Capitolo ventisette

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«Cosa ne pensi di tutto questo?».

Scosto per pochi secondi lo guardo dalla strada per guardare Carmen, poi li punto sul manto stradale. Mi prendo qualche istante di più per risponderle perché la sua non è una domanda a caso. È una di quelle difficili a cui rispondere.

«Ci siamo dentro, ormai, quindi andrò fino in fondo. Ti preoccupa il fatto che io possa mollare tutto?», faccio.

Forse il mio tono risulta più saccente di quanto vorrei, ma il fatto è che non sono mai stato bravo con le parole. Questa non è una novità e lei lo sa benissimo. Me l'ha detto apertamente.

Contro ogni mia aspettativa, Carmen non si scompone. «Non potrei biasimarti. Dimmi la verità, Alexander, perché ti sei ritirato dal servizio militare?».

La risposta è semplice, ce l'ho sulla punta della lingua. Ma non la dico. Perché ho capito perfettamente che lei lo sa. È una donna arguta e, in effetti, ci può essere solo una motivazione per la quale un uomo come me abbandona una vita come quella. Non è difficile arrivarci.

Mi limito a scuotere il capo, rimanendo in silenzio.

«Se hai fatto ciò che hai fatto», riprende lei, «è solo perché volevi una vita tranquilla. Perché, altrimenti? È semplice arrivarci».

«Carmen...», comincio.

Lei mi interrompe. «È tutto il contrario di quello che cerchi».

«Cosa?», le domando, ma so benissimo dove vuole andare a parare.

«La domanda non è cosa, ma chi. E quel chi sono io. Carmen Zimmerat è la tempesta e tu, Alexander Laspek, cerchi quiete. Sono due cose che non possono coesistere».

Adocchio una piazzola di sosta lungo il rettilineo che stiamo percorrendo, così decido di fermarmi. Non sono bravo con le parole, questo sì, ma mi sento obbligato a portare avanti questa conversazione. Appena freno l'auto, accendo le frecce lampeggianti, per segnalare la mia posizione agli altri automobilisti, anche se potrei evitare, visto che l'autostrada è ben illuminata. Mi tolgo la cintura e mi volto verso Carmen. Lei sta seduta rigida sul sedile e mi guarda con quegli occhioni da cerbiatta, a metà tra la paura e la determinazione.

«Dimmi Carmen, cos'è il buio?», le domando, calmo.

Lei schiude leggermente le labbra, confusa. «Il buio è...non so, non mi sono mai soffermata a pensarci».

In una parte della mie mente ci sono le parole che sto per dirle. Non so chi ce le abbia messe, se sono quel che è rimasto di una lettura della mia adolescenza, ma le ripeto nello mio stesso ordine mentale. «Cos'è il buio, se non l'assenza di luce?».

Lei si acciglia e mi scruta attentamente. Non dice nulla.

«Buio e luce sono due facce della stessa medaglia. Non ti accorgi dell'una, se manca l'altra e viceversa. Lo stesso vale per la quiete: è solo quel frangente in cui la tempesta si ferma».

Lei non dice ancora nulla, così continuo.

«Tu sei la mia tempesta, Carmen, ma sarai anche la mia quiete, quando tutto questo sarà finito. Te l'ho detto e lo farò finché ho fiato: tu sei la mia salvezza. È il tuo essere tempesta che mi sta tirando fuori dal mio guscio e il tuo essere quiete interverrà senza che tu lo voglia, perché sarà la nostra conquista».

Lei è allibita. Due lacrime le scivolano sul viso ed io sono pronto a raccoglierle con le dita. Ed in quel momento è come se Carmen si spezzasse in due: inizia a singhiozzare ad occhi chiusi, con lacrime copiose che le bagnano il viso e le sbavano il trucco che crea scie nerastre sul volto abbronzato. Le sue spalle sono ricurve e si alzano ad intermittenza, a ritmo coi suoi singulti. Piange rabbiosamente, con i denti digrignati e la bocca semi aperta, le mani chiuse in due pugni sul suo grembo, sulla minigonna nera che a sento nasconde le lunghe e toniche gambe. È distrutta e dovrei consolarla, ma non riesco a muovermi. Sono come inchiodato a questo sedile, col busto rivolto verso di lei e non riesco nemmeno ad abbassare lo sguardo. I miei occhi assistono al suo nudo e disinibito sfogo, senza riuscire a staccarsi.

La mia salvezzaWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu