99 TᕼIᑎGᔕ I - ᖇITOᖇᑎO ᗩᒪᒪE Oᖇ...

By Bkhatrine

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99 Things I è una storia di nuovi inizi, di un ricominciare e di un ripetersi di vite nella speranza di poter... More

ᑭᖇOᒪOGO |ᒪ'IᑎIᘔIO ᗪEᒪᒪᗩ ᖴIᑎE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 1 |ᘔOᑎᗩ ᑕOᗰᖴOᖇT|
ᑕᗩᑭITOᒪO 2 |Iᒪ ᑕᑌᗷO|
ᑕᗩᑭITOᒪO 3 |ᖴIᑎE ᘔOᑎᗩ ᑕOᗰᖴOᖇT|
ᑕᗩᑭITOᒪO 4 |ᒪᗩ ᔕᑕEᒪTᗩ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 5 |ᒪᗩ ᖴOᒪᒪᗩ E Iᒪ ᑕᗩOᔕ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 6 |ᑎᑌOᐯI ᑭEᖇᑕOᖇᔕI IᑎEᔕᑭᒪOᖇᗩTI|
ᑕᗩᑭITOᒪO 7 |Iᒪ ᖇEGᗩᒪO|
ᑕᗩᑭITOᒪO 8 |ᒪE ᗷᗩᗰᗷOᒪE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 9 |ᑭ.O.ᕼ.ᑌ.I|
ᑕᗩᑭITOᒪO 10 |TᕼE ᗰᗩᗪᔕ&ᗰᗩᑎK|
ᑕᗩᑭITOᒪO 11 |ᗰOᖇᗩᒪE ᗪEᒪᒪᗩ ᖴᗩᐯOᒪᗩ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 12 |ᒪᗩ ᐯOᒪᑭE O Iᒪ ᒪEOᑎE?|
ᑕᗩᑭITOᒪO 13 |ᑎ• 88|
ᑕᗩᑭITOᒪO 14 |ᑎOᑎ è ᔕᑌᑕᑕO!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 15 |Iᒪ ᔕEᑎᔕO ᗪEI ᖴIOᖇI|
ᑕᗩᑭITOᒪO 16 |ᒪEI è ∞|
ᑕᗩᑭITOᒪO 17 |ᔕTEᖴᗩᑎ - IO TI ᐯEᗪO!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 18 |ᔕTEᖴᗩᑎ - ᑎ° 3036|
ᑕᗩᑭITOᒪO 19 |TᑌTTO ᑕOᗰE ᑭᖇIᗰᗩ...|
ᑕᗩᑭITOᒪO 20 |ᒪE ᑕOᒪOᗰᗷE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 21 |ᑌᑎ ᑭEᘔᘔO ᗪI ᗰE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 22 |ᖇEᗩᘔIOᑎE ᗩ ᑕᗩTEᑎᗩ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 23 |ᑭEᖇᑕᕼé ᑎOᑎ ᑕOᑎ ᗰE?|
ᑕᗩᑭITOᒪO 24 |ᗰE ᑎE ᐯᗩᗪO?|
ᑕᗩᑭITOᒪO 25 |ᔕTᗩᑎᗪ-ᗷY|
ᑕᗩᑭITOᒪO 26 |ᒪE ᑕOIᑎᑫᑌIᒪIᑎE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 27 |Iᒪ ᒪᗩᗪᖇO ᗪI ᑌOᐯᗩ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 28 |Iᒪ ᔕIGᑎIᖴIᑕᗩTO ᗪEᒪᒪE ᔕTEᒪᒪE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 29 |ᔕTEᖴᗩᑎ - ᑕᕼI ᔕᗩᖇò ᒪO ᗪEᑕIᗪO IO!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 30 |ᔕTEᖴᗩᑎ - ᒪE OᖇIGIᑎI|
ᑕᗩᑭITOᒪO 31 |ᔕTEᖴᗩᑎ - Iᒪ ᑭEᘔᘔO ᗰᗩᑎᑕᗩᑎTE ᗪI TE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 32 |ᔕTEᖴᗩᑎ - ᔕEᑎᔕᗩᘔIOᑎI ᑎᑌOᐯE, ᗰᗩ ᑎOᑎ TᖇOᑭᑭO.|
ᑕᗩᑭITOᒪO 33 |EᔕIᔕTE! Iᒪ ᗪEᔕTIᑎO IᑎTEᑎᗪO.|
ᑕᗩᑭITOᒪO 34 |TᑌTTO ᑎᑌOᐯO ᑭEᖇ ᗰE!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 35 |ᒪ'EᐯOᒪᑌᘔIOᑎE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 36 |ᒪEI ᖇEᔕTᗩ, E ᑭᑌᖇE ᒪᑌI!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 37 |ᒪᗩ ᖴᗩᗰIGᒪIᗩ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 38 |ᔕTEᖴᗩᑎ - È ᗩ ᑕᗩᔕᗩ!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 39 |ᑎOᑎ ᒪᗩᔕᑕIᗩᖇE ᒪᗩ ᗰIᗩ ᗰᗩᑎO|
ᑕᗩᑭITOᒪO 40 |ᑎ°3000|
ᑕᗩᑭITOᒪO 41 |ᒪ'EᖴᖴETTO ᗪEᒪᒪ'ᗩᗰOᖇE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 42 |ᒪᑌI è ᗩᒪ ᔕIᑕᑌᖇO!|
ᑕᗩᑭITOᒪO 43 |ᗰEᘔᘔᗩᑎOTTE E TᖇE ᗰIᑎᑌTI|
ᑕᗩᑭITOᒪO 46 |ᒪ'ᗩᑭᑭᗩᖇTᗩᗰEᑎTO ᗩᒪ 3• ᑭIᗩᑎO|
ᑕᗩᑭITOᒪO 47 |Iᒪ ᖇITOᖇᑎO ᗪI EᗰIᒪIᗩ|
ᑕᗩᑭITOᒪO 48 |Iᒪ ᗷᗩᑕIO ᔕᑌᒪᒪᗩ ᖴᖇOᑎTE|
ᑕᗩᑭITOᒪO 49 |ᑕI ᖇIᐯEᗪᖇEᗰO ᗩᑎᑕOᖇᗩ...|
ᑕᗩᑭITOᒪO 50 |I ᑎOᑎᑎI ᑭᗩTEᖇᑎI|
ᑕᗩᑭITOᒪO 51 |ᗩᗪᗪIO OᖇIGIᑎI|
EᑭIᒪOGO
ᖇIᑎGᖇᗩᘔIᗩᗰEᑎTI
[TᖇᗩIᒪEᖇ E ᑎEᗯᔕ]
|ᗷOᒪᒪIᑎI|

ᑕᗩᑭITOᒪO 45 |ᔕTEᖴᗩᑎ - ᒪᗩ ᐯIᑕIᑎᗩ|

37 11 16
By Bkhatrine

Era arrivata la primavera e il cielo indeciso alternava tonalità di arancione e blu. Stefan aveva preso coraggio e dopo l'ennesima chiamata alla Sylass senza nessuna risposta, era scattato in piedi indirizzandosi verso il garage sotterraneo. L'appartamento, insieme a tutto l'edificio, gli ricordava il loro primo nido in Svizzera, quello dove Khat aveva dato i primi segni di depressione.

Avrebbe dovuto combattere, ma non da sola. Si pentiva di non esserle stato accanto, pensando che era una fase o forse una scusa la sua: era bisognosa di attenzioni, da tipica leonessa che era.

Lui invece, essendo un sagittario, non era il tipo di persona che si perdeva in romanticismo e altre smancerie. Era adulto e responsabile.

Ma ora continuava a ripensare a quel periodo dove tutto era iniziato. La loro storia era così bella all'inizio. Il primo anno sono stati sempre appiccicati, mai una sera senza di lei e persino nel suo viaggio in Australia, non riusciva a dormire se non riceveva il messaggio della buona notte.

Ma allora cosa è successo dopo?  Si chiedeva come mai appena arrivati in Svizzera era cambiata ogni cosa.

Mentre metteva in moto la sua vecchia BMW blu scuro, cercava di scacciare quel ricordo così doloroso ora che ci pensava.

*
Erano le dieci e venti di sera e stavo tornando dal secondo turno dalla cementeria. Ero agli inizi, anche se in Italia avevo lavorato per la stessa, ma qui era diverso. In Italia il lavoro non veniva preso così sul serio come in Svizzera. Lì potevamo mangiare quando volevamo e persino bere una birra ogni tanto, ma qui no. Sono severi su tutto e forse era meglio così.  Ci si doveva solo abituare, pensavo mentre salivo le scale.

Una volta aperta la porta del piccolo appartamento che aveva una sola stanza, avevo intenzione di buttare lo zaino concio nell'angolo dietro la porta, come facevo di solito.

Ma quando avevo aperto del tutto, avevo notato per terra una scia di petali di rose con delle candele sui lati che illuminavano il pavimento. Ero scioccato ma allo stesso tempo infastidito per la sorpresa, e non ero per nulla in vena di festeggiamenti.

«Bentornato a casa amore mio!» Esclama lei uscendo dalla cucina dietro il muro sulla sinistra. C'è il profumo di bagnoschiuma nell'aria e ho capito subito le sue intenzioni.

«Ma che combini amore?» Chiedo infastidito. La delusione sul suo viso si è materializzata ancor prima che finissi la domanda.

«Oggi è san Valentino!» Dice lei ora davanti a me con una bottiglia di prosecco in una mano e una torta alla panna nell'altra. I fiori che non le ho comprato ora fungono da centrotavola, dove ci sono due piattini da dessert e due forchette insieme a due calici. Sbuffo, non sapendo dove mettere lo zaino e lei si affretta a lasciare il contenuto delle sue mani per raggiungermi e prenderlo.

«Ci penso io! Tu siediti.» Mi ordina di nuovo sorridente, ma non è il sorriso di prima.

«Inizia ad aprire la bottiglia, io arrivo subito» Mi urla lei dalla camera da letto. Era proprio davanti al tavolo e potevo intravederla mentre si cambiava. Aveva tolto i jeans e la canottiera verde insieme all'intimo e ora stava mettendo dei collant neri con il reggicalze e un perizoma nero. Il reggiseno le faceva fuoriuscire un po' il seno, lasciando intravedere i capezzoli scuri. Era davvero bellissima. Il corsetto le faceva risaltare le forme e i lacci intrecciati ricadevano sul sedere sodo.

Era già un po' brilla, aveva bevuto prima ed era evidente dai suoi occhi lucidi. O forse aveva pianto? Era indeciso su una delle due cose. Decise che era la prima.

«Amore, vuoi muoverti che sono stanco! Vorrei andare a dormire, sinceramente.» Le confesso prima che esca dalla stanza. «Eccomi! Ti piace?» Mi chiede sensuale. Lei era fatta così, ma per qualche ragione mi infastidiva. «È lo stesso di sempre!» Le faccio notare. «Lo so ma è comunque bellissimo, e poi mica mi metto queste cose tutti i santi giorni!» Mi corregge lei ora che è davanti a me con la fronte corrugata.

Riempio i calici senza voglia di brindare, senza voglia di proseguire questa messa in scena che fa piacere solo a lei, ma resisto.

«Ho un'altra sorpresa per te.» Dice mentre mangiamo la torta troppo dolce. Sapeva che non amavo mangiarle, ma insisteva per comprarle alle feste dicendo che era una tradizione. «Fammi indovinare. Ora mi dirai che hai preparato la vasca da bagno con acqua calda e abbondante schiuma e vuoi che andiamo a rilassarci lì con i calici in mano?» Il suo sguardo diventa cupo e capisco di averla ferita. «Al posto di perdere tempo con queste cose, potevi cercare un lavoro per esempio.» Ero consapevole di ferirla, ma continuavo perché avevo bisogno di sfogarmi.

«Amore, ma che dici?» Chiede piangendo. Mi alzo sbuffando e non mi accorgo di aver rovesciato un paio di quelle candeline a terra. La cera finisce sul pavimento bianco e lei si affretta ad inginocchiarsi davanti a me per grattarla con le unghie.

«Forza alzati, non fare così ora!» La tiro letteralmente su di peso, consapevole che domani avrebbe avuto un livido sul braccio. Era così debole fisicamente e mentalmente.«Non mi toccare!» Esclama alzando la voce, aveva imparato da me. Lei non urlava mai, nessuno nella sua famiglia lo faceva.

«Ma guardati, sei talmente ubriaca che a malapena ti reggi sui tacchi. E togliteli per favore, che disturbi i vicini.» Era la prima volta che la provocavo così tanto, ma la verità era che non riuscivo a sopportare che ci avesse pensato lei al romanticismo. Spettava a me fare cose del genere. Sembrava ridicolo fatto da una donna.

Nel momento in cui si è allontanata da me, mi sono messo le mani sulla testa pelata è sempre sbuffando sono andato sul balcone a fumare. Non l'ho vista prendere un coltello dalla cucina e nemmeno la bottiglia sul tavolo. Ho sentito solo il rumore della porta del bagno sbattere e la musica sul cellulare alzarsi sempre di più. Era quella musica deprimente che ascoltava ultimamente, in tinta con i suoi sentimenti.

Finita la sigaretta ne ho fumata un'altra e poi un'altra ancora; dopo quindici minuti buoni sono rientrato e ho spento tutte le candele a terra, ma non mi sono disturbato a raccoglierle. Ho bussato un paio di volte alla porta senza ricevere risposta e poi sono andato a letto.

*
Ritorno alla realtà quando un clacson mi disturba la guida. Ero allo stop e avevo creato abbastanza traffico dietro di me. Mi scuso veloce con la mano fuori dal finestrino e mi affretto a girare a destra per imboccare la strada per la Mads&Mank. Mentre guido, concentrato stavolta, mi rendo conto di cosa ho fatto. Avrei dovuto chiederle di sposarmi quella sera, sarei dovuto andare con lei nella vasca e rilassarmi con un massaggio sulle spalle, avrei dovuto ricordarmi di quella banale festa, passare a prendere i fiori e non farli comprare a lei.

Ma lei sapeva chi ero, sapeva che non ero un tipo romantico e che non amavo certe cose. Sapeva che non le avrei regalato fiori e se li comprava da sola. Il lavoro lo aveva trovato il giorno dopo e ricordo ancora che non mi aveva parlato di nulla, avevamo vissuto per settimane come due estranei.

Perché non se ne era andata? Avrebbe dovuto farlo, io non meritavo di essere amato in quel modo. Lei era molto passionale, troppo persino per me.

Quando ho parcheggiato all'entrata del palazzo a specchi, la luce del sole gli dava un'area così morbida che non avresti mai pensato cosa succedesse all'ultimo piano. Appena mi vede arrivare, la guardia mi viene incontro frettolosamente. Io non ho più un cartellino da mostrare e nemmeno un messaggio dalla Sylass.

«Signore, non può stare qui.» Mi avvisa lui bloccandomi con il braccio teso. Cerco di spingerlo e ci riesco, ma non cade a terra.

«Signore, la avviso che non le conviene reagire in questo modo.» Aggiunge. «Spostati, mia moglie è li dentro e devo parlare con Amanda.» Dico alzando la voce che rimbomba nell'ampio spazio illuminato.

Era così confortevole il piano terra che poteva liberamente essere scambiato per un hotel a cinque stelle, ma non lo era affatto.  Le poche persone in lontananza si girano a squadrarmi come fossi un animale con la bava alla bocca.

«Aspetti qui, va bene? Non si muova o dovrò scortarla fuori!» Mi raccomanda il ragazzo in divisa, notando la mia determinazione. Era un ragazzino in realtà e non aveva nemmeno un accenno di barba. Portava una divisa simile a quella dei poliziotti, ma con delle strisce fluorescenti sulle braccia e intorno alla vita. Alla caviglia portava un'arma che non aveva l'aria di essere un giocattolo. Rimango nella stessa posizione, poco lontano dall'altra guardia che mi scruta senza battere ciglio.

« Allora? Che hai da guardare gorilla?» Lo provoco, ma lui non si scompone, non muove nemmeno la bocca. Dubito per un momento che sia umano e mi giro attorno per osservare meglio l'interno di questa struttura.

Le finestre, che dall'esterno sembravano specchi, erano delle banali finestre trasparenti e rendevano l'ambiente ancora più grande, per quanto possibile. Nell'aria non c'era nessun odore, né di pulito né di sporco. L'ambiente era semplicemente inodore. Forse ero io che non sentivo nulla. Khat avrebbe saputo descrivere qualsiasi odore o sapore.

L'altra guardia arriva poco dopo e mi raggiunge con passo svelto. Mi avvicino anche io a mia volta e attendo che tiri fuori un pass per me, ma non lo fa.

«Mi dispiace, la dottoressa Sylass non è qui al momento!» Dice secco e mi indica l'uscita.

«Stai scherzando? Sono mesi che cerco di mettermi in contatto con lei e parte sempre la segreteria. C'è sotto qualcosa!» Affermo disgustato. «So bene che Amanda non è una tipa che va in ferie.»

«Mi dispiace signor Gradi, ora devo invitarla ad uscire.» Ripete il giovane senza emozioni.

«Ah, ora sai come mi chiamo?» Quando la guardia mi accompagna all'uscita insieme al gorilla, noto una telecamera della sorveglianza seguire i miei spostamenti dall'angolo destro della hall.

«Non finisce qui, Amanda!» Urlo alla telecamera e mi lascio trasportare di peso sulle scale fino alla macchina.

«Le auguro buona giornata!» Ha il coraggio di dire il gorilla.«Ah, allora sai parlare!» Muovo la testa da un lato all'altro in segno di sdegno e mi siedo al posto di guida per mettere in moto. Una volta fatto retromarcia e girato la macchina, noto nello specchietto retrovisore una sagoma all'ultimo piano che si allontana dalla finestra.

No, non finisce decisamente così Amanda! Penso tra me e me prima di sgommare, lasciando una scia nera sull'asfalto. Sono tentato di tornare a casa oppure andare a trovare i miei colleghi al lavoro, ma la macchina mi porta in una sola direzione: alla nostra vecchia villetta.

Arrivato davanti, parcheggio sul lato della strada e mi appoggio con le mani al cancello in ferro battuto a curiosare. Non è ancora stata comprata da nessuno e l'erba sarebbe da tagliare, si vede che è rimasta così come l'ho lasciata io l'ultima volta. Persino la piscina è rimasta per metà scoperta dal telo.

Lascio con rammarico quella vista da sogno che una volta mi apparteneva e mi dirigo a passo svelto verso la casa accanto. Non era altrettanto grande e non aveva né una piscina né un giardino grande, ma nel suo piccolo aveva un non so che di affascinante. Busso tre volte, dopo aver aperto il cancello e attraversato il tratto di ghiaia.

Il silenzio all'interno mi fa dubitare che ci sia qualcuno e mi faccio coraggio a sbirciare dalla finestra laterale alla porta marrone.

«Ciao Stefan. Che ci fai qui?» Voleva aggiungere "ancora", ma si è trattenuta. La persona che ho davanti la conosco come le mie tasche, o almeno così credo, dato il suo legame con Khatrine.

«Ciao Marina, dobbiamo parlare.» Lei mi attira all'interno tenendomi per il braccio e come l'ultima volta che ero stato qui, si guarda attorno prima di chiudere la porta alle nostre spalle.

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