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By Raven_Cherish

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By Raven_Cherish

«A proposito» Amber si accigliò, «Tu come sai che non ho la patente?»
Quando poco prima Dick glielo aveva ricordato non ci aveva prestato attenzione. Ma in un secondo momento, come spesso accadeva, il suo cervello aveva rielaborato quelle parole ricavandone veri e propri film mentali.

Che avesse cercato informazioni su di lei in quello strano computer? Quel pensiero non le dispiaceva più di tanto.

Si girò nel sedile dell'auto e lo guardò. «Non te l'ho mai detto» ci tenne a precisare in maniera chiara.

Dick rimase con gli occhi fissi sulla strada, ma grazie al bagliore del display del navigatore, Amber vide le sue sopracciglia contrarsi appena e l'angolo della bocca incurvarsi verso l'alto. «Prendi sempre i taxi» le rispose con nonchalance, «Non è difficile da capire, sai?»

All'improvviso girò il viso verso di lei, e Amber, con qualche secondo di ritardo, fece lo stesso in direzione del finestrino, simulando interesse per il panorama che sfrecciava veloce dall'altra parte del vetro. Cosa che anche se fosse stata vera le sarebbe risultata difficile visto lo sguardo che aveva addosso in quel momento.

«Che c'è?» fece lui, tornando concentrato sulla strada, «Pensavi che avessi fatto ricerche su di te?»

Amber si finse stupita, come se quell'idea non l'avesse mai sfiorata. Tuttavia, quell'espressione sul suo volto era fin troppo marcata per essere veritiera, e i suoi occhi rivelavano tutt'altra storia. «No. Certo che no.»

Dick scosse la testa con un mezzo sorriso, poi d'un tratto assunse un'aria seria e pensierosa, ma solo dopo qualche minuto si decise a buttare fuori il suo pensiero. «Che intendete fare domani in centrale?»

Amber, colta alla sprovvista da quella domanda, inarcò le sopracciglia e si mordicchiò il labbro inferiore. «Non lo so, non ne abbiamo parlato, ma...» si fissò le ginocchia per qualche secondo, «Credo che la cosa giusta sia-»

Lo scivolamento improvviso, e il conseguente urto del suo corpo contro il pannello della porta troncarono le sue ultime parole, e l'inchiodata dell'auto che era passata da centocinquanta chilometri orari a zero in pochissimi secondi la fece scivolare in avanti. Gli occhi le si chiusero d'istinto, e le mani scattarono in protezione del viso con i palmi aperti e rivolti verso il cruscotto per attutire l'imminente colpo che per qualche ragione non arrivò. E solo quando riaprì gli occhi ne comprese il motivo.

Dick aveva un braccio teso verso di lei, e la mano premuta contro il suo stomaco l'aveva tenuta ancorata al sedile. 

«Non puoi.» Dick ritirò il braccio, strizzando gli occhi a causa della fitta di dolore che la ferita, se pur dalla parte opposta, gli aveva provocato.

Quelle parole e la rapida occhiata che diede fuori, bastarono ad Amber per realizzare quello che era appena successo.
La macchina ferma all'imbocco di una strada secondaria e perpendicolare a quella che stavano percorrendo, non aveva urtato o dovuto evitare nulla al contrario di quello che aveva pensato. «Sei impazzito per caso?» urlò, «Che diavolo-»

Dick si voltò verso di lei. «Non dovete parlare.»

«Aspetta» disse Amber, gli occhi sgranati, e l'espressione confusa, «Tu... tu mi stai dicendo di non...» scosse la testa, non riusciva neanche a dirlo, e per un istante credette di aver sentito male.

«Sì, sì Amber.» Il suo tono si era alterato, ma il cambiamento repentino durò il tempo di quelle parole. «Perché la cosa giusta a volte è proprio quella sbagliata.»

Amber batté le palpebre più volte mentre si raddrizzava nel sedile e riportava lo sguardo oltre il parabrezza. Stentava a credere che proprio lui le avesse detto qualcosa del genere. «Pensavo che tu ti battessi per questo» buttò fuori in un sospiro.
Nessuno dei due guardava l'altro.
«Verità, giustizia...»

Dick strinse il volante con forza. «Infatti, è così» ribadì con fermezza, «Ma questa volta è diverso, hai già avuto la prova di quello di cui sono capaci, e fidati se ti dico che questo è niente, niente in confronto a quello che potrebbero fare» si fermò il tempo di riprendere fiato, «Alla tua famiglia, ai tuoi amici... a te.» Senza volerlo marcò quell'ultima parola, ma anche con quello era sicuro che non avrebbe capito.
Non avrebbe mai potuto capire.
Quella volta era diverso per lui, perché in mezzo a tutto quello c'era lei, l'unica persona che era stata capace di farlo andare contro i propri ideali.

Amber scosse la testa. Se il suo intento era quello di spaventarla non ci stava riuscendo, perché non era nulla che non avesse intuito. «Hai paura che mi facciano del male? Be', l'hanno già fatto e comunque-»

«Amber.»

Lei si bloccò e roteò il viso per guardarlo. «Cosa?» disse piuttosto infastidita.

«Lascia che me ne occupi io.»

«Perché vuoi fare tutto da solo?»

«Perché nessun'altro deve farsi male.»

Amber sollevò il viso e alzò gli occhi al cielo, poi tornò a guardarlo. «E che mi dici di te?»

Dick innestò la retromarcia e inspirò. «Io sono nato per questo.»

Questo cosa? Avrebbe voluto urlargli in faccia Amber. Agire da solo e rischiare perché così facendo nessun altro ne sarebbe rimasto coinvolto? Be', per quello era troppo tardi.
«Sai, se vuoi salvare gli altri devi prima salvare te stesso.»
Poi buttò una rapida occhiata alla mappa del navigatore che aveva ripreso a muoversi assieme alla vettura e pregò affinché le sue supposizioni fossero almeno in parte esatte. «Se troviamo qualcosa sarà tutto più facile.»

«Per quanto folle sia questa teoria» replicò Dick, «Spero che tu abbia ragione.»

L'appartamento in cui abitava Barn era situato al penultimo piano di un edificio moderno.

Dick suonò il citofono e aspettò diversi secondi prima di ripetere l'operazione una seconda volta dal momento che nessuno aprì loro la porta.

«Sai» fece Amber indicandola, «Credo che non ci sia nessuno.»

Dick avvicinò l'orecchio alla porta, giusto per avere un ulteriore conferma, poi tirò fuori un piccolo e strano arnese agli occhi di Amber, stretto e lungo. Se l'era infilato nella tasca della giacca prima di scendere dall'auto, insieme a un altro paio di cose che evidentemente aveva pensato avrebbero potuto servirgli.

«Esci sempre con queste cose?» bisbigliò Amber, guardandosi intorno lievemente apprensiva. Sul pianerottolo c'erano altri quattro appartamenti, e anche se era tardi, non era esclusa la possibilità che qualcuno potesse vederli. Doveva recarsi in centrale come vittima di un processo finito male e non finirci con l'accusa di scasso e tentata rapina.

«No.» Dick infilò l'estremità dell'oggetto nella serratura e questa si aprì nel giro di una ventina di secondi.

Entrarono, e nella penombra dell'ingresso Amber notò uno schermo retroilluminato attaccato alla parete di sinistra. Aveva l'aria familiare e pochi istanti dopo ne comprese il motivo. «L'allarme!» urlò, consapevole che i secondi che li separavano dalla sirena non sarebbero stati sufficienti a lasciare il palazzo. Né in ascensore né correndo per le scale.

Ma Dick, in tutta tranquillità, tirò fuori un oggetto più strano di quello precedente, se possibile. Una scatoletta non più grande di un pacchetto di sigarette, nera e con sei piccole antenne situate sulla parte alta. «Strano» disse dopo qualche secondo, sorpassandola per chiudere la porta e accendere la luce. «Non era attivo.»

«Che diavolo è quel coso?» Amber, ancora immobile sull'uscio, pensò che avrebbe come minimo potuto avvisarla. Tuttavia, la cosa che realmente l'aveva sconcertata erano stati il tempo e la facilità che entrare in quell'appartamento avevano richiesto.

«Disturbatore di frequenza.»

«È così facile entrare in casa di qualcuno?»

«No» rispose lui, e Amber sollevò le sopracciglia. «Non guardare me, questi oggetti non sono neanche in commercio. Adesso vieni, non perdiamo tempo.»

L'ingresso si trovava al centro di un ambiente unico formato da sala e cucina, arredato da mobili in stile moderno e dai colori tenui. Gli spazi erano grandi, ma il disordine era tale che i metri calpestabili erano ridotti a una manciata di mattonelle, tutto questo se ovviamente non si volevano calpestare vestiti, fogli di giornale, scontrini sbiaditi e buste di cibo d'asporto. Inoltre, nell'aria aleggiava un odore di chiuso e uno pungente di cibo andato a male.

Girandosi in direzione della cucina, Amber vide il lavabo sommerso da pile di pentole e piatti sporchi, e sul tavolo cataste di cartoni unti, bicchieri e bottiglie di acqua.

Dopo la rapida occhiata alla cucina, che le aveva fatto arricciare il naso e chiudere lo stomaco, si girò in direzione della sala, dove la situazione era pressoché identica. Tuttavia, la sua attenzione venne catturata da Dick, al quale si avvicinò, chinato di fronte a un portatile sul pavimento e collegato a una presa di corrente.

Il computer era acceso e lo schermo nero aveva un'unica scritta: piccola, bianca, formata da tre lettere in stampatello, posizionata in alto a destra e accompagnata da un pallino rosso scarlatto.

'REC'.

C'era una registrazione in atto, ma qualsiasi cosa stesse riprendendo il dispositivo a cui era collegato doveva essere finito da tempo, perché anche dall'audio, non proveniva alcun tipo di rumore.

Dick interruppe la registrazione e Amber tornò a respirare come se poco prima qualcuno avesse potuto sentirla, o peggio, guardarla. Ciononostante, continuò a fissare quei pixel neri come se racchiudessero il suo peggior incubo.

«Amber... Amber.» Dick la scosse piano, con una mano poggiata sulla spalla.

Lei si ridestò all'improvviso e batté le palpebre un paio di volte prima che i contorni di ciò che aveva avanti le tornassero nitidi e saturi. «Hm?»

«Tutto ok?»

Lei annuì.
Era tutto ok.
Si era solo incantata.
Solo incantata.
Nulla di più.

Dick, se pur poco convinto, tornò a concentrarsi sul portatile. Copiò tutti i file presenti sull'hard disk in una chiavetta usb e poi si assicurò di far sparire ogni cosa.

Nel giro di pochi minuti quel computer sarebbe tornato come nuovo e neanche un hacker professionista sarebbe stato in grado di recuperarne il contenuto... certo, a meno che qualcuno non avesse bloccato il processo prima della fine.

La barra di completamento scorreva veloce, ma non era arrivata neanche a metà quando, nel silenzio, udirono il rumore di una chiave che veniva infilata nella serratura.

La porta si aprì e Dick fece appena in tempo ad afferrare Amber e a trascinarla dietro il divano. E mentre le suole di un paio di scarpe avanzavano verso di loro, la sua prima preoccupazione fu quella di cercare il suo sguardo per rassicurarla.
Le rimase vicino, stringendo il braccio che aveva ancora legato alla sua vita.

«Ma guarda che casino!» trillò la voce anziana di una donna, con il tono di chi rimprovera qualcuno. «Ah» sospiro poi con un velo di malinconia. «Cosa ha combinato dottor Barn, hm? Da quando lei se né andata non è stato più lo stesso...»

Dick si sporse e Amber presa dalla curiosità fece lo stesso.

Davanti a loro, stretta in una vestaglia da notte, o qualcosa di molto simile, c'era un'anziana signora dalla statura bassa, tondeggiante e leggermente ricurva.

«Ma non si preoccupi.» A fatica si chinò e recuperò il portatile, chiudendolo senza annullare il processo che Dick aveva avviato. «Farò quello che mi ha chiesto» disse, poi si avviò versò verso l'uscita blaterando qualcosa sul fatto che gli anziani dormissero poco. Spense la luce e si lasciò quell'appartamento alle spalle.

Dick si alzò in piedi e porse la mano ad Amber per aiutarla a fare lo stesso.

«Ha preso il computer.»

«Sì» rispose lui tranquillo, «Ma ormai non c'è più niente.» Tirò fuori il cellulare e accese la torcia. Si avvicinò al muro e illuminò la fotografia con la quale l'anziana signora aveva avviato un monologo. 

Amber l'affiancò.

La foto ritraeva Barn e, visto il bacio sulle labbra di lei incurvate in un sorriso, quella che doveva essere la sua compagna. Sullo sfondo c'era l'oceano e i colori caldi di un tramonto estivo, che piombò nel buio quando Dick spostò la luce sulla mensola sottostante, e più precisamente su un ritaglio di un articolo di giornale che rispetto agli altri non presentava neanche l'ombra di una piega.

Il titolo riguardava un tragico incidente stradale in cui una donna aveva perso la vita, ed era accompagnato da un'immagine raffigurante i mezzi coinvolti: un camion e una macchina.

La sua espressione mutò, e ogni muscolo del suo corpo si bloccò, a eccezione del respiro che trattenne per diversi secondi all'interno dei polmoni.

«Nicla Willer» lesse ad alta voce quando riprese a respirare, e nel pronunciarlo ebbe un fremito che la costrinse a stringersi le braccia intorno alle spalle.

«Vieni.» Dick le afferrò il polso, «Andiamo via.» 

Quando rientrarono era ancora notte. I colori violacei suggerivano un'alba imminente, ma i nuvoloni che incombevano sulla città non promettevano nulla di buono.

Dick aveva consigliato ad Amber di riposarsi, così lei gli aveva voltato le spalle e aveva iniziato a camminare verso la stanza degli ospiti.

Riposo.

Dopo tutto quello che era successo quella era davvero l'unica cosa da fare... se solo ci fosse riuscita. Ormai era più di un mese che non riusciva dormire senza incubi o comunque a sentirsi davvero riposata una volta sveglia, così si ritrovò a voltarsi dopo pochi passi.
«Ehi, Dick» lo richiamò, «Vai a dormire?» chiese, sentendosi un po' stupida nel porgli quella domanda.

In risposta lui alzo la mano, stringendo tra le dita la chiavetta usb.

Amber si mordicchiò il labbro. «Posso restare?»

Dick sembrò pensarci visto che non le rispose subito. «Forse è meglio che tu non veda.»

Le sopracciglia di Amber guizzarono verso l'alto, «Cosa?» fece avvicinandosi, «Qualcosa che ho già visto?»

«Perché non vai a riposarti?» insistette lui, «Sembri stanca.»

E lo era, stanca di tutta quella situazione.

«Lo sono» ammise piano, abbassando gli occhi e fissando il pavimento, «Ma dormire non mi farà sentire meglio» proseguì. «Se rimango da sola è peggio e poi...» buttò fuori in un sussurro che si abbassò sempre di più, «Come potrei mai addormentarmi dopo oggi?» un sorriso amaro le distese le labbra.

Senza dire nulla Dick aprì la porta della sua stanza e con un cenno del capo la invitò a entrare. Poi recuperò il suo portatile, salì sul letto, incrociò le gambe per mettersi comodo e invitò Amber ad affiancarlo. «Ne sei sicura?» le chiese un'ultima volta.

Amber annuì senza pensarci e senza lasciargli il tempo di aggiungere altro. Deviò lo sguardo dal suo e attese. Aveva paura, ma la voglia di sapere cosa contenesse quel filmato aveva abbattuto ogni esitazione. E quando Dick inserì l'usb nel portatile e aprì il file video inevitabilmente trattenne il fiato.

Dopo pochi attimi, sullo schermo apparve la figura longilinea, in giacca e cravatta, del dottor Barn. Fissava il suo riflesso nello specchio della sala dove erano appena stati e vicino il quale avevano trovato il portatile. Aveva l'aria triste e sognante allo stesso tempo, mentre con l'indice girava in maniera lenta, all'anulare della mano opposta, una piccola fedina d'oro.

«Dov'è la telecamera?» s'interrogò Amber, avvicinandosi allo schermo con gli occhi socchiusi e la fronte aggrottata.

Dick avvicinò l'indice alla cravatta scura che Barn indossava. «Qui» indicò all'altezza del nodo. «L'inquadratura è centrale e alta, ma più bassa rispetto agli occhi» spiegò in breve, prima di mandare avanti il video di una buona mezz'ora che li portò nell'aula del tribunale.  «Questa roba deve essergli costata una fortuna, ha una qualità video e audio incredibile per la grandezza che ha» disse, e a quel punto velocizzò il filmato fino a trasformare le ore in minuti e i minuti in secondi.

«C'è tutto» mormorò a un certo punto, non smettendo di fissare le immagini che scorrevano veloci davanti i suoi occhi. «Sai che significa questo?» disse voltandosi verso Amber ed effettuando una copia del file, «Non serve parlare. Questo video è l'unica prova che ci serve, ed è una prova enorme, una di quelle che assicurano l'ergastolo.» Con un balzo saltò giù dal letto e recuperò la giacca.

«Dove vai?»

«Gordon deve averlo il prima possibile» rispose lui e per un secondo si fermò sulla soglia della porta. L'espressione che le rivolse era un chiaro 'mi dispiace'.

«Vai.» Amber accompagnò quell'affermazione con un cenno del capo e l'osservò andare via finché gli fu possibile, poi con un sospiro saltò giù dal letto e lasciò quella stanza. Non avrebbe chiuso occhio, di quello ne era certa, ma ormai anche quella notte era arrivata agli sgoccioli.

Spero che abbiate capito il titolo di questo capitolo e tutto quello che succede anche se dal precedente è passato un po'... mi scuso per il ritardo ma scrivere un capitolo è davvero impegnativo, soprattutto arrivati in un certo punto della storia.

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instagram, dove vi tengo aggiornate sulle novità per quanto riguarda le storie e tanto altro

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