La mia salvezza

By DayStonege

25.5K 1.5K 277

#3° romanzo della serie della salvezza Alexander Laspek vorrebbe una vita comune. Famiglia, lavoro e amici. M... More

CAST
Prologo
Capitolo uno
Capitolo due
Capitolo tre
Capitolo quattro
Capitolo cinque
Capitolo sei
Capitolo sette
Capitolo otto
Capitolo nove
Capitolo dieci
Capitolo undici
Capitolo dodici
Capitolo tredici
Capitolo quattordici
Capitolo quindici
Capitolo sedici
Capitolo diciassette
Capitolo diciotto.
Capitolo venti
Capitolo ventuno
Capitolo ventidue
Capitolo ventitré
Capitolo ventiquattro
Capitolo venticinque
Capitolo ventisei
Capitolo ventisette
Capitolo ventotto
Capitolo ventinove.
Capitolo trenta
Capitolo trentuno
Capitolo trentadue
Capitolo trentatré
Capitolo trentaquattro
Capitolo trentacinque

Capitolo diciannove

424 43 4
By DayStonege


Non sono abituato ad avere una donna nel mio letto. Quando la mattina mi sveglio e vedo Eva avvinghiata alla mia coscia, mi rendo conto di esserne alquanto infastidito. Il torpore dato dalla situazione è sicuramente piacevole, ma l'intero corpo di lei incollato al mio dal sudore non lo è. Forse non dovrei essere scorbutico dopo ieri sera, dopo che le ho concesso di dormire solo all'alba.

Un po' intontito, mi alzo dal letto, scrollandomi dal petto il braccio di Eva. Quando sto per avviarmi verso il bagno per fare una doccia, il rumore di qualcosa contro la porta di ingresso di fa bloccare sul posto.

«Alexander!».

Riconosco quella voce.

Mi volto verso Eva ed incontro la mia espressione colpevole sullo specchio dell'armadio, che sta affianco al letto.

Perché diamine ho questa strana sensazione? Non dovrei sentirmi in colpa.

«Alexander!».

Eppure quella voce, proprio in questo momento più di altri, mi crea un nodo alla gola.

Eva dorme beatamente, non sente nulla, ma prima che si svegli, dovrei proprio andare a vedere cosa vuole quella donna. Infilo i pantaloni della tuta che avevo abbandonato l'altro ieri sulla sedia e faccio una piccola corsetta attraverso la cucina, fino alla porta di ingresso della dependance.

La voce mi arriva più stridula quando apro la porta, appena uno spiraglio. Ed eccola lì, non mi sbagliavo. Con lei non mi potrei mai sbagliare.

«Pensavo fossi un tipo mattiniero», fa Carmen, con tono accusatorio.

Molti uomini sono intimoriti dalla furia femminile. A volte anch'io. Ma questa volta ne sono affascinato.

Carmen ha raccolto i capelli in una crocchia elegante, mettendo in mostra il levigato viso rotondo. Senza capelli sul viso, i suoi occhi sembrano ancora più grandi e profondi, perennemente dipinti di nero. Sono occhi furiosi, che fanno fuoco e fiamme, ed è proprio per questo che mi ritrovo ad adorarli più del solito.

«Lo sono», rispondo, con un sorrisetto.

Adesso non chiedetemi perché sto sorridendo come un coglione. Penso ci arriviate da soli.

Lei solleva un sopracciglio, mostrandomi il Rolex al polso. «Non sembrerebbe, visto che sono le dieci del mattino ed io ti sto aspettando in auto da un'ora».

Accidenti. «Scusami».

Qualcosa alle mie spalle cattura la sua attenzione, talmente tanto che si alza in punta di piedi per guardare meglio. «Sei solito bere del vino la sera, a quanto vedo».

Mi volto anch'io e vedo la bottiglia di vino rosso, con i due bicchieri che io ed Eva abbiamo usato ieri sera. «A volte», le dico, voltandomi di nuovo verso di lei.

Ma i suoi occhi rimangono oltre la mia spalla, ancora puntati sui bicchieri. «Solo quando hai compagnia, immagino. Lì ci sono due bicchieri».

La situazione è critica. Eva dorme di là e potrebbe svegliarsi da un momento all'altro. E, ancora peggio, Carmen potrebbe vederla. So che non dovrei sentirmi in questo modo, che è la mia vita e che Carmen non ha diritti su di me ne io su di lei, specie dopo il suo rifiuto; ma ho lo stesso paura. Dopotutto, Eva l' ha schiaffeggiata verbalmente solo poche ore fa.

«Mi spiace essere in ritardo. Attendi dove ti fa più comodo, ti verrò a chiamare appena sono pronto. Sarò veloce».

Lei incrocia le braccia al petto. «Ti aspetto in cucina. Non ci vorrà molto per vestirti, spero».

Proprio mentre lei sta accennando a fare un passo avanti, io le sbarro la strada. «No».

Solleva le sopracciglia. «Sono in ritardo. Così risparmiamo tempo».

«Ne risparmieremo di più se mi aspetti in auto».

Sbuffa. «Fuori c'è un caldo tremendo».

Accenna un altro passo ed io la costringo ad indietreggiare, avanzando. Chiudo la porta alle mie spalle e mi ci metto davanti, come una fottuta guardia reale. «Accendi l'aria condizionata».

Lei non se la beve. Lo leggo nei suoi occhi. «Perché non vuoi che entri?».

«È la mia abitazione».

«No, è la mia».

Inizio a sudare. Mi gratto la nuca, in difficoltà. «È sconveniente».

«Non me la bevo, Alexander. Sono già stata lì dentro e, oltretutto, sono stata chiara sulle mie intenzioni. Dimmi la verità ed io non entrerò».

Sbuffo, scocciato. «Non sono affari tuoi».

Lei solleva un sopracciglio e si avvicina, con aria minacciosa. «Spostati o ti licenzio».

«Non ha alcun diritto di...».

Non ce la faccio a finire. Carmen pianta le unghie sul mio fianco nudo, facendomi gemere di dolore. Giusto un attimo di smarrimento e lei ne approfitta. Scavalca le mie gambe divaricate ed entra nella dependance.

Io sono subito dietro di lei.

Appena in tempo per vedere Eva che si è messa una delle mie camice e sta trafficando in cucina. È di spalle ed ancora non ci ha visti.

«Lei qui?».

La domanda di Carmen è minacciosa, anche se posta con un finto tono sostenuto.

Eva si volta, facendo svolazzare i capelli rossi ed in disordine. La mia camicia rotea come una gonna a campana, sulle sue cosce nude. «Ehm...buon giorno», mormora, facendo saltellare gli occhi verdi da me a Carmen.

Carmen indietreggia di un passo, si volta di poco e mi guarda da sopra la spalla. «Porti spesso qui le tue puttane?».

Nello stesso momento in cui quelle parole infauste lasciano le sue labbra accadono una serie di cose. Il coltello che Eva aveva in mano, quello con il quale stava tagliando della frutta sul bancone della cucina, le cade di mano. Finisce rovinosamente sul pavimento, imbrattando di fragole i mattoni bianchi ed immacolati.

Carmen assume un espressione furiosa, digrigando i denti.

Ed io...io combatto tra l'impulso di saltellare felice per la casa e portare via Eva, prima che accada un quarantotto.

Perché dovrei saltellare? Bé', la gelosia di Carmen mi rende felice. Adesso so che mi vuole anche lei, ho un'ulteriore conferma.

«Come si permette?», domanda Eva, contrita.

Troppo tardi. Non ho di certo saltellato per la dependance come una cavalletta in calore, ma credo di averlo fatto dentro la mia testa, perdendo tempo prezioso.

«Mi permetto. Questa è casa mia ed Alexander è un mio dipendente. Le sembra modo di girare per casa, questo?», l'accusa Carmen, scrollando una mano verso di lei.

