Il giovane dei desideri irrea...

由 _Arii_Marti_

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''la morte non può uccidere un sogno, la morte non è la fine dei desideri'' e la tua esistenza serve a dimost... 更多

Prologo
Fascino insolito
Scompiglio
Crisantemi
Domande
Un nome, un significato
Il cimitero
Una strana sensazione
2 Novembre 2021 (40 giorni dopo)
Una sconvolgente scoperta
La Rivelazione
La Dimostrazione
Il regno dei cimiteriali
Avversarie simili
Shopping
Le frasi del destino
La mia vita è la tua
La speranza che lenisce la sofferenza
Terremoto
Il rito
La mamma di Cassie
Presentazioni
Progressi e paure
Dolceamaro
Curiosità traditrice e amicizia fedele
TRE PIANI DI PURA MAGIA
Ops: difficoltà in vista!
17 novembre 2021
Appuntamento
Il treno fantasma
La Parigi sotterranea
Solo contro te stesso
Mezzosangue
Noi
Mille urla nella testa
Sensi di colpa
Quel ricordo feroce
Tu
La causa di tutto
Tre azioni, tre battiti di ali
Primo battito di ali
Secondo battito di ali
Terzo battito di ali
Non ti deluderò
Ferite inguaribili
29 Gennaio 2022
Spazio autrice

Un incendio di ametiste

394 95 433
由 _Arii_Marti_

Già, quella bara era vuota. Talmente vuota da aprire un vuoto anche dentro di me. Anzi, un abisso.

Ebbi la sensazione di oscillare, di sbandare, e fui sul punto di finire nel feretro. Mi aggrappai alla parete di tombe, graffiando il marmo bianco fino a rovinarmi le unghie. Per poco non feci cadere i lumini a batteria e le rose appese al muro. Erano talmente appassite che qualche petalo si staccò comunque dalla corolla: macchie rosse precipitarono e si posarono ai miei piedi, ma avevo la vista offuscata. Assomigliavano così tanto a gocce di sangue...

Cercai di allontanarmi, barcollando, ma dovetti appoggiarmi a un pilastro. L'universo ruotava attorno a me come una giostra, i pensieri mi sfuggivano e si perdevano nella confusione che avevo in testa: alla fine riuscii ad afferrarne qualcuno, ma portavano tutti a un'unica possibilità. Era folle, ma non avevo alternative, se volevo davvero capire dov'era finito.

Mi drizzai. Sì, ero in grado di rimanere in piedi. Mi avvicinai alla bara e la studiai con un'ultima occhiata, poi mi coricai al suo interno e richiusi il coperchio. Il debole chiarore che illuminava l'esterno scomparve: anche l'arietta fresca rimase fuori.

Lì dentro l'unica cosa a muoversi era il mio respiro, che tornava sempre a riempirmi i polmoni, come in un ciclo continuo, regolare ma allo stesso tempo angosciante. Il tanfo era insistente, mi schiacciava, mi calpestava, e cominciai a tossire. Strinsi la treccia e l'avvicinai al naso, ma il profumo di gelsomino e mandorle si disperdeva nel puzzo e non mi dava sollievo. La nausea mi contorceva lo stomaco.

Il fondo della cassa iniziò a dissolversi e a sfumare nel nulla. Man mano che la sua base solida si diradava, io sprofondavo in un nero terribile. Scendevo di continuo, e il coperchio si allontava sempre di più. Il battito mi pulsava nelle tempie.

"Forse sono morta. Forse mi sta portando nell'aldilà... Quindi è questo che succede dopo la vita?"

Un tonfo risuonò nell'area compresa tra me e il coperchio. Lo spazio si ridusse di scatto: adesso ero di nuovo schiacciata tra il fondo e la chiusura della bara. Aspettai qualche secondo, ma non accadde nulla. Sollevai il coperchio e una luce metallica irruppe nella cassa: non proveniva né dalla luna né dal sole, non era limpida, non era artificiale, non era vera, non era niente. Nulla di tutto ciò che si può immaginare. Era... Non so come definirla. Esisteva ma allo stesso tempo non esisteva, proprio come Burald.

Mi misi a sedere nella cassa per guardarmi intorno. Quella luce diffondeva una tonalità viola-bluastra in una stretta corsia di tombe, infilate nel muro di un porticato delimitato da colonne. I corridoi componevano i lati di un quadrato, nel cui spazio interno si estendeva un prato pieno di fiori e croci. Le ombre si allungavano sul terreno e tremavano nel vento, come sospinte dal fiato di un gigantesco fantasma.

"Sono ancora nel cimitero! Ogni cosa è come l'ho lasciata!" Sgranai gli occhi. "Ehi, e quelle fiamme viola? Da dove sbucano fuori?"

Sovrastavano ogni cosa, salivano e scendevano come le canne di un organo, producevano un crepitio a tratti più debole a tratti così intenso da stridermi nei timpani come le unghie sulla lavagna. Le fiamme emanavano una luce violenta però erano trasparenti e, quando avvolgevano gli oggetti, questi parevano inglobati da una protezione di ametista.

Una scintilla sfiorò il legno della mia bara e il contenitore s'incendiò. Sussultai e uscii. Il materiale avrebbe dovuto diminuire e rovinarsi alla svelta, ma questo non avvenne. Nemmeno il resto, tutt'intorno, bruciava.

Il fuoco circondava ogni cosa ma non danneggiava nulla, impotente, neutro, senza alcun effetto.

-È terribile. Dove sono finita? Non mi sono mai mossa dal cimitero? Sono in un mondo parallelo oppure... Non è possibile! Niente di tutto questo è possibile! - Scossi il capo, come se potessi scrollarmi via anche il groppo in gola. - Come può aver fatto una bara a portarmi in un altro luogo? No, no... Io sono sempre rimasta qua. Dev'essere successo qualcosa! Perché ha preso tutto fuoco?

-Oddio, Cassie!

Feci un balzo di mezzo metro e mi voltai in tutte le direzioni per stabilire la provenienza di quella voce. Il cuore saltò con me, poi tornò giù con un guizzo. Mi gettai in una corsa folle: continuai a respirare con la bocca aperta e la gola asciutta, che adesso bruciava come se fosse graffiata da un foglio di carta vetrata. Era stato Burald a parlare, ma non era una ragione valida per fermarmi.

-Cassie! - Si lanciò all'inseguimento. -Mi dispiace, davvero, mi dispiace. Non doveva andare così...

"E allora avresti dovuto impedirlo, idiota. Anzi... Sei un mostro!"

Il mio respiro era un macigno. Possibile che fosse così pesante da non riuscire a farlo entrare e uscire dai miei polmoni? Possibile? Eh no, quella era la parola sbagliata. In quel momento non si addiceva a niente, proprio a niente. Non c'era niente di possibile in tutto questo.

Le lacrime iniziarono a rigarmi il volto. Smettere di fuggire per me equivaleva a precipitare, a farmi risucchiare da un buco nel terreno, volare in un'altra bara, morire soffocata... Alla sola idea nella mia mente si apriva una galleria di immagini catastrofiche. Non potevo fermarmi. Non dovevo.

Dopo aver percorso varie volte il porticato, entrai nel prato. Alzai gli occhi al cielo e la sua oscurità mi inghiottì, con riflessi che riprendevano la luce viola e il colore elettrico.

- Aiuto, qualcuno mi aiuti! - Singhiozzai. Continuai a correre. -Per favore, aiuto!

Il cimiteriale mi raggiunse e tentò di mettermi una mano sulla spalla, ma lo scansai e mi diressi verso l'uscita del cimitero. Si passò una mano tra i capelli, tornò da me e afferrò di nuovo il mio braccio.

-Burald, lasciami andare! Devo scappare, devo...

Lui cercò il mio sguardo, ma io continuavo a evitarlo. Alla fine riuscì a incontrare i miei occhi: i suoi luccicavano, attraversati da tante venuzze rosse, e gli angoli della sua bocca erano piegati verso il basso. - Per favore, calmati. Non devi avere paura, tanto meno di me...

Inclinò un po' la testa. La sua voce tremava. - Ti scongiuro: fermati.

Sogghignai. - Dopo quello che è appena successo? - Sbottai in una risata nervosa. - E fermarmi per cosa, poi? Per finire in una botola e trovarmi in una prigione? Per bruciare viva?

Le sue dita, stretta attorno al mio braccio, erano appiccicose di sudore. - Cassie, lasciami spiegare... Io non volevo spaventarti così, io...

La sua espressione diventò aspra come una ferita. Le sue labbra fecero un guizzo verso l'alto, ma solo per il nervosismo. Fu come se una montagna di fuoco mi precipitasse addosso e mi ustionasse la pelle. -Dimmi tutto, ora!

Si passò di nuovo le dita tra le ciocche, con il petto gonfiato dal fiato che stava trattenendo e le labbra dischiuse. Ma non rispose. "Cos'ha ancora da aspettare? Giuro che non lo capisco!" Mi voltai e corsi il più lontano possibile.

-Aiuto, aiuto! - gridavo. -Se qualcuno mi sente, per favore, mi aiuti!

Inciampai nel piede destro e caddi sulle mattonelle. Delle scosse provenienti dal pavimento accentuarono il mio tremore e i singhiozzi che mi contraevano l'addome: feci per rialzarmi, ma Burald si sedette sul pavimento vicino a me. Mi allontanai, strisciando sul pavimento, perché non avevo più la forza di alzarmi, ma a un tratto mi trovai contro la parete di tombe. Mi raggomitolai fino a diventare piccola piccola e abbracciare le ginocchia. I muscoli e le ginocchia su cui ero atterrata mi facevano male: non sarei riuscita ad andare molto lontano.

- Dove sono finita? - singhiozzai. Nascosi la testa tra le ginocchia per non vedere quello strano inferno in cui ero precipitata.

Burald fece per avvicinarsi, ma io schiacciai ancora di più la schiena contro la parete e diventai rigida come un mattone. Lui si bloccò. - È arrivato il momento di spiegarti tutto, vero?

-Direi proprio!

Si posizionò a gambe incrociate e iniziò a sfregarsi il dorso della mano destra. - Dunque... - Fece un sorriso agitato. - Non so nemmeno da dove cominciare. Sai, non lo racconto tutti i giorni a una terrestre e...

Sgranai gli occhi. - Cosa? Perché mi chiami terrestre? - Agitai la testa. - Ah, giusto. Tu non lo sei!

Burald abbassò lo sguardo sulle mattonelle e si morse un labbro. I miei nervi si contrassero come corde attorcigliate e poi attorcigliate di nuovo su sé stesse. Avevo ancora i muscoli delle gambe tesi, pronti a scattare. - Adesso basta, Burald!- Strinsi i pugni fino a farmi diventare le nocche tutte bianche. - Non ti sopporto più. Cos'aspetti ancora?

Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani, poi infilò le dita tra le ciocche di capelli. - Non è così semplice...

-Per te non è così semplice?

- Hai ragione, scusa. - Sospirò e alzò lo sguardo nel mio, che adesso era una piastra rovente. - Siamo in un mondo sotterraneo, identico alla Terra. Insomma, voglio dire... Tutto quello che c'è là sopra c'è anche qui, ed è uguale, solo che è infuocato.

La sua voce vibrava sui miei vestiti e sulla mia pelle, ma le informazioni scivolavano giù e non riuscivo ad assimilarle.

-Quindi è una perfetta imitazione della Terra?

- Sì, però anche il fuoco è diverso. - Riprese a muovere le unghie sulla pelle della sua mano, fino a che non diventò tutta rossa. - Ogni copia è proprio sotto all'originale. Ad esempio, noi siamo proprio sotto al cimitero. Tutto coincide.

-Allora anche questo posto è grandissimo...

Ma non c'era ammirazione nella mia voce: mentre lo dissi, il cuore mi tremava. Appoggiai la schiena alla parete di marmo dietro di me, senza abbandonare troppo il mio peso sulla superficie, senza affidarmi a quel regno sconosciuto. Mi drizzai di scatto, ricordandomi delle fiamme.

Visto dal suolo, il rogo pareva ancora più pericoloso. Inoltre creava nuvole di fumo ovunque: la loro puzza permetteva a malapena di respirare. Mi alzai in piedi: tornare a casa sarebbe stato un sollievo immenso, ma prima avrei dovuto affrontare la tomba- ascensore. Cominciai a sudare. - L'unico modo per venire qui è entrare in quella bara?

Anche lui si tirò su. Sollevò le mani in aria per comunicarmi che non era pericoloso e indicò, con un gesto prudente, quella specie di ascensore da cui ero arrivata. - Non per forza in quella... In ogni cimitero c'è una cassa diversa in grado di trasportare la gente.

Mi asciugai la fronte e lo guardai: i suoi occhi verdi erano sempre stati il mio paradiso, dalla prima volta che li avevo guardati, invece ora si erano trasformati in uno strano inferno rovente. Un vortice di lucine tremolava al loro interno e li ammorbidiva. Burald continuava a cambiare la traiettoria del suo sguardo e lo faceva scivolare di qua e di là. Sembrava irrequieto quanto me. Ma io non potevo scordare dove mi trovavo, non potevo abbassare le difese, non potevo smettere di scappare. Anche se le mie gambe si erano arrese, non avevo rinunciato alla fuga. Solo una volta arrivata a casa sana e salva, sarei potuta crollare, non prima... e poi dovevo pensare ad arrivarci, a casa. Potevo uscire da lì?

Forse non sarei più potuta tornare dagli umani perché ero a conoscenza di troppe informazioni e mi avrebbero lasciata marcire lì sotto. Burald si sforzò di sollevare un angolo della bocca in un mezzo sorriso, ma a fatica. Infatti i suoi occhi dicevano tutt'altro, come sconnessi. -Mi perdoni?

-Mi giuri che sono al sicuro qua sotto? Non rischio di morire?

- Non rischi di morire.

Il viola incandescente era ovunque e mi minacciava, mi guardava con occhi truci. I fiori mi rivolgevano sorrisi maliziosi, il rumore del fuoco mi malediceva con dei sussurri. Neanche quel giuramento, neanche gli occhi di Burald mi avrebbero calmata, nemmeno se si fossero sciolti per me come acqua liquida.

-Non ti perdono lo stesso. 

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