Il giovane dei desideri irrea...

Od _Arii_Marti_

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''la morte non può uccidere un sogno, la morte non è la fine dei desideri'' e la tua esistenza serve a dimost... Viac

Prologo
Fascino insolito
Scompiglio
Crisantemi
Domande
Un nome, un significato
Il cimitero
Una strana sensazione
2 Novembre 2021 (40 giorni dopo)
Un incendio di ametiste
La Rivelazione
La Dimostrazione
Il regno dei cimiteriali
Avversarie simili
Shopping
Le frasi del destino
La mia vita è la tua
La speranza che lenisce la sofferenza
Terremoto
Il rito
La mamma di Cassie
Presentazioni
Progressi e paure
Dolceamaro
Curiosità traditrice e amicizia fedele
TRE PIANI DI PURA MAGIA
Ops: difficoltà in vista!
17 novembre 2021
Appuntamento
Il treno fantasma
La Parigi sotterranea
Solo contro te stesso
Mezzosangue
Noi
Mille urla nella testa
Sensi di colpa
Quel ricordo feroce
Tu
La causa di tutto
Tre azioni, tre battiti di ali
Primo battito di ali
Secondo battito di ali
Terzo battito di ali
Non ti deluderò
Ferite inguaribili
29 Gennaio 2022
Spazio autrice

Una sconvolgente scoperta

422 97 475
Od _Arii_Marti_

38 giorni prima.

In salone, a casa mia, c'era un tavolo di legno su cui facevo i compiti e studiavo: anche oggi ero seduta lì e anche oggi, invece di concentrarmi, lasciavo scivolare il mio sguardo al di là del mobile, fino a quando superava anche il vetro della finestra. Fuori il paesaggio era sormontato da un cielo blu indaco, macchiato di azzurro e mille altre gradazioni fredde. Sembrava proprio un muro di cristalli marini.

-Cassandra, devo passare al cimitero a portare i fiori ad alcuni parenti... - La voce della mamma mi distolse dai miei pensieri. -Fa già buio: insomma, ho paura ad andare da sola. Vieni con me?

Ero accasciata sul tavolo, con la testa appesantita da inutili calcoli, ma balzai dritta di scatto. - Fantastico! Sì, mi vesto e partiamo!

Mi alzai in piedi, corsi in camera, scelsi dei vestiti a caso e mi infilai la giacca. In un istante raggiunsi la porta, ma dovetti rimanere ad aspettare la mamma, come un cagnolino che voleva essere portato a passeggio. - Sono pronta. Andiamo?

-No, un attimo... - urlò, vagando da una stanza all'altra prima in cerca degli occhiali, poi delle scarpe, infine delle chiavi.

Sbuffai e appoggiai una spalla alla porta. -Allora, ci sei?

-Devo trovare la.... - Andò in salone. -La borsetta... Ah, eccola! Perfetto, possiamo partire!

Tirai un sospiro di sollievo. In un battito di ciglia eravamo in viaggio. In aiuto iniziai a mangiarmi le unghie per mascherare il mio sorrisetto ma, appena riuscivo a reprimerlo, risorgeva come se niente fosse.

La mamma aggrottò la fronte e iniziò a studiarmi con la coda dell'occhio. Aveva i capelli neri, con qualche filo grigio, ma quando era sospettosa sembravano diventare all'improvviso più gonfi e più dritti, come un casco di antenne che captavano indizi e segnali. Purtroppo avvenne anche questa volta. - Stiamo andando al cimitero, lo sai, vero? Come mai sei così felice?

-Ehm... ero troppo stanca dei compiti di matematica. Esausta.

-Ah, sempre la solita sfaticata! - Sbuffò. -Preferisci venire con me in un luogo spaventoso, di sera, piuttosto che fare qualche esercizio.

Sciolse l'espressione scettica e scoppiò a ridere. "Per fortuna siamo arrivate, altrimenti sarei impazzita. Le domande della mamma sono assillanti!"

Scesi dall'auto: spifferi gelidi mi entravano nel giubbotto e mi disegnavano scie di brividi sulla pelle. Rivolsi subito uno sguardo al cielo: i miei occhi si riempirono del suo colore, così cristallino che mi ricordava l'acqua del mare, come se fosse un grande oceano rovesciato.

Mentre lo supplicavo di farmi scoprire qualcosa di più, spalancai il cancello: il cigolio rimbombò a lungo, come succede quando l'eco rimbalza nel vuoto e riproduce lo stesso suono decine di volte. Entrai. Mi sforzai di controllare il mio respiro e il mio battito, ma più ci provavo e più il loro ritmo mi sfuggiva di mano. Io li inseguivo e loro sfrecciavano via.

La mamma passeggiava in cerca di un rubinetto con cui innaffiare il suo mazzo di girasoli ma, tutte le volte che qualcosa attirava la sua attenzione, lei si avvicinava, abbassava gli occhiali e mormorava commenti sui fiori, sul fatto che bisognasse innaffiarli più spesso, sulle tombe che non erano proprio ben curate...

"Proprio lei che diceva di avere paura a venire in quel posto da sola..."

Eravamo circondate da archi di pietra che sostenevano i porticati: le colonne erano di marmo o rivestite di vernice chiara, spalmata su di loro come burro o un involucro di bende. Spiccavano nell'oscurità sotto forma di sagome biancastre e a tratti grigie, come mummie che facevano la guardia.

In centro si estendeva un praticello: era attraversato da un sentiero di ghiaia, e in mezzo all'erbetta umida s'innalzavano le croci, che al buio assomigliavano a figure inginocchiate, piegate dalla sofferenza.

Iniziai a camminare fra le tombe, sotto il portico, e a toccarmi la treccia in cerca di conforto. La mamma mi seguì. C'era un odore di terra bagnata che mi si appiccicava alla pelle e mi incollava addosso una sensazione di disgusto, molliccia, fastidiosa... Dalle cappelle, invece, usciva un tanfo soffocante.

A un tratto comparvero due soli gialli, che fluttuavano nelle tenebre. Più sotto vibravano due baffi grigi, piegati verso il basso. Il gatto si avvicinò abbastanza per permettermi di accarezzarlo. -Ciao, Keeper!

- Cassandra, con chi stai parlando?

-Con questo bel micetto.

La mamma adocchiò una fontanella bronzea, più scura nelle zone del rubinetto a contatto con l'acqua: in certi tratti pareva marcia, come se si stesse decomponendo lentamente, come se tutto il cimitero si stesse decomponendo lentamente, proprio come fanno i frutti quando iniziano a diventare marroni e poi ancora più scuri, più morbidi, e finiscono per squagliarsi del tutto. Si avvicinò. -Lo conosci? Come fai a sapere come si chiama?

-Un mio compagno di classe mi ha raccontato di lui.

Aprì il rubinetto e riempì d'acqua un vaso di plastica che aveva portato con sé. -Ah, vive qui vicino, vero?

Lo richiuse. Mi si seccò la gola.

-Il tuo compagno, intendo.

-Sì. - mormorai. -Più o meno...

Ci avviammo verso una cappella, un minuscolo casolare incastrato nel punto dove si incrociavano due file di porticati. Il fascio di luce della torcia del mio telefono ci faceva strada: illuminai la porta della costruzione, composta da decorazioni di ferro arrugginito.

Premetti la maniglia. All'interno i muri erano scrostati e la polvere rivestiva i mazzetti di fiori, stavolta fatti di plastica. Feci scorrere il mio sguardo tra le file di nomi e fotografie: alcune erano in bianco e nero, altre a colori. Mi soffermai troppo a lungo su quella di un bambino, di un amico, di un angelo, molto di più. La chioma scura incorniciava il visino terreo, come un mare pieno di onde abbracciato dal bagliore del sole, e i suoi occhi erano grandi, le iridi simili a specchi.

Una fitta mi attraversò il cuore e mi martellò sulle tempie. I miei muscoli si irrigidirono. Un peso insostenibile mi sprofondò nel petto. "Anch'io ho conosciuto qualcuno che ora sta qui... Quel qualcuno però, non so dove, esiste ancora. Diamond, sei vivo, vero?"

La mia pelle diventò appiccicosa di sudore e mi appoggiai al muro per calmare le vertigini, ma gli occhi della mamma vennero spezzati da un lampo. -Cassandra, stai bene?

-Avevi detto di voler portare i fiori ad alcuni parenti, non a lui.

-Lo so, ma pensavo che così avresti affrontato la sofferenza che ti porti dietro da quando sei una bambina... Anzi, credevo... che l'avessi già fatto.

Abbassò il viso per nascondere l'espressione colpevole. "Ogni giorno mi intreccio i capelli, li lavo con lo stesso balsamo, perché ero pettinata così l'ultima volta che l'ho incontrato! Continuo a coltivare gigli perché me li regalava lui! Questo si chiama affrontare la sofferenza?"

-Io? Quando?

-La scorsa settimana, quando sei uscita da scuola. Ero venuta a prenderti per farti una sorpresa, ma poi ho visto che hai imboccato la strada ed ero curiosa, così...

"Io avevo seguito Burald, e lei aveva seguito me?"

-Sei imperdonabile! - gridai. -Non ho affrontato un bel niente, anche perché non ho alcun problema a entrare in un cimitero. Però non voglio vedere la sua tomba! E poi, non è così che supererò il dolore.

Coprii il volto fradicio con entrambe le mani. Un mare di lacrime mi scivolò lungo le guance e la voce tremante mi si soffocò in gola. Strinsi forte la treccia: lo facevo ogni volta che sentivo la mancanza di Diamond, anche a scuola, anche se mi giudicavano strana per questo. La mamma posò il mazzo a terra e mi rivolse uno sguardo dispiaciuto. Uscimmo.

Ripercorremmo buona parte del cimitero e raggiungemmo la cappella che invece portava il cognome di mia madre. Appena entrai il mio sguardo scivolò sul marmo bianco del pavimento, ma lo spostai subito altrove e sbirciai fuori attraverso la fessura della porta. Una figura ancora più scura dell'oscurità si muoveva tra le tombe, come una macchia d'inchiostro sul cartoncino nero. Passò dietro a un pilastro, scomparve un attimo e poi riapparve, incorniciata da una corona di ricci: la sua chioma sembrava un frammento di luna, argentata ma sempre molto luminosa.

Uscii dalla cappella senza dare spiegazioni alla mamma. Mi diressi verso Burald, che stava percorrendo in fretta una fila di tombe che, davanti a noi, sembrava allungarsi ogni secondo di più.

Appena arrivò in fondo, mi accovacciai dietro a un pilastro. Il mio stomaco borbottava come una minestra che bolle. Ero davvero pronta ad affrontare una nuova scoperta? Ficcai le unghie nelle ciocche che componevano la mia treccia.

Burald tirò fuori una bara da un buco rettangolare nel muro. Era fatta di legno, di un colore così caldo... Non lasciava trapelare la sua vera freddezza. Era davvero, davvero ingannevole!

Il suo marrone era pieno di venature e, a tratti, tendeva all'arancio: stonava con i colori piatti del cimitero, con le cappelle ingrigite dalla semioscurità della sera, con le statue argentate e poi il nero, spalmato ovunque senza distinzioni. Il materiale del feretro ricordava il palchet di una baita di montagna: era fuori luogo in quel cimitero. Non si abbinava al verso della civetta e all'aria gelida. Una bellissima bugia. Peccato che la morte non fosse affatto confortevole.

Lui sollevò il coperchio e io chiusi gli occhi, d'istinto, per evitare di trovarmi davanti un cadavere livido e immobile. Qualcosa di pesante si dimenò nel mio petto. Tremai. Un conato di vomito mi piegò in due. Tentai di respirare. Appena l'aria entrò nel mio corpo, i miei muscoli si ammorbidirono.

Riaprii piano le palpebre ma, appena l'immagine dell'esterno mi arrivò al cervello, sgranai gli occhi di scatto: la cassa era vuota. Il mio cuore si alleggerì, ma poi si immobilizzò di nuovo: Burald si sedette nel feretro, si sdraiò e richiuse il coperchio sopra di sé.

Il battito mi pulsava in gola. Avevo il respiro affannato e la pelle, sudata, che avvampava e un secondo dopo si cospargeva di brividi.

-Cosa stai facendo? - gridai. -Sei impazzito?

Mi precipitai verso la cassa, con le dita tremanti protese nella sua direzione. La nausea mi attorcigliava lo stomaco.

"Non può rimanerci dentro a lungo, soffocherà! È ancora vivo, perché vuole fingersi morto?! Forse sta cercando di suicidarsi..."

-Burald, esci, subito. - Ansimai. - Non accetterò un'altra morte!

Attesi due secondi, ma lui non reagì, non rispose alle mie urla. Le mie gambe iniziarono a scalpitare, i piedi a muoversi avanti e indietro sopra al marmo del pavimento, le braccia a oscillare nervose lungo i fianchi. Avevo una brutta sensazione, che mi muoveva come un burattino. Mi bruciava dentro come lo stoppino di una candela.

Smisi di mordicchiarmi le unghie, perché ormai erano contornate di sangue. Andai lì, spalancai il feretro con un brusco scatto, guardai l'interno e... Rimasi pietrificata.

"Non può essere!"

Quella scatola era vuota. Vuota. Quel feretro era vuoto.

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