Eva non aggiunge nulla e mi guarda. Vuole che sia io a difenderla, che sistemi le cose e faccia capire a Carmen che queste cose non la riguardano. Per come l'ho conosciuta, so che non l'avrebbe fatto se non avesse visto della competizione tra lei e Carmen.

Metto una mano sulla spalla di Carmen e lei si volta. «Signora Zimmerat, perché non mi attende in auto? Sarò subito da lei».

«Non ci penso nemmeno», fa lei, «perché dovrei? Questa è casa mia».

Interdetto dalla situazione, ci impiego più del dovuto a rispondere. Ma le parole che mi escono sono flebili. «Glielo chiedo per favore».

«No, va bene così. Me ne vado».

La voce di Eva mi arriva flebile e sconsolata. Quando poso gli occhi su di lei, è già diretta in camera da letto.

Carmen ridacchia, vittoriosa. «Perché non la segui?».

Lo sconcerto fa spazio alla rabbia. Questa situazione è assurda. «Quando la smetterai?», le domando, con rabbia.

«Non so a cosa tu ti stia riferendo», commenta lei, con un'espressione innocente.

Sbuffo e la supero, dandole una leggera spallata. Lei si sposta di poco, ridacchiando.

Entro in camera da letto e trovo Eva già vestita, che perlustra il pavimento sotto al letto. «Non è che hai visto le mie scarpe?», mi chiede senza guardarmi.

Mi avvicino a lei e la prendo per un braccio, incitandola a sollevarsi. «Eva, mi dispiace».

Lei mi guarda, scioccata, ma dopo aver sbattuto le ciglia un paio di volte, la sua espressione diventa indifferente. «No, va bene così».

«No, non è vero».

Lei scrolla delicatamente il braccio ed io la lascio andare. «Devo trovare le mie scarpe, così andrò via».

Scorrendo gli occhi sulla stanza, le vedo. I sandali dal tacco alto sono riversi sul pavimento, a poca distanza l'uno dall'altro, in un angolo. «Prima accetta le mie scuse. Non so cosa le sia preso».

Lei intercetta il mio sguardo e vede le sue scarpe. Le va a prendere e se le infila. «C'è qualcosa tra di voi, non è così?».

«Io...».

Lei si avvicina di qualche passo, stringendosi tra le sue stesse braccia. «Solo due tipi di donne si comportano come si è comportata lei adesso. Le pazze e le innamorate. Lei è innamorata di te, Alexander, o se non lo è ancora...nutre comunque dell'interesse. Io ho invaso il suo territorio, tentato di prendermi il suo uomo. Rassicurala, io stessa ieri notte ti ho detto che non avrei avanzato alcuna pretesta stamattina. È ancora così».

«Ma...».

«No, per favore», mi interrompe, «fammi andare via».

Annuisco, rassegnato. «Va bene. Ti chiamerò e ne riparleremo».

Lei mi supera, diretta in cucina. «Non sei obbligato».

La seguo. «No, non lo sono. Ma voglio farlo. Devo...devo spiegare».

Lei mi ignora e va verso Carmen, che l'attende con un sorrisetto dipinto sulle labbra.

«Arrivederci, signora Zimmerat», la saluta e va verso la porta.

Carmen, tronfia, scrolla la mano in segno di saluto, dimenticando deliberatamente la sua educazione da donna aristocratica.

Appena la porta si chiude dietro le spalle di Eva, mi concedo di diventare una furia. In due lunghe falcata mi avvicino a Carmen, sovrastandola. «Cosa credi di fare?».

«Io? Se n'è andata di sua spontanea volontà».

«L'hai fatta scappare!».

«Non è vero».

«Te lo ripeterò solo una volta, Carmen. Cosa cazzo credi di fare?».

Lei non sembra essere intimidita e mi si avvicina di un passo. «La porterai ancora qui?».

Sollevo un sopracciglio. «Sì, se mi garba».

«Non lo farai».

«E questo lo deciderai tu? Sei fuori strada, bellezza».

«Bellezza...puah! Sei così...osceno».

Il mio tono si abbassa di qualche ottava, mentre avvicino il viso al suo. «Osceno? Vuoi davvero vedere quanto io sia osceno?».

Lei emette un flebile sospiro. Ed io sono già duro. Litigare è come una specie di preliminare, tra di noi. «Ne ho avuto un assaggio», ammette, deglutendo.

Mi viene spontaneo avvicinarmi ancora a lei, fino a quando le nostre bocche non sono vicinissime. Ma, per il mio bene, devo tirarmi indietro. «Adesso io mi vestirò ed ti accompagnerò, va bene?».

Il suo volto si addolcisce. «Non ho nessun appuntamento».

«Che cosa?».

Lei si morde il labbro inferiore, quando lo lascia andare, è gonfio. «Ho visto ieri sera Eva che arrivava. Sono andata a letto e stamattina, al mio risveglio, la macchina era ancora parcheggiata sul vialetto. Io...non so cosa mia sia preso».

«Ti sei ingelosita».

Sono sicuro sia così. Lo firmerei col sangue, ci metterei la mano sul fuoco, mi giocherei il pisello.

Okay, il pisello magari no.

Ma il punto è che ormai mi è chiaro che le interesso e che odia vedermi con un'altra donna. È palese.

Carmen mi guarda esterrefatta, come se per lei questa verità fosse una piccola epifania. Sembra scoprirlo lei stessa in questo preciso momento.

Abbassa lo sguardo ed io non resisto alla tentazione di prenderle il mento levigato in una mano e sollevarle il viso. «Non è così?», le chiedo dolcemente.

Lei solleva il volto, ma le sue palpebre rimangono semichiuse. Osserva le mie scarpe.

«Guardami, per favore».

Finalmente alza le palpebre e mi guarda dritto in faccia. Le sue iridi sono un misto di marrone e smarrimento. Deglutisce due volte. «La rivedrai?», mi chiede, con la voce leggermente incrinata.

Non me lo aspettavo, ma adesso ho proprio io il controllo della situazione. E devo giocarmela bene. «Non la rivedrò, se ammetterai che sei gelosa».

Il suo sguardo si indurisce e la sua mano volta sul mio polso, cercando di spostarmi la mano che ho sul suo mento. Io, dal mio canto, l'ultima cosa che voglio è mollarla. «Questo è un vile ricatto».

Accorcio ulteriormente la nostra distanza e lei è costretta a sollevare ancora il collo, per guardarmi negli occhi. «Hai idea di cosa ti perdi, ad essere così orgogliosa?».

«Io cerco solo di mettere un freno a questa cosa prima che si ingigantisca ulteriormente».

Le sue parole mi fanno infuriare e lei lo sa bene. Si aspetta che la molli, ma non ne ho la benché minima intenzione. Col braccio libero le circondo la vita e finalmente i nostri corpi aderiscono l'uno sull'altro. «Sta qui il tuo errore, Carmen. Questa cosa è già enorme, gigantesca, colossale!», esclamo, alzando il tono di un'ottava ad ogni parola, «E non me lo sono sicuramente sognato. Sai che è così!».

«Lasciami andare, io...ti prego...».

«No», la interrompo, «qualsiasi cosa ci sia dopo il "ti prego" non mi interessa».

E poso le labbra sulle sue.

Il commento vincitore:

Cioè, mi ha fatto morire dal ridere! La mia mente malata ha immaginato Alexander con un crick in mano ed Eva che lo guarda sconcertata! Cara TBisqui  ti adoro!

Solo una promessa: aggiorno presto.

Baci, Day.

Continue Reading

You'll Also Like

12.9K 538 22
le mie unpopular opinions sul kpop •_•
9K 517 14
Il titolo dice tutto Se anche tu adori Haikyuu sei nel posto giusto 🏐❤
2.5K 181 34
questa è una raccolta di battutine stupide e black humor [se sei sensibile al black humor salta le parti in cui ci potrebbe essere] la fanart è presa...
8.6K 856 16
Raccolta di battute squallide by Hunhan. Attenzione: non adatto ai deboli di cul-CUORE. © Fallen_Han