fatto?».

«Sequestrata».

«Anche le pistole?», chiede, speranzoso.

Sollevo lo sguardo verso di lui. «Per la vostra felicità, anche quelle».

La mia salvezzaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora