Capitolo diciannove

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Non sono abituato ad avere una donna nel mio letto

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Non sono abituato ad avere una donna nel mio letto. Quando la mattina mi sveglio e vedo Eva avvinghiata alla mia coscia, mi rendo conto di esserne alquanto infastidito. Il torpore dato dalla situazione è sicuramente piacevole, ma l'intero corpo di lei incollato al mio dal sudore non lo è. Forse non dovrei essere scorbutico dopo ieri sera, dopo che le ho concesso di dormire solo all'alba.

Un po' intontito, mi alzo dal letto, scrollandomi dal petto il braccio di Eva. Quando sto per avviarmi verso il bagno per fare una doccia, il rumore di qualcosa contro la porta di ingresso di fa bloccare sul posto.

«Alexander!».

Riconosco quella voce.

Mi volto verso Eva ed incontro la mia espressione colpevole sullo specchio dell'armadio, che sta affianco al letto.

Perché diamine ho questa strana sensazione? Non dovrei sentirmi in colpa.

«Alexander!».

Eppure quella voce, proprio in questo momento più di altri, mi crea un nodo alla gola.

Eva dorme beatamente, non sente nulla, ma prima che si svegli, dovrei proprio andare a vedere cosa vuole quella donna. Infilo i pantaloni della tuta che avevo abbandonato l'altro ieri sulla sedia e faccio una piccola corsetta attraverso la cucina, fino alla porta di ingresso della dependance.

La voce mi arriva più stridula quando apro la porta, appena uno spiraglio. Ed eccola lì, non mi sbagliavo. Con lei non mi potrei mai sbagliare.

«Pensavo fossi un tipo mattiniero», fa Carmen, con tono accusatorio.

Molti uomini sono intimoriti dalla furia femminile. A volte anch'io. Ma questa volta ne sono affascinato.

Carmen ha raccolto i capelli in una crocchia elegante, mettendo in mostra il levigato viso rotondo. Senza capelli sul viso, i suoi occhi sembrano ancora più grandi e profondi, perennemente dipinti di nero. Sono occhi furiosi, che fanno fuoco e fiamme, ed è proprio per questo che mi ritrovo ad adorarli più del solito.

«Lo sono», rispondo, con un sorrisetto.

Adesso non chiedetemi perché sto sorridendo come un coglione. Penso ci arriviate da soli.

Lei solleva un sopracciglio, mostrandomi il Rolex al polso. «Non sembrerebbe, visto che sono le dieci del mattino ed io ti sto aspettando in auto da un'ora».

Accidenti. «Scusami».

Qualcosa alle mie spalle cattura la sua attenzione, talmente tanto che si alza in punta di piedi per guardare meglio. «Sei solito bere del vino la sera, a quanto vedo».

Mi volto anch'io e vedo la bottiglia di vino rosso, con i due bicchieri che io ed Eva abbiamo usato ieri sera. «A volte», le dico, voltandomi di nuovo verso di lei.

La mia salvezzaWhere stories live. Discover now