Capitolo tre

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Maroon V - Stutter

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Maroon V - Stutter

"Oggi pranzeremo in casa di Ella ed Arran. Devi esserci anche tu, perché è arrivato il momento di affrontare la cosa. Vedrai che andrà tutto bene. Non tardare".

Rileggo, sconsolato, il messaggio che mi ha mandato mia madre e mi preparo psicologicamente all'impatto. Non vedo mio fratello ed Ella, se non via Skype, da tanto tempo. Sono ancora sul taxi che ho dovuto pagare il doppio perché i Zimmerat avevano pagato fino alla via che avevo cominicato, cioè quella della casa dei miei genitori. Ho dovuto pagare la differenza da solo per il resto del tragitto. La cosa mi fa incazzare parecchio.

Cosa? Non mi credete?

Avete ragione, in effetti.

Il fatto è che non so nemmeno io perché sono di umore così nero. Sembro una donna in piena sindrome pre-mestruale.

Dopo essere sceso dal taxi rimango per dieci minuti buoni davanti al cancello di casa di mio fratello. Da quando ha tutti quei marmocchi al seguito ha deciso di rendere automatico il cancello, così sono costretto a suonare il campanello. Sto per farlo, ma il mio polpastrello del dito indice non ha nemmeno il tempo di entrare nella traiettoria e di far centro sul bottone. Il cancello, inspiegabilmente, si apre. Stupito, ci passo attraverso e mi dirigo verso la casa, trascinando le mie valigie. Mi fermo di scatto, quando sento qualcosa muoversi dietro di me. Ma non sono abbastanza veloce. In un lampo, quelli che sembrano una dozzina di bambini, mi saltano addosso. Mi dimeno, ma ci sono ragazzini che si appendono alla mia giacca, al mio braccio, che cercano di scalare le mie gambe, che sbavano sul mio ginocchio. Pochi secondi dopo, parte un coro di urla e vengo sbattuto a terra. Visi di bambini sdentati appaiono nel mio campo visivo e non vedo mai lo stesso per due volte.

«Zio Lex!».

Due mani paffute mi schiaffeggiano e non riesco nemmeno ad aprire gli occhi. Con difficoltà riconosco Zaji.

«Smetti di picchiarmi, piccola stronzetta!», urlo, in preda al panico.

Ma niente. Nessuno la smette. Chi mi tira a sinistra, chi mi tira a destra. E c'è un tale casino, non capisco più nulla. Mi ronzano le orecchie. Fino a quando una risata malefica che conosco bene non si fa spazio in mezzo ai gridolini gioiosi.

«Bambini, adesso basta!», le sento urlare.

Immediatamente, come se fossero al cospetto di Hitler, i bambini si alzano tutti in piedi. Non so definire quanti siano, mentre all'improvviso si zittiscono. Ho il sole davanti agli occhi e non vedo nulla.

«Stai bene, Lex?».

Mi porto una mano alla fronte per contrastare la luminosità del sole ed è in quel momento che riconosco la mia ancora di salvezza. Eccola lì, tutta impettita e con i boccoli biondi lunghi fino alla vita.

«Ella!», esclamo.

«Sì, sono io. Le urla dei bambini ti hanno rincoglionito, per caso?».

Mi alzo in piedi e do le spalle al dannato sole che mi sta accecando. «Qualcuno mi ha aggredito», borbotto.

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