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By Raven_Cherish

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By Raven_Cherish

Nel buio, lo schermo del computer gli illuminava il volto, e gli occhi incollati ad esso, che scrutavano con attenzione le strade di Bowery, non avevano fatto altro nell'ultima mezz'ora.

Sospirò e gettò la schiena all'indietro facendola aderire allo schienale. Inclinò la testa, intrecciando le mani e passandosele tra i capelli e le bloccò dietro la nuca. Poi chiuse gli occhi e rimase così, a pensare e allo stesso tempo a cercare di non farlo, mentre il nome di Benjamin Brooker figurava ancora in alto nella barra di ricerca.

Aveva cercato qualsiasi cosa in zona intestata a suo nome, ma non era uscito fuori nulla. Stessa cosa per quanto riguardava moglie, figli e parenti.

Se solo avesse avuto un indizio, qualcosa di concreto, qualcosa da cui iniziare, e invece niente. Soltanto idee e supposizioni. Così aveva aperto una mappa 3D delle strade di Bowery e dopo aver fatto mente locale si era messo a cercare... anche se cosa non lo sapeva. L'ideale sarebbe stato andare lì di persona, ma fuori quasi nevicava, e poi non voleva rovinare i ricordi di quella giornata andando in un posto come quello.

Si ridestò da quei pensieri demoralizzanti, drizzò la schiena e tornò con gli occhi al computer. Cancellò la cronologia delle ultime ricerche, anche se quello di certo non avrebbe fermato Bruce nel caso avesse voluto ficcanasare, e tornò di sopra.

Non appena entrò in camera venne accolto dal rumore di una notifica che proveniva dal cellulare che aveva ancora nella giacca abbandonata sul letto. Si avvicinò e lo sfilò dalla tasca, e si accigliò ancor prima di sbloccarlo nel vedere un quantitativo spropositato di chiamate perse e messaggi da qualcuno che non era tra i suoi contatti.

Ridusse gli occhi, la fronte contratta mentre scandagliava le cifre di quel numero per capire se gli fossero familiari, perché trentanove chiamate perse non erano un caso. Ma dal momento che gli erano del tutto estranee, non ci perse più che qualche secondo.

Richiamò e avvicinò il telefono all'orecchio con il cuore avvolto da uno strano senso di irrequietezza.

«Io ti ammazzo, brutto figlio di puttana» fu la voce femminile che gli rispose dopo neanche mezzo secondo. «Che cazzo le hai fatto?»

Dick si accigliò. «Emma?!» La riconobbe subito, nonostante la voce adirata e i rumori del traffico in sottofondo. Erano forti. Il che significava che doveva trovarsi in mezzo alla strada, e visto il suono prolungato di un clacson che gli arrivò come se fosse lì, che stava per essere investita

«Ti ammazzo, io ti ammazzo.»

«Sei ubriaca?»

«Cazzo, no!» sbotto lei dall'altra parte del telefono. «Dimmi dov'è.»

«Dov'è chi?»

«Amber, brutto stronzo. Amber.»

Dick sbatté le palpebre. Dovevano aver fatto pace e Amber doveva averle detto dell'uscita che avevano fatto quella sera, o comunque del fatto che sarebbero andati fuori. Magari non le rispondeva da un po', ed Emma, che a quanto pareva aveva dei seri problemi psicologici, chissà cosa aveva pensato per arrivare a chiamarlo. Che poi... lo stava accusando? E di... di... no, non riusciva a credere che quella conversazione stesse avvenendo davvero.

«Dimmi d-»

«A casa, Tyler l'ha riportata a casa» l'interruppe Dick.

«Tyler?» ripeté Emma come se fosse la prima volta che sentisse quel nome. «Ma che cazzo dici» sbraitò, e a Dick sembrò sull'orlo di una crisi isterica. «So che sai dov'è, e so anche che tu c'entri. Quindi o parli e ti spacco la faccia dopo o lo faccio adesso, ovunque tu sia.»

Aveva il fiatone, come se si fosse fatta tutta Gotham a piedi, correndo, e qualcosa gli diceva che ci era andato vicino. All'improvviso si sentì in colpa di quei pensieri, nonostante le accuse gravi e infondate. Chiuse gli occhi e rilasciò un debole sospiro. Il fatto era che la capiva. La capiva e non poteva biasimarla, perché lui avrebbe fatto lo stesso. Certo, non così, ma quello era un altro discorso. «Emma, calmati» provò a dirle. «Non so di cosa tu stia parlando esattamente ma-»

«Non ti credo, sei un fottuto bugiardo» l'interruppe lei.

Dick sospirò, massaggiandosi il ponte del naso tra il pollice e l'indice. Oltre ad avere dell'assurdo, la situazione stava letteralmente degenerando, e se Emma continuava così presto avrebbe perso la pazienza che, a dirla tutta, non era mai stata il suo forte. «Scusa, va da lei, no?» Quell'affermazione gli uscì senza pensarci, ma quando lo fece, un secondo dopo, fu colpito da una consapevolezza che gli agitò il muscolo che aveva nel petto. E lo sentì, in ogni fibra del corpo. Nella vista che all'improvviso gli si appannò, nei muscoli che gli s'irrigidirono, nel sangue che gli scorreva nelle vene e nelle orecchie, dove il proprio battito cardiaco gli rimbombò in un eco così forte che la risposta di Emma gli arrivò così lontana e distorta da non capirne mezza parola.

Era fuori casa, era ovvio che prima di arrivare a tanto fosse andata da lei.

«Emma» la zittì, secco, troncando e ignorando qualsiasi cosa lei stesse blaterando. «Che succede?» andò dritto al punto, con il tono che all'improvviso trasudava preoccupazione da ogni dove, ma ebbe a malapena il tempo di finire che lei gli chiuse il telefono in faccia.

Dick chiamò Amber, mentre correndo usciva dalla porta e si precipitava giù per le scale che non gli erano mai state tanto d'intralcio come in quel momento. Ma lei non rispondeva. Il telefono neanche squillava, e la paura gli ingarbugliò i pensieri, stringendogli il cuore in una morsa soffocante. Eppure, non si fermò, continuò a correre se pur non avesse fiato, sotto la pioggia e il freddo finché non arrivò alla macchina.

Doveva restare lucido. Doveva ragionare ma più se l'imponeva più otteneva l'effetto contrario.

«La paura può paralizzare» gli aveva detto una volta Bruce. Era stato tanto tempo fa, eppure quelle parole gli erano rimaste impresse come poche. «Ma se imparerai a controllarla sarà la tua arma migliore. D'altronde, quando sei spaventato il tuo corpo innesca una serie di reazioni che vengono definite di fuga, ma anche di attacco.» A Dick non era sfuggito il modo in cui aveva marcato quella parola. «La paura è un'arma. La più potente che esista. Sotto la spinta della paura, siamo in grado di fare cose che non avremmo mai pensato di riuscire a compiere. Se impari a controllarla, non ci sarà niente che tu non sia in grado di fare.»

«Emma!» con il telefono in una mano e il volante nell'altra sterzò di colpo, beccandosi una suonata di clacson dalla berlina che gli stava dietro che era stata costretta a inchiodare. «Dove sei?» Nella virata, le ruote posteriori della propria auto sgommarono sull'asfalto bagnato, stridendo.

«Chiamami di nuovo e ti blocco» urlò lei. «Anzi, ti denuncio» si corresse.

«Dimmi dove sei, dannazione» ripeté Dick, mentre a una velocità che superava due volte il limite consentito sorpassava, in doppia linea continua, una fila di macchine. «Emma!» l'esortò, mentre qualcuno che veniva di fronte, sulla metà di strada che stava invadendo, gli lampeggiò ripetutamente. Ma lui al posto di rientrare nella propria corsia lanciò il telefono sul sedile accanto, afferrò il volante con entrambe le mani e schiacciò il piede sull'acceleratore. Continuò il sorpasso, senza neanche vedere che velocità avesse raggiunto e superò il furgone responsabile di quella coda. Poi rientrò. Giusto in tempo per evitare l'impatto. Ma nulla che non fosse calcolato... per cui il tizio al volante che gli aveva lampeggiato non aveva motivo di rimanere attaccato al clacson come se l'avesse preso.

«Stai andando a suicidarti, Dick?» Come se tutto quello non fosse già abbastanza, ci si aggiunse anche Emma. «Ottima scelta.»

Dick riportò il telefono all'orecchio. «Emma, ascoltami. Ascoltami bene» parlò ad alta voce affinché la sentisse chiaramente. «Devi dirmi quello che sai. Se Amber è in pericolo e tu-»

«In pericolo?» ripeté lei, stranita. «Tu davvero non...» s'interruppe e Dick la sentì sospirare. «Grand Central Station.»

«Arrivo.»

«Non farmene pentire.»

Dick riagganciò e spinse il pedale dell'acceleratore mentre superava, di nuovo, la linea continua che divideva le corsie. Era un bene che fosse già per strada, perché arrivò lì in un battito di palpebre. Anche se aveva fatto così tante infrazioni che avrebbero potuto ritirargli la patente seduta stante. Sempre se prima non gli sequestravano la macchina per il parcheggio in doppia fila.

Corse dentro guardandosi intorno, e si fermò al centro dell'atrio, accanto al banco informazioni. Fece per prendere il telefono e chiamare Emma, ma soltanto dopo aver infilato la mano in tasca si rese conto di averlo dimenticato in macchina.

Maledizione.

Non era facile trovare qualcuno lì, e non solo perché quella era la stazione più grande del mondo. L'edificio in stile Beaux-Art, tutto marmo e ottone, attirava turisti da ogni parte del mondo. Se visitavi Gotham, non potevi non fare tappa lì.

Dick girò su sé stesso e l'edificio gli ruotò attorno al contrario quasi volesse confonderlo. E in effetti, era così che doveva apparire all'esterno. Confuso e fuori posto, perché le persone che gli passavano accanto lo guardavano aggrottando la fronte.

All'improvviso, i suoi occhi si posarono sulla figura di una ragazza dai capelli castani che se ne stava ferma, con il viso chino sul cellulare. Dick scattò in avanti e le afferrò la spalla, ma quando questa alzò il viso, e i capelli che le ricadevano in avanti glielo scoprirono, fu costretto a scusarsi.

Indietreggiò, ma non fece in tempo ad alzare lo sguardo che qualcosa impattò contro il suo viso talmente forte da farglielo girare. Si portò una mano alla mascella e, raddrizzandosi, si voltò. Emma se ne stava immobile, con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo fisso su di lui. Aveva i capelli legati in una coda, anche se molte ciocche le ricadevano sulla fronte, gli occhi e le guance arrossate come se avesse pianto fino a pochi secondi prima.

«Parla» le disse Dick, ignorando il fatto che l'aveva appena colpito con un pugno. E che pugno.

«Se ne va.»

Dick si accigliò e a quel punto Emma tirò fuori dalla tasca della giacca un foglio e lo alzò a mezz'aria. Era piegato così male che dai bordi, che non combaciavano di diversi centimetri, s'intravedevano parole scritte a mano.

Non poteva essere. Era uno scherzo. Eppure, gli veniva tutto eccetto che da ridere.

Fece per afferrarlo, ma lei ritrasse il braccio con uno scatto.

«È privata, idiota.»

«Non è di Amber, ci siamo visti un'ora fa.»

Emma inarcò un sopracciglio. «Secondo te me la scriveva se me lo diceva a voce?» replicò, «Certo che sei proprio stupido.»

Dick chinò il viso, mentre quella realtà che si rifiutava di ammettere si faceva strada in lui.

E se era quello il motivo per il quale era strana? No, impossibile. Una cosa così gliel'avrebbe detta. Poi però ricordò l'orario, la fretta di tornare, di non fare tardi e... e Alfred.

Rialzò la testa, la gettò all'indietro e chiuse gli occhi, sperando che quando li avesse riaperti si fosse svegliato.

Alfred non la stava salutando. Le stava dicendo addio, in maniera silenziosa così come aveva fatto lei con lui. Quella serata non era stata uno svago, era stata un addio. E lui era stato un idiota perché lo aveva capito. Più di una volta le sue parole gli erano suonate come un addio, ma mai avrebbe pensato lo fosse davvero. Mai avrebbe pensato... quello.

Doveva trovarla.

Erano usciti un'ora fa, quindi, probabilmente, doveva trovarsi ancora lì, a Gotham. Ma non ci sarebbe stata ancora a lungo visto l'orario a cui aveva insistito per tornare, e sapere dove fosse senza così, senza nulla, era come cercare una biglia nelle profondità dell'oceano.

«Ha detto che partiva da qui?»

Emma negò con un debole cenno del capo e l'affiancò. «No, ci sono venuta io. Sono andata a casa sua ma non c'era e questo era il posto più vicino, così ho... ho pensato di iniziare da qui ma... è impossibile sapere dove sia, sempre se non è già-»

«No» l'interruppe Dick, secco. Non voleva neanche pensarlo. Non riusciva a pensarlo, a immaginare che lei non ci fosse più.

Emma si rigirò la lettera tra le dita, scuotendo lievemente il capo. «L'ho trovata per caso, aveva detto a mia madre di darmela non prima di domani.»

«Sapeva che l'avremmo fermata» pensò Dick ad alta voce. Ed aveva ragione. «Posso trovarla» disse poi. Sperava soltanto che non fosse troppo tardi. Non poteva lasciarla andare così. «Seguimi.»

Iniziò a correre, senza aspettare che Emma gli rispondesse o girarsi per vedere se lo stesse seguendo. Non aveva tempo anche per quello e francamente non gli interessava. Ma quando uscì in strada, sotto la pioggia, lei lo affiancò, un secondo prima di scartare di lato quando per poco una macchina non li investì.

In un gesto istintivo, Dick poggiò il palmo della mano contro il cofano anteriore del suv che si era fermato a pochi centimetri dalle loro gambe. L'autista gli suonò, e imprecò qualcosa dietro il vetro, ma loro stavano già andando via.

«Sali in macchina» le ordinò Dick.

«No, andiamo con la mia» replicò lei con l'espressione accigliata. «Non mi fido di te.»

Come faceva Amber ad essere amica di una così?

«Vuoi trovarla o no?» Dick inarcò un sopracciglio, fece il giro dell'auto e salì. E per fortuna di Emma, o l'avrebbe lasciata lì, lei ci mise meno di un secondo a raggiungerlo.

«Come pensi di trovarla?» gli chiese mentre sbatteva portiera. Aveva il tono altezzoso di chi ritiene qualcosa impossibile e non vede l'ora di rinfacciarlo. «Allora?» insistette, ma Dick continuò a tenere gli occhi fissi sul volante, una mano a stringerlo con forza, il motore acceso, il piede pronto sull'acceleratore e il cellulare attaccato all'orecchio.

Avanti, Alfred. Rispondi.

La pelle dello sterzo crocchiò sotto il palmo della sua mano per la forza con cui era arrivato a stringerlo.

Rispondi, rispondi.

Scalpitava, dentro, come non aveva mai fatto, e quando il maggiordomo rispose non gli lasciò il tempo di dire nulla.

«Alfred, mi serve un favore. Devi trovarla.»

«La Guardia» rispose all'istante il maggiordomo, e mentre l'auto sgommava, mettendosi sulla carreggiata, Dick riuscì a vedere il sorriso e l'espressione del suo volto pur non avendolo avanti. Sapeva che l'avrebbe chiamato... ma certo che lo sapeva, era Alfred. «Delta Air Lines 1051 in partenza per Seattle alle ventitré e trenta.»

Dick guardò il quadro della macchina. Erano quasi le ventitré e l'aeroporto distava esattamente venti minuti.

Non avrebbero mai fatto in tempo.

«Ma l'aereo porta un ritardo di trenta minuti» aggiunse Alfred.

Dick schiacciò il piede sul pedale dell'acceleratore fino alla moquette.

«Perché vuoi ucciderci?» esclamò Emma, urlando per sovrastare il rumore del motore e allacciando la cintura di sicurezza. «Il tipo ha detto che l'aereo parte a mezzanotte!»

Dick rimase immobile, con le mani inchiodate al volante e neanche abbassò lo sguardo per guardare il contachilometri. «Non hai mai preso un aereo, vero?» replicò. «L'imbarco apre sempre trenta minuti prima. Quindi, se il volo è a mezzanotte, l'imbarco è alle undici e mezza.» Se non prima. «E poi ci sono i controlli da superare.»

Emma si fece un conto mentale, perché ci mise qualche secondo prima di aprire di nuovo bocca, e quando lo fece fu per dire: «Cazzo! Abbiamo dieci minuti?»

Rispettando i limiti di velocità. «Vuoi ancora che rallenti?» le chiese, ma la voce del maggiordomo richiamò la sua attenzione.

«In ogni caso, come pensa di entrare in aeroporto?»

«Prenotaci un volo.»

«Cosa?!» esclamò Emma.

«Ottima idea. Preferenze?» Il maggiordomo era calmo, rilassato come se stesse sorseggiando una tazza di tè caldo.

«Alfred non ha importanza, non dobbiamo prenderlo davvero.»

«Le manderò tutto nel giro di pochi minuti, ma mi servono i dati della sua amica.»

Amica. «Grazie, Alfred» gli disse Dick, poi passò il telefono ad Emma.

Dieci minuti era tutto quello che avevano, e sì, stava sfidando il tempo e la morte a quella velocità e sotto quella che a tutti gli effetti sembrava neve, ma non era la prima volta, e non sarebbe stata neanche l'ultima.

Non poteva morire, c'erano troppe persone che dovevano ancora pagarla.

Sono sicura che nessuno all'inizio ha pensato ad Emma, su, dite la verità 😂
Comunque, tornando a noi, come avete visto le cose si sono movimentate e non di poco... vedremo cosa succederà nei prossimi 👀

Nel frattempo, idee? Ipotesi?
Potete scriverle qui nei commenti o su ig, nelle storie vi metterò il solito box domande ♥

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