Capitolo ventitré

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Ventitré.

Quando rientro alla dependance è notte fonda.

Sono sfinito, dopo aver chiacchierato con Hans per tutto il pomeriggio.

Più che chiacchierare, ho imprecato. Negavo qualsiasi mossa Hans mi proponesse contro Björn, anche se perfettamente sensata. Per tutto il tempo sono stato fuori di me.

Poi è successo.

Hans mi ha dato un pugno.

Veloce, secco ed inaspettato, dritto sul naso, facendolo sanguinare per un po'.

Solo in quel momento, con una borsa del ghiaccio premuta sul viso, mi sono concesso di calmarmi.

Adesso mi ritrovo con un livido in pieno viso e il naso gonfio, oltre alla mano piena di tagli.

Volevo fare del male a Björn, alla fine me ne sono fatto io, ma sono abbastanza adulto da ammettere che me lo sono meritato.

Infilo la chiave nella toppa della porta e girando la maniglia penso solo a farmi una doccia calda e dormire.

Ma i miei progetti vanno in fumo appena entro in salotto.

Carmen è lì, distesa sul divano, tutta rannicchiata e a piedi scalzi, che dorme profondamente.

L'orologio che ho al polso segna le dieci e mezza, quindi Carmen deve essere lì ad aspettarmi da tanto.

Combatto tra me e me, indeciso se lasciarla stare o svegliarla. Mi avvicino e spinto da un moto di tenerezza le scosto i capelli dal viso.

Devo scusarmi con lei. Se non adesso, il prima possibile. L'ho trattata malissimo senza che avesse colpe, se non quella di aver sposato un mostro.

Agguanto un plaid di pile e glielo metto addosso, baciandole la fronte pallida, successivamente mi dirigo in bagno.

Mentre sono sotto la doccia, immagino cosa sia potuto succedere il giorno in cui Elsa è morta.

Björn era stato chissà dove a bere e a spendere i suoi soldi, per poi mettersi alla guida. Dovevano essere circa le sei del pomeriggio e quello stronzo era già ubriaco marcio, a quanto so.

Perché cazzo non aveva un autista, come adesso?

Forse sto correndo troppo con la fantasia, ma ho il sospetto che ci sia dietro qualcosa di losco dietro l'omicidio di Elsa. Può darsi che Björn provenisse da un luogo in particolare, dove doveva andare da solo e non poteva farsi accompagnare da un autista. Questo spiegherebbe perché si trovava ubriaco alla guida, da solo.

Già, ma dove? Qualsiasi mia supposizione è vana e ad un certo punto arriva ad un angolo cieco, perché non ho nessuna prova che possa certificare da dove lui venisse in quel momento.

Forse dovrei tralasciare questo dettaglio, perché in fondo ciò che mi importa più di ogni altra cosa è fargliela pagare cara.

Con solo un asciugamano attorno alla vita, mi dirigo in camera da letto e, dopo aver spento tutte le luci, mi butto a letto, senza nemmeno scostare le coperte.

Ma per la mezz'ora successiva mi ritrovo a rigirarmi nel letto, al buio, senza riuscire a prendere sonno. La stanchezza di prima, completamente dissolta.

Ad un certo punto, proprio quando sto per alzarmi spazientito, un corpo morbido e caldo aderisce alla mia schiena.

«Ti ho aspettato per ore», mormora Carmen sulla mia nuca.

Accendo l'abat-jour sul comodino e mi volto verso di lei, prendendole il viso tra le mani. «Mi dispiace davvero tanto, Carmen».

Lei abbassa lo sguardo. «Sei andato via come una furia».

La mia salvezzaWhere stories live. Discover now