Capitolo 2

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Sydney era davvero una città enorme e, essendo imbottigliati nel traffico da quelle che sembravano ore, aveva ormai perso la cognizione del tempo. Il tassista suonò il clacson per l'ennesima volta, prima di sbuffare e appoggiarsi sconfitto al sedile. Abbassò il volume dello stereo e il finestrino, «Avete freddo? - chiese, ma entrambi scossero la testa, in negazione, - Sembrate in arrivo dal Polo Nord.» scherzò e Dan accennò una risata.

«Sapevamo che qui in Australia non avremmo trovato il clima londinese, ma non ci aspettavamo di certo che potesse fare così caldo a Febbraio.» commentò e l'autista si sistemò meglio sul sedile, forse contento di poter conversare e non pensare all'interminabile traffico.

L'uomo sorrise, «Come mai siete qui?»

Anche se aveva intenzione di lasciare che i due parlassero e infilarsi le cuffie nelle orecchie, Jackie decise di ascoltare con attenzione le parole di suo padre, considerando che le sarebbe potuto tornare utile sapere cosa rispondere a quella domanda.

Dan aprì lievemente le labbra e, per qualche istante, non emise alcun suono, come se stesse riflettendo sulla spiegazione da dare. Quando il tempo passato dalla domanda del tassista iniziò a diventare sospetto, la suoneria di un cellulare squillò, invadendo il silenzio creatosi nell'abitacolo della macchina. La ragazza infilò istintivamente la mano in tasca con il cuore in gola, per poi non sfiorare altro che i suoi documenti (veri e falsi) e ricordarsi di non avere più un cellulare da almeno tre settimane.

«Grace, - Dan pronunciò con estrema dolcezza il nome della mamma di Jackie e lei si sentì di nuovo in colpa per la divisione della famiglia, - sì, siamo già arrivati.» rispose, prima di puntare lo sguardo fuori dal finestrino.

La lunga fila di macchine procedette e l'autista premette leggermente sull'acceleratore, avanzando di qualche metro.

«Sydney è una città affascinante, per ora posso lamentarmi solo del traffico.» rise e anche l'autista si lasciò sfuggire un sorrisetto.

I suoi genitori continuarono a parlare del più e del meno per qualche minuto e Jackie non riuscì a fare a meno di notare quanto fosse perfetto il tempismo di sua mamma: con la sua chiamata aveva donato cinque minuti abbondanti a Dan per riflettere sulla risposta da dare, anche se gli aveva completamente negato ogni opportunità di accennare a un divorzio.

«Ti passo... Daisy, - l'uomo pronunciò il nome, attribuito alla figlia, con non poca titubanza, per poi rivolgerle un'occhiata dallo specchietto retrovisore, - ci sentiamo quando arriviamo nella nuova casa, tesoro.» le mandò un bacio, per poi passare il cellulare a Jackie e sorriderle.

Strinse fra le dita quello che per lei era ormai diventato un oggetto da temere e lo portò con cautela all'orecchio, sforzandosi di sembrare normale a tutti i costi. Di certo il tassista si sarebbe chiesto quale problema potessero mai avere i due, visto il loro comportamento. Avrebbe potuto prendere in considerazione qualsiasi cosa, o magari pensare solo che i londinesi fossero strani di natura.

«Mamma, - rispose in un sussurro, - come stai?»

«Jackie, amore mio, mi manchi tantissimo! Tu, piuttosto, stai bene?» parlò velocemente, lasciando trasparire tutta la sua agitazione.

I due, davanti a Jacqueline, ripresero a parlare e lei si ripromise di chiedere più tardi a suo padre cosa si fosse inventato per spiegare il loro trasferimento.

«Sono solo un po' stanca per il volo. - mentì, evitando di caricare Grace del peso dei suoi sentimenti per niente positivi, - Lizzie?» chiese, impaziente di parlarle di nuovo.

La donna disse che le avrebbe passato subito la sorella e Jackie aspettò solo qualche secondo prima di sentire la voce dolce e debole di Elizabeth.

«Ciao, Jackie.» si sentì inspiegabilmente rincuorata e tese lievemente le labbra in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso.

«Lizzie, piccola, come stai?» chiese, bisognosa di sapere che sua sorella fosse tranquilla e, soprattutto, all'oscuro del motivo del loro trasferimento. Aveva fatto molte domande prima della loro partenza ma, ovviamente, Jackie aveva deciso di non rivelarle quelle cose orribili e, per sua fortuna, la biondina si era accontentata di sapere che sarebbe servito a mettere al sicuro la sorella maggiore da qualcosa che non potevano, però, dirle. Forse, con tutti quegli articoli e servizi televisivi, Lizzie prima o poi avrebbe saputo ogni cosa ma, per il momento, Jackie preferì non pensarci.

Elizabeth rise, «Benissimo, sto mangiando una fantastica arancia.» rispose e la ragazza riuscì ad avvertire tutta la felicità della sorella nel mangiare il suo frutto preferito.

Corrugò la fronte e si chiese perché Lizzie stesse mangiando uno degli alimenti che le erano, diciamo, "vietati" al di fuori dell'ospedale. «Ma stai facendo la dialisi adesso? Voglio dire, sono tipo le cinque del pomeriggio e-»

«Fuso orario, ricordi? - la interruppe, con una risatina, - Mentre faccio la dialisi, da te è pomeriggio, quando dormo, tu sei invece a scuola e cose così, ne abbiamo parlato prima che partissi.» notò Elizabeth e Jackie si colpì lievemente la fronte, ricordandosi improvvisamente di quel problema. In pratica, le ore in cui potevano parlarsi si riducevano notevolmente e questo era terribile per le due sorelle. Sarebbe stato quasi tragico anