La mia salvezza

By DayStonege

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#3° romanzo della serie della salvezza Alexander Laspek vorrebbe una vita comune. Famiglia, lavoro e amici. M... More

CAST
Prologo
Capitolo uno
Capitolo due
Capitolo tre
Capitolo quattro
Capitolo cinque
Capitolo sei
Capitolo sette
Capitolo nove
Capitolo dieci
Capitolo undici
Capitolo dodici
Capitolo tredici
Capitolo quattordici
Capitolo quindici
Capitolo sedici
Capitolo diciassette
Capitolo diciotto.
Capitolo diciannove
Capitolo venti
Capitolo ventuno
Capitolo ventidue
Capitolo ventitré
Capitolo ventiquattro
Capitolo venticinque
Capitolo ventisei
Capitolo ventisette
Capitolo ventotto
Capitolo ventinove.
Capitolo trenta
Capitolo trentuno
Capitolo trentadue
Capitolo trentatré
Capitolo trentaquattro
Capitolo trentacinque

Capitolo otto

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By DayStonege


Maroon V - Sugar

Sono tante le occasioni in cui un uomo ha paura e altrettante sono le cose che lo spaventano. Più di quante vorrebbe ammettere. Essere vittima di un inganno che ti costringerà a subire delle pesanti conseguenze, per di più, è una di quelle cose che ti fa tramare le gambe. Sarà stato l'istinto che mi ha permesso di riconoscere la voce di Björn Zimmerat al cellulare, proprio nell'istante in cui il profumo di sua moglie alleggiava ancora nell'aria, proprio pochi giorni dopo che per mia disgrazia ho messo le mani sul culo di sua figlia. Sono terrorizzato al solo pensiero che Flavia abbia potuto dire qualcosa a suo padre. Forse un uomo qualsiasi ci avrebbe riso sopra, ma io non sono un uomo qualsiasi. Sono sempre stato rispettoso delle regole, ligio al dovere, un uomo integerrimo sul campo di battaglia. Un maschio dall'onore inattaccabile. Pensare che posso finire in gattabuia per colpa di una cosa che non credevo nemmeno di aver fatto mi manda in bestia.

Conscio che la situazione è abbastanza delicata, decido di chiamare Hans. Lui mi risponde immediatamente, senza convenevoli.

«Dimmi che non sei caduto di nuovo nella trappola di quella ragazzina».

«È andata anche peggio», commento, mentre cambio la marcia all'auto.

«Eravamo pronto a questo, non agitarti. Posso essere da te anche tra cinque minuti», mi rassicura.

«Ottimo», commento, «perché il padre di lei vuole vedermi. Sto andando a casa loro».

«Mandami l'indirizzo, ti raggiungerò».

«Perfetto».

Riaggancio, senza nemmeno salutarlo e tenendo lo sterzo dell'auto con le ginocchia digito velocemente l'indirizzo e lo invio. Quando sollevo lo sguardo mi rendo conto che, lassù in Paradiso, Dio deve avercela con me per chissà quale motivo.

Accendo le quattro frecce e accosto sulla destra. Un poliziotto si avvicina al mio finestrino.

«Porca puttana!», grugnisco, tra me e me.

Mi sorride anche, il bastardo. «Patente e libretto», ordina.

Butto fuori l'aria dal naso, trattenendomi dal prenderlo a pugni, e gli porgo ciò che mi ha chiesto.

Lui esamina il tutto, nel frattempo mi parla. «Non può usare il cellulare alla guida. Adesso devo farle la multa».

Lo guardo male. «Se proprio deve, la faccia, così posso andarmene».

Lui solleva un sopracciglio, contrariato, poi si sporge verso il cofano anteriore. Con la penna, mi indica il fanale. «Funziona male. Devo metterlo a verbale».

A quel punto, la mia pazienza finisce. «Ci metta anche questo».

Non so cosa mi prende, ma estraggo il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. Gli rubo la penna dalle mani, scrivo il numero di Hans su una banconota da cento euro e gliela tiro sul petto, colpendolo.

«Ma cosa...».

«Compra un anello a tua moglie, portala a cena e poi scopala. Quando avrai le palle vuote, chiama a questo numero».

A quel punto, come un pazzo furioso, metto in moto l'auto. Schiaccio la frizione e metto la prima, poi premo forte l'acceleratore e la macchina parte sgommando. Dallo specchietto retrovisore vedo il poliziotto alquanto sconvolto. Non deve essergli mai successo, perché i tedeschi tengono molto alla buona condotta. Adesso può anche scrivere il suo fottutissimo verbale, perché tanto è l'ultimo dei miei problemi.

Arrivo sgommando a casa dei Zimmerat e non aspetto nemmeno che il cancello si apra del tutto. Lascio l'auto lì davanti e sguscio all'interno. Corro alla porta e suono. Trepidante e colmo di adrenalina, mi muovo sul posto. Dovrei proprio darmi una calmata. Nello stesso momento il cancello si apre nuovamente e vedo entrare Hans. Si scosta un ciuffo di capelli lisci dal viso e mi viene incontro.

«Mantieni la calma», mi dice, appena mi raggiunge.

«Sono calmo», mento.

«Certo, come Hitler nel quarantatre».

«Fanculo, sto per essere arrestato».

«Non accadrà».

Improvvisamente, la porta si apre. Di fronte a noi si para lo stesso uomo che avevo quasi aggredito la prima sera che sono stato qui.

«Il signor Zimmerat la sta aspettando», annuncia, sorridente.

Io mi tendo ancora di più, come una corda di violino in procinto di spezzarsi.

«Certo», fa Hans, al posto mio.

«Annuncio il signor Laspek e il signor...?».

«Fòld. Hans Fòld», si presenta Hans.

L'uomo annuisce e ci volta le spalle, invitandoci a seguirlo. La prima volta che ho messo piede in questa casa mi sono meravigliato per la sua opulenza. Adesso non potrebbe importarmene di meno, mentre seguo il cameriere a passo spedito, con la stessa faccia di un condannato che va al patibolo.

«Smettila», mi sussurra Hans.

«Di...?».

«Di fare quella faccia colpevole», mi rimprovera.

Vorrei controbattere, ma sarebbe inutile, perché ha perfettamente ragione. Tento di darmi un contegno, giusto in tempo per incrociare lo sguardo di Björn Zimmerat. Mi guarda attraverso la porta spalancata, seduto ad una scrivania in marmo bianca. Ha un'espressione indecifrabile, a discapito dei miei assurdi tentativi di captare qualche informazione dai suoi occhi.

«Alexander Laspek e Hans Fòld», ci presenta il cameriere.

Björn annuisce. «Adesso puoi andare», dice, con quel tono tipico di chi è abituato a dar ordine a chiunque, «sedetevi», ordina a noi.

Io ed Hans eseguiamo, standogli di fronte. Non posso fare a meno di stare eretto come se avessi un palo infilato in culo. Sono teso e nervosissimo.

«Hans Fòld», annuncia, guardando il diretto interessato, «questo nome non mi è nuovo. Di cosa si occupa?».

«Sono un avvocato».

Lo indica col dito. «Bene. Mi ricorderò di lei. Potrebbe servirmi, un giorno».

Io ed Hans ci guardiamo per un instante. Un muto messaggio passa tra di noi: "ma che diavolo dice?".

Sollevo entrambe le sopracciglia, sorpreso. Se lui si fosse scopato mia figlia, minorenne o no, l'avrei già strangolato. Lui, invece, sembra tranquillo.

«Bene, signor Laspek. Ho qualcosa di molto importante da discutere con lei...».

«Ma certo!», interrompo Björn, «mi dica tutto. Io...sono tutto orecchie».

Lui solleva un sopracciglio nero, divertito, mentre io tremo. Hans mi lancia un'occhiataccia. "Calmati", mima con le labbra. Annuisco impercettibilmente e mi asciugo le mani sudate sui jeans.

Björn si sistema meglio sulla sua poltrona da scrivania. «Ho avuto modo di studiarla, signor Laspek, e mi sono accorto di alcuni suoi atteggiamenti nei confronti della mia famiglia. Lei potrebbe non essere d'accordo, ma io ho tratto le mie conclusioni».

Sono nella merda fino al collo. Anche Hans è teso, io ormai sono rigido come un pilastro di marmo. Deglutisco, mentre alcune gocce di sudore scivolano sulla mia schiena. Mi preparo all'impatto, mentre mi irrigidisco fino all'impossibile e stringo le mani a pugno, prego Dio e tutti i Santi perché intercedano. Ma so di essere spacciato.

«Le dicevo, signor Laspek, che dato ciò che ho visto, le devo parlare di qualcosa di molto importante, che cambierà per sempre le nostre vite».

Ormai respiro affannosamente e spero con tutto il cuore che lui non se ne sia accorto. Guardo Hans e lo vedo crucciato, sicuramente sta riflettendo sulla mia difesa. Certamente la vita di Flavia non cambierà, ma la mia indubbiamente sì. Mi vedo già in galera, a difendermi per non diventare la nuova puttana dei detenuti più forti.

«Bando alle ciance!», esclama il signor Zimmerat, battendo una mano sul tavolo e io sobbalzo, aspettandomela chiusa a pugno contro il mio viso.

Ma la mano resta dov'è. E Björn mi sorride.

«Voglio proporle di lavorare per me. Ho bisogno di qualcuno che si occupa della sicurezza della mia famiglia. Più specificatamente di mia moglie Carmen».

Sbatto le palpebre frettolosamente e mi bagno le labbra secche. Ho davvero sentito bene?

«Davvero?», mi lascio sfuggire, incredulo.

«Certamente», mi risponde lui, «l'ha già salvata una volta. Può farlo di nuovo».

«Io...».

«Ma devo metterla in guardia», mi interrompe, «durante la mia vita mi sono fatto diversi nemici, che non si farebbero scrupoli a toccare ciò che mi è più caro. Mia figlia partirà a breve per un istituto privato dove studierà e sarà al sicuro, perciò ciò che mi preme di più adesso è sapere che anche mia moglie è protetta».

«Flavia...», mi interrompo, scuotendo il capo, «...voglio dire, la signorina Zimmerat...partirà?».

Fulmineo, Hans mi da una pedata da sotto il tavolo. Sobbalzo e lo guardo di traverso. "Che cazzo fai?", mima con le labbra.

«Esatto. Partirà per un istituto che si trova in Belgio proprio domani mattina».

In quell'istante, ogni muscolo del mio corpo si rilassa. La mia respirazione torna normale, il mio cuore rallenta e il sudore quasi mi si congela sulla nuca.

«Va tutto bene, signor Laspek?», mi chiede Björn, stranito dal mio repentino cambiamento.

Sto per parlare, ma Hans mi batte sul tempo. «Io e il mio amico abbiamo avuto una giornata stressante, preparare i documenti per il congedo militare è stato più impegnativo del previsto. Si sta rilassando visibilmente mentre lo stress dell'intera giornata gli scivola addosso. Lei è sicuramente un uomo molto impegnato, perciò non ho alcun dubbio che lei sa di cosa sto parlando».

Zimmerat annuisce. «È vero, signor Fòld. Non sa quanto io la capisca».

Tiro un sospiro di sollievo, mentre assisto al salvataggio di Hans. Quando l'ho conosciuto lo credevo stupido, adesso devo ricredermi. Mi sta salvando il culo.

«Tornando a noi», incomincia Björn, guardandomi, «volevo dirle che, se mai accetterà, non sarà di certo facile. Purtroppo ho a che fare con gente molto pericolosa, ma so difendermi. Chi ha davvero bisogno di protezione è mia moglie, adesso. Non mi dia una risposta immediata, ci pensi su, sistemi le sue carte per il congedo e poi ci risentiremo».

Ammutolito dal sollievo, mi limito ad annuire. Non riesco a pensare ad altro se non alla possibilità sfumata di essere arrestato. Sono stato così preoccupato in questi giorni, ma adesso posso essere sicuro che nessuno sa del mio piccolo peccato. Non riesco ad elaborare la risposta per Björn, ma mi riprometto di farlo una volta che sarò solo a casa, per i fatti miei, senza nessun altro pensiero per la testa.

«Bene, credo sia tutto», fa il signor Zimmerat, alzandosi dalla sedia e porgendo la mano prima ad Hans poi a me.

Gliela stringo, mantenendo una presa molle. Sono ancora alienato, i rumori mi arrivano ovattati. Ho pensato di essere in guai seri per molto tempo. Adesso mi sento libero, ma allo stesso modo perso e disorientato. Ho proprio bisogno di una sigaretta, una doccia e di un letto. Non necessariamente in quest'ordine. Mentre vado via dalla villa, e mentre poi saluto Hans l'unica parola che ho in mente è: libertà.

***

«Adesso devi smetterla!».

Mi scanso, prima che un cucchiaio mi colpisca dritto in fronte.

«Ma io non ho fatto niente!».

Ma che diavolo...? Mi guardo attorno mentre alcune cose mi volano sopra la testa. Chiudo la porta di casa con un calcio e tento di pararmi con le mani. Invano. Una scarpa vola verso di me, ma non faccio in tempo ad intercettarla. Mi si schianta sul fianco, con un tonfo sordo, facendomi piegare in due.

«Cazzo!», esclamo, massaggiandomi la parte dolente.

Alla mia esclamazione tutto sembra fermasi e finalmente mi rendo conto di cosa sta succedendo. Alla mia sinistra ci sta mia madre, mentre alla mia destra mio padre. E visto il fianco che mi duole, posso dedurre che la scarpa è stata tirata da mia madre. Il soggetto in questione guarda in cagnesco dietro le mie spalle, proprio dove mio padre si è appena nascosto.

«È il demonio! È il demonio!», mi sussurra lui nell'orecchio con lo stesso tono di voce di Gollum, il mostriciattolo del Signore Degli Anelli.

«Ti sento lo stesso, disgraziato!», strilla mia madre.

Effettivamente, non mi sento di dare torto a mio padre. Mia madre indossa un tubino rosso e i riccioli neri le si sono rizzati sopra le testa. Nella mano destra stringe una scarpa nera col tacco, sicuramente la gemella di quella che mi ha colpito.

«Che diavolo state facendo?», domando, rivolgendomi ad entrambi.

Mia madre assume un'espressione ancora più arrabbiata, anche se sembrava impossibile. «Lui!», ringhia con odio, indicando mio padre con la scarpa che tiene in mano.

Chiudo gli occhi e sospiro. Mio padre a volte è un bambinone, chissà cos'avrà combinato per far infuriare mia madre. «Papà, cos'hai fatto stavolta?», gli chiedo, con voce dolce e accondiscendente.

Lui mette il broncio. «Assolutamente niente. Tua madre dev'essere impazzita. Che ti voglio dire, figliolo, sarà la menopausa!».

«La menopausa!», esclama lei, ed ogni parola il tono di voce di alza di qualche ottava, «e anche se fosse? Che cosa c'entra? Sei tu che sei un'idiota! Ma adesso te la do io, la menopausa!».

Appena quelle parole lasciano le sue labbra, lancia di nuovo la scarpa. Sta volta sono preparato e la blocco con una mano, facendola precipitare a terra.

«Adesso dovete smetterla!», urlo.

Mia madre sembra calmarsi ed assumere un'espressione più umana, mentre mio padre fa gli occhietti da cucciolo. «Ha cominciato lei», mi dice.

Mi volto verso di lui. «Che ne dici di andarti a fare un giro?».

Lui annuisce. «Sarà meglio».

Mogio, si dirige verso la porta, seguito dagli occhi assatanati di mia madre. Quando la porta si chiude dietro di lui, mia madre sembra finalmente rilassarsi.

«Mi tradisce», dice all'improvviso, a bassa voce.

Stranito, mi acciglio. «Ma mamma...».

«È così!», mi interrompe lei, «io lo so!».

«Ma se papà ti adora!».

Lei di colpo cambia espressione. Da arrabbiata a triste e smarrita. «Forse...un tempo. Ora non più».

«Sai che non è così».

Lei scuote il capo.

«Cosa succede?», le chiedo ancora una volta, avvicinandomi a lei.

Le sue spalle cedono e sospira. «Non credo tu possa capire».

«Tenterò», la rassicuro.

Lei mi guarda con gli occhi lucidi. «Non mi vuole più. Non mi desidera...non gli piaccio più».

In quel momento capisco, mi si accende una specie di lampadina. Mio padre che parla di menopausa, mia madre che mi dice tutto questo. Può significare solo una cosa: non fanno più sesso. Già il pensiero mi ripugna, perciò mi rendo conto che non posso affrontare l'argomento con mia madre. Per un figlio certe cose dovrebbero essere offlimits. Genitori e figli possono parlare di tutto, ma certe cose è meglio ignorarle.

Metto una mano sulla spalla di mia madre, tentando di rassicurarla. «Passerà. Siete sposati da anni, troverete un modo per superarla».

Lei capisce ed annuisce, conscia anche lei che è meglio che mi risparmi certi dettagli. Dopo averle baciato la fronte me ne vado a letto addormentandomi appena poso la testa sul cuscino.

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