Redemption | Jason McCann

Justins_stories által

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Tutti possiamo essere spregevoli. Ognuno di noi porta con sé un crimine commesso o un crimine che l'anima gli... Több

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
TRAILER
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Epilogo

Capitolo 4

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Dopo attimi di silenzio che sembravano interminabili, Jason finalmente prese la parola.
«D'accordo, farò quello che vuoi, se è ciò che serve per farmi uscire da qui il prima possibile. Ma sia ben chiaro...», continuò puntando l'indice contro la giovane, «Io non ho bisogno di alcun aiuto».
Detto ciò, si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le mani, aspettando che Sienna facesse quindi la sua prima mossa.

«Molto bene», commentò lei osservando gli occhi incupiti del biondo, «Direi di riprendere da dove eravamo rimasti». Così, aprì la sua borsa, nella quale, al momento del suo arrivo poco prima, aveva infilato la cartellina con i dati di Jason che le aveva consegnato la direttrice. Afferrò anche un block notes e una penna, che avrebbe utilizzato per prendere appunti.
«Vorrei che mi raccontassi cosa ti ha spinto a fare ciò che hai fatto», disse a quel punto, sfilando il cappuccio della sua Bic nera.
Jason soffocò una risata, e si passò il pollice sulle labbra appena inumidite. La rossa si rese conto che quello era un gesto che il ragazzo faceva spesso, quasi fosse una sorta di tic nervoso.
«Non riesci nemmeno a pronunciare la parola omicidio? Che razza di psicologa criminale pensi di diventare?»

Come osava quell'impertimente? E pensare che lei aveva appositamente​ ​omesso quel termine per non metterlo a disagio.

«Bene!» esclamò piuttosto stizzita,
«Riformulo: perchè hai ammazzato tuo padre?» Questa volta calcò con forza su quel verbo così crudo e morboso, e notò gli occhi del biondo scattare su di lei più freddi che mai.

Aveva centrato il bersaglio. Ora sarebbe stato pronto a parlarne senza che le sue stupide battute interferissero?

Il ragazzo abbassò il viso, come per fare mente locale su quell'episodio, che, per quanto cercasse di nasconderlo, era evidente lo avesse segnato nel profondo.
Si arrotolò lentamente le maniche della divisa aranciata -non senza fatica, viste le manette che gli legavano i polsi- e Sienna deglutì al ricordo della sensazione fredda e metallica intorno alla sua gola solo pochi giorni prima ed, istintivamente, portò una mano sul collo per massaggiarlo.

La giovane poté notare, non senza stupore, che Jason aveva le braccia completamente ricoperte di inchiostro scuro. In un certo senso ne rimase affascinata; quei tatuaggi gli stavano davvero bene e mettevano in risalto le sue vene e la sua muscolatura; si domandò se ci fosse un significato dietro tutto quel colore.

«Picchiava mia madre», esordì, poi, lui in un sussurro, facendo tornare la rossa alla triste realtà. Sienna ci mise un po' a rendersi conto della gravità di quelle parole, e nella sua testa si immaginò una possibile scena, che volle, però, subito eliminare.
«Mi dispiace», la sua voce era un flebile sussurro, ma d'altro canto era davvero così che si sentiva: dispiaciuta.

Quel criminale per il quale, fin da subito, aveva provato un disprezzo non indifferente e che aveva provato ad ucciderla, adesso, suscitava in lei una certa compassione.

«Non sono qui per farmi compatire», ringhiò il suo interlocutore guardandola con serietà.
La giovane deglutì nuovamente; capì che, probabilmente, Jason non volesse rovinare l'immagine da duro spietato che si era creato, quindi decise di proseguire con la domanda successiva.
«Da quanto andava avanti? Te lo ricordi?»
L'espressione del ragazzo cambiò in un batter d'occhio, divenne calma, come se cercasse di riportare alla mente il giorno preciso in cui quell'incubo era cominciato, lo sguardo vuoto e pensieroso.
«Circa un anno. Non ricordo con precisione, ma non ero ancora maggiorenne», rispose scuotendo la testa.
«E cosa è successo quella sera?» Sienna si accorse di essere stata forse un po' troppo brusca e invadente con quella domanda, così cercò di modificarne la forma ma non il contenuto. «Vorrei che rielaborassi l'accaduto e mi dicessi tutto ciò che ricordi».

Il tono che aveva usato era tranquillo e in un certo senso incoraggiante, tuttavia il biondo non aveva la minima voglia di tornare con la mente a quei ricordi infernali. Ma doveva farlo, non aveva altra scelta; era stanco di essere chiuso tra le quattro mura di quel penitenziario, era stanco di esistere e di non vivere.

Gli mancava poter girare per le strade della città insieme ai suoi amici, gli mancava poter interagire con una donna che non fosse una di quelle che lavoravano nel carcere, gli mancavano anche le cose più semplici, come il poter osservare un bel paesaggio.

Gli mancava la vita, quella vera.

Perciò, doveva riuscire a farsi ridurre la pena, anche se il prezzo da pagare era dover ricordare quella notte che per quattro anni si era sforzato di dimenticare.

Quindi prese un bel respiro e iniziò il suo racconto: «Erano circa le tre di notte quando venni svegliato dalle voci dei miei genitori che discutevano animatamente. Non riuscii a capire cosa si stessero dicendo, ma speravo con tutto il cuore che mia madre si fosse finalmente decisa a lasciarlo. Non ne potevo più di vederli litigare, era diventato un vero inferno. Come ti ho detto, aveva più volte alzato le mani su di lei, ed io non potevo più stare lì, sentirla urlare senza poter fare nulla». Parlava piano, e i suoi occhi divennero leggermente lucidi; chinò il capo, probabilmente per non dare a vedere alla rossa le emozioni che, in quel momento, attraversavano il suo volto.
«Così, stanco di tutto quel casino, mi alzai dal letto e scesi in cucina rimanendo, però, nascosto dietro la porta. Sentii mia madre accusare l'uomo di puzzare d'alcool in una maniera schifosa e gli disse che se non avesse smesso di alzare il gomito se ne sarebbe andata di casa, con me al seguito, quando meno se l'aspettava. Ma tutto quello che fece mio padre, fu scoppiare a ridere, e, in un nanosecondo, le sue mani erano già sul viso di mia madre riempiendola di schiaffi e cazzotti». Jason, a quel punto del racconto, si morse il labbro con una tale forza, che Sienna poté notare un piccolo rivolo di sangue fuoriuscire da lì, e pensò che, forse, sarebbe stato meglio continuare la seduta un'altra volta.
Stava per intervenire e mettere in atto il suo pensiero, ma la voce del giovane le tornò alle orecchie più decisa che mai.
«Non ci vidi più. Ormai aveva ridotto mia madre ad una pozza di sangue. L'avrebbe sicuramente uccisa se non fossi intervenuto subito».
«Quindi che cosa hai fatto?»
Il suo sguardo era fisso nel vuoto davanti a lui, ma non ci mise molto a rispondere.
«Sono entrato in cucina urlando di smetterla. Ma ovviamente quella testa di cazzo non mi ha dato ascolto e ha riso, venendo questa volta nella mia direzione», una risata amara e piena di disprezzò uscì dalla sua bocca.
«Continua», lo intimò lei.

Jason osservò la rossa prendere appunti ad ogni parola che proferiva e solo allora realizzò essere quella la prima volta in vita sua che si apriva così con qualcuno che nemmeno conosceva.

Ne rimase stupito lui stesso; quella ragazza che all'inizio considerava una ciarlatana ci sapeva fare.

Le sue mani, strette a pugno fino a pochi istanti prima, si rilassarono distendendo i palmi, e anche la sua mascella da contratta tornò normale.
«Inizialmente avevo il cuore in gola, ma appena spostai il viso verso mia madre, a terra con il viso insanguinato, presi coraggio e decisi di fargliela pagare. Non ci vidi più: nel momento in cui lui si distrasse per prendere la bottiglia che poi mi spaccò addosso, io afferrai il coltello posto nel ripiano accanto al fornello e glielo piantai nel petto».
Questa volta il suo viso era tutt'altro che scuro, anzi un ghigno di soddisfazione si formò sulle sue labbra. «Gli avrò inferto circa trenta coltellate. Ero in un film dell'orrore, capisci? Ma mi piaceva. Ero così arrabbiato che non riuscivo a smettere di colpirlo, sempre più a fondo, sempre più giù».

«Non ti sei mai pentito?»
«Se mi sono pentito?» a stento soffocò una risata. «No», rispose secco.
Si sistemò meglio sulla sedia poggiando i gomiti sulla superficie del tavolo e sporgendosi verso la giovane, «Ogni volta che mi guardo allo specchio e vedo questo -fece per indicare il suo occhio sinistro -Ricordo a me stesso di aver fatto la cosa giusta».

La ragazza guardò Jason dritto negli occhi e finalmente capì cosa si celava dietro quella cicatrice che tanto l'aveva attratta.

«Allora rossa? Ti ho spaventata?» domandò beffardo.

Sienna non riusciva a comprendere come quel ragazzo enigmatico riuscisse a trasformare in quel modo le sue emozioni. Un attimo prima era sull'orlo di una crisi di nervi e quello dopo, l'omicidio di suo padre sembrava essere stato per lui soltanto un gioco. Era un soggetto piuttosto complesso perfino per le sue competenze sulla psiche umana e, forse, era proprio per questo che, nel profondo, ne era attratta.
Jason McCann, per la ragazza, rappresentava un vero e proprio mistero da risolvere.

«E tua madre?» si azzardò a chiedere chiudendo il suo quadernino e ignorando l'inutile domanda.
Il ragazzo alzò le spalle. «Mia madre sta bene ora, almeno credo, ma non so dove sia. È stata per un po' in ospedale dopo quella notte, e quando è uscita è passata a trovarmi per dirmi che avrebbe lasciato Atlanta per sempre. Non la vedo da ormai tre anni», concluse. Nello stesso istante in cui Jason finì di parlare, la porta si spalancò, lasciando intravedere il corpo massiccio di Patrick, segno che la seduta era finita e che Jason doveva essere riportato in cella.
Era già passata un'ora e lei non se ne era nemmeno resa conto.

Olvasás folytatása

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