La primavera ci ha fatto una breve visita e l'estate ha preso impaziente il suo posto. Inutile dire, da perfetta leonessa evoluta, che l'estate è definitivamente la mia stagione preferita.
L'anno scolastico era volato e per fortuna senza altri intoppi o complicazioni; tranne qualche dispetto e il nomignolo "secchiona" che nell'altra vita avrebbe fatto ridere chiunque, associandolo a me. Era decisamente cambiato qualcosa, o forse era solo l'aria frizzante dell'estate che mi dava alla testa? Sapevo esattamente come avrei passato l'estate, ma avevo ancora un po' di tempo per salutare Telenesti.
Qualche mese prima, mamma aveva dato in affitto il monolocale ad una madre single, scappata lontano dall'ex con la piccola Lia, sua figlia. Mamma aveva stretto amicizia con Mia, e aveva piena fiducia che avrebbe avuto rispetto della sua proprietà.
Io avevo deciso di fare un giro in bici e salutare la mia scuola, i posti a me cari e persino le memorie dell'altra me. Ho percorso a tutta velocità la stradina dietro il nostro blocco di appartamenti, deviando all'incrocio tra il mercato e il centro di Telenesti.
Arrivata in cima alla strada, mi sono fermata nel parco davanti alla scuola. Era sempre ben curato, ma era grazie agli studenti che svolgevano questa mansione ogni mese, a turno. Persino alla mia classe era toccato una volta, durante la mia breve permanenza, di spalare le foglie, ripulire le panchine da cicche e bottiglie vuote.
Dipingere di bianco i tronchi degli alberi era la mia mansione preferita. Era un'usanza nel nostro paese, dipingere e rendere tutto più bello. Adoravo quell'odore di vernice e quella spazzola enorme fra le mie deboli mani.
Ero stata bene in questa piccola città dopotutto. Unendo i ricordi dell'altra vita insieme a quelli di questa, potrei dire che non mi è dispiaciuta tutto sommato.
Attraversato il piccolo parco, ho fatto la discesa per tornare verso casa, lasciandomi accarezzare dal vento in pieno viso. Ero indecisa se andare alla vecchia scuola abbandonata. Avevo timore di incontrare Natalia, Diana e Marcello con i suoi amici. Potevo cominciare dal vecchio asilo.
Il cancello era lì per fare scena perché chiunque poteva entrare ed uscire senza essere notato. Un edificio lungo - su due piani, si presentò alla mia vista. Lì ci eravamo rifugiati nelle giornate piovose, improvvisando concerti e recite di gruppo. Lì avevo dato il mio primo bacio a stampo, sotto il tetto dell'asilo nido. Era Marcello, ed ero cotta di lui, nell'altra vita. Avevo un'altro approccio con la sessualità perché ignoravo da una parte le ricadute di mia madre, mentre dentro di me si creava una inconsapevole realtà; l'infatuazione. Già da bambina se avevo un'amica, mi accollavo a lei finché la sfinivo, ma se succedeva il contrario, rifiutavo chiunque dopo essermi stufata, quindi era un gioco pericoloso. Ma in questa vita avevo una me diversa dentro la testa; era determinata e vigile, un tratto che nell'altra me avevo declinato senza garbo.
Lì, su quell'altalena scricchiolante, avevo realizzato cosa fosse il pensiero e per la prima volta avevo parlato con la mia voce interiore. Continuavo a rivivere più momenti dell'altra me che di questa, mentre attraversavo lenta i viali di quell'edificio.
In fondo al recinto qualcuno aveva tagliato la rete per poter andare dall'altra parte nel campo verde, che si estendeva per almeno tre chilometri prima di arrivare alla scuola abbandonata. Avevo deciso di non andare fino in fondo. Sapevo bene che tutti i ragazzi della zona si riunivano lì.
Anche io facevo parte del gruppo, ma non in questa realtà. Nell'altra sarei stata con loro, avrei saltato da una scala all'altra mantenendo l'equilibrio. Avrei corso le rampe fino al quinto piano e lì, sul tetto di un edificio abbandonato, mi sarei guardata intorno e avrei realizzato di essere proprio minuscola in confronto al mondo intero. Sono una piccola formica che ha deciso di stare in disparte stavolta.
Lascio cadere la bici a terra e mi dirigo verso l'altalena. Mi dondolo a malavoglia pensando che cosa mi riserverà il futuro, ma soprattutto mi domando se mi meritassi un'altra chance come questa.
«Ma guarda un po' chi si rivede.» Esclama Natalia, alta più del dovuto, mora come me, ma con i capelli molto lunghi. In confronto sembravo un grissino smangiucchiato.
«Non sei ancora partita vedo!» Diana, una volta gentile e affettuosa con chiunque, ora è la fotocopia di Natalia. Sbuffo nel vederle comparire davanti a me. Guardo in direzione del mio blocco alla mia destra, sperando che scompaiano entrambe.
Non succede però. «Che c'è Khatrine, il gatto ti ha mangiato la lingua?» Natalia mi stuzzica, ma resisto. Sfido Diana con lo sguardo ad unirsi agli insulti.
«Lasciamola perdere dai, è solo una sfigata!» Riesco nell'intento e vedo Diana che gira le spalle per andarsene.
Natalia non è d'accordo. Decide che mi merito una lezione per ricordarmi di stare sempre al mio posto.
Nemmeno tutte le lezioni di autodifesa mi hanno preparato ad un colpo del genere. Non realizzo che mi strattona all'indietro dall'altalena, trascinandomi sull'erba. Cado per terra in una posizione innaturale sulla schiena, i vestiti sporchi di terriccio, la testa che gira. I piedi di qualcuno mi colpiscono forte sulla pancia. Colpo dopo colpo, dopo colpo, ma resisto. Vedo nero e verde, un verde scuro attorno a me, come se la notte fosse venuta a prendermi di colpo.
Non ho la forza di reagire, di lottare. Solo lacrime intorno a me. Risate sempre più acute mi perforano i timpani. Frasi incomprensibili mi arrivano crudeli alle orecchie. Vorrei, ma non riesco ad urlare. Vorrei dire basta, ma sento che mi merito tutto.
Le braccia di Diana circondano Natalia e si ferma tutto. Il mondo si ferma e io mi addormento. Mi sveglio nel buio. La bici non c'è più, ma per fortuna la casa è all'angolo.
Alzandomi da terra sento i crampi nella pancia, ma mi convinco sia la fame. Corro verso casa guardandomi intorno, inciampo, cado, mi rialzo e asciugo le lacrime che non ho versato perché sono forte.
Le rampe di scale fino al quarto piano mi sembrano non finire mai. La casa è nel buio totale. Dormono tutti. Nessuno si è chiesto dove fossi.
Mi butto sotto la doccia e non guardo il mio corpo. Non guardo né i lividi né le ginocchia sbucciate. Non lecco via le lacrime salate dal mio viso. Non guardo le mie mani che tremano e non sento la voce che urla ribelle nella mia testa.
*
Luglio è arrivato come un uragano. Era lì per ricordarmi della mia crescita. La mamma ha impacchettato le cose più importanti e ha lasciato le altre al loro posto, come se dovessimo star via qualche giorno. Ha svuotato il frigo e la dispensa, regalando tutto alla vicina.
Due valigie consumate attendevano all'entrata impazienti. Mai quanto me però di lasciarmi questo capitolo alle spalle. Mihai aveva fatto la sua scelta.
Meno di una settimana fa era andato a vivere con la ragazza che gli aveva presentato la mamma. Emmy era stata trasferita dalla zia Liudmilla a Singerei, dove sarebbe rimasta per sempre.
Ed eccomi qua, insieme a mia madre davanti a un altro cambiamento, del tutto naturale nella nostra vita. In fondo, era solo la quinta casa dove stavo andando a vivere temporaneamente.
Considerando che alla nascita ho vissuto in quella dei nonni materni, poi in quella dei nonni paterni a trenta chilometri di distanza dalla prima. Poi è stato il turno del monolocale e del trilocale.
E ora mi attendeva la casa di una zia, in cui sarei stata fortunatamente a mio agio con i miei cugini. Forse questa è la parte che preferisco del mio cammino. Ero stata felice in quella casa, nonostante le cose brutte che avevo appreso.
La mamma chiuse a chiave l'appartamento e si fermò un momento davanti a fissare la porta. Guardai i miei piedi in silenzio, aspettando che lei dicesse addio ad una parte della sua vita.
«Tranquilla Khatrine, vedrai che un giorno torneremo qui e faremo un Natale o un Capodanno tutti insieme.» Disse lei. Sembrava volesse convincere più se stessa di me.
Il tassista mise nel bagagliaio le due valigie che poco fa io e mia madre avevamo trascinato giù a fatica per quattro angusti piani. Fece sedere mia madre davanti e me dietro. Avevo le cuffie nelle orecchie e la cassetta consumata ripeté all'infinito quelle melodie senza voce.
Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla musica per la mezz'ora successiva fino all'arrivo a Singerei. La città dove sono nata io, dove è nata mia madre, mia nonna, bisnonna, trisnonna e così via. I Tabarcea erano una famiglia allargata a Singerei.
Così numerosa che, prima di sposare uno di loro, era bene andare all'anagrafe e controllare che non fosse un lontano cugino. Ironia della sorte, gli incidenti capitavano.
Nelu infatti era considerato uno di quelli. Daria, la madre, aveva sposato un cugino lontanissimo. Fatto sta che la mamma di quel tizio era la sorella della mia nonna materna.
Non chiedetemi la parentela dei due sposi e come hanno fatto a scoprirla perché non ho indagato a fondo, ma pare che il marito di zia Nina, la madre dello sposo, aveva sposato un parente lontano da parte di mio nonno paterno e di conseguenza i due sarebbero stati parenti seppur di lontanissimo grado. Loro due si ritenevano innamorati.
Hanno presto imparato però che l'amore non vince sempre su tutto. Ci vuole dedizione e una buona dose di impegno per far funzionare bene le cose. Soprattutto dalle mie parti.
Non molto dopo la nascita di Nelu, i due si separarono per incomprensioni tra famiglie e a causa del lento raffreddamento della loro passione. Solo al pensiero di ciò che aveva passato Nelu nell'altra vita per colpa di quei due mi veniva da vomitare. E di solito odio vomitare, ma lo farei volentieri se dovessi rivivere tutto un'altra volta.
Mi sveglio quando la musica si interrompe nelle mie cuffie. Apro gli occhi e noto con sorpresa che siamo quasi arrivati. Ho dormito con il viso appiccicato al finestrino e sono sicura di avere la guancia destra arrossata.
Sono seduta dietro mia madre e ammiro la strada principale di Singerei. Una linea lunga almeno cinque chilometri divide la città in due parti. La parte alta è dove siamo diretti. Gli alberi sono folti e ricchi di fogliame verde.
Il loro fruscio mi calma la mente. Ho voglia di aprire il finestrino e tirare fuori la testa, ma so che metterei in imbarazzo mia madre. Sono delusa da molte cose da quando sono tornata.
Per esempio, di non aver potuto aiutare Giulia e Mihai. Consapevole che così non avrei salvato nemmeno Emmy. So bene che nonostante il cammino che l'attende, alla fine emergerà e sarà la donna forte che era destinata a diventare.
Chi sono io per decidere per gli altri? Se si tratta di vita o di morte, vorrei almeno provarci.
Il piccolo cancello verde si apre appena il taxi si ferma bruscamente davanti. Nelu e Alina corrono a curiosare sui vetri posteriori oscurati, dove ci sono io.
Mi prendo ancora un momento prima di scendere e salutarli. Alina l'avevo conosciuta poco nell'altra vita, solo durante le estati che passavamo insieme da piccole.
Invece, non saprei come reagire alla vista di Nelu, visto che l'ultima volta che l'avevo visto era dentro una bara.
∞ NOTA AUTORE ∞
Hey Watty's
Benvenuti nel mio caos ben studiato. Dico così perché è facile leggere un libro dove le conclusioni sono palesemente prevedibili. Ma insomma, non vi siete stancanti di cercare qualcosa che vi faccia assaporare nuove sensazioni? È una di quelle storie all'apparenza caotiche ma che poi pian piano si svela ogni tassello.
Molti personaggi sono ispirati a persone conosciute nella realtà perciò sono curiosa di leggervi nei commenti.
See you later Alligator.
B.K