Capitolo otto

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Maroon V - Sugar

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Maroon V - Sugar

Sono tante le occasioni in cui un uomo ha paura e altrettante sono le cose che lo spaventano. Più di quante vorrebbe ammettere. Essere vittima di un inganno che ti costringerà a subire delle pesanti conseguenze, per di più, è una di quelle cose che ti fa tramare le gambe. Sarà stato l'istinto che mi ha permesso di riconoscere la voce di Björn Zimmerat al cellulare, proprio nell'istante in cui il profumo di sua moglie alleggiava ancora nell'aria, proprio pochi giorni dopo che per mia disgrazia ho messo le mani sul culo di sua figlia. Sono terrorizzato al solo pensiero che Flavia abbia potuto dire qualcosa a suo padre. Forse un uomo qualsiasi ci avrebbe riso sopra, ma io non sono un uomo qualsiasi. Sono sempre stato rispettoso delle regole, ligio al dovere, un uomo integerrimo sul campo di battaglia. Un maschio dall'onore inattaccabile. Pensare che posso finire in gattabuia per colpa di una cosa che non credevo nemmeno di aver fatto mi manda in bestia.

Conscio che la situazione è abbastanza delicata, decido di chiamare Hans. Lui mi risponde immediatamente, senza convenevoli.

«Dimmi che non sei caduto di nuovo nella trappola di quella ragazzina».

«È andata anche peggio», commento, mentre cambio la marcia all'auto.

«Eravamo pronto a questo, non agitarti. Posso essere da te anche tra cinque minuti», mi rassicura.

«Ottimo», commento, «perché il padre di lei vuole vedermi. Sto andando a casa loro».

«Mandami l'indirizzo, ti raggiungerò».

«Perfetto».

Riaggancio, senza nemmeno salutarlo e tenendo lo sterzo dell'auto con le ginocchia digito velocemente l'indirizzo e lo invio. Quando sollevo lo sguardo mi rendo conto che, lassù in Paradiso, Dio deve avercela con me per chissà quale motivo.

Accendo le quattro frecce e accosto sulla destra. Un poliziotto si avvicina al mio finestrino.

«Porca puttana!», grugnisco, tra me e me.

Mi sorride anche, il bastardo. «Patente e libretto», ordina.

Butto fuori l'aria dal naso, trattenendomi dal prenderlo a pugni, e gli porgo ciò che mi ha chiesto.

Lui esamina il tutto, nel frattempo mi parla. «Non può usare il cellulare alla guida. Adesso devo farle la multa».

Lo guardo male. «Se proprio deve, la faccia, così posso andarmene».

Lui solleva un sopracciglio, contrariato, poi si sporge verso il cofano anteriore. Con la penna, mi indica il fanale. «Funziona male. Devo metterlo a verbale».

A quel punto, la mia pazienza finisce. «Ci metta anche questo».

Non so cosa mi prende, ma estraggo il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. Gli rubo la penna dalle mani, scrivo il numero di Hans su una banconota da cento euro e gliela tiro sul petto, colpendolo.

La mia salvezzaWhere stories live. Discover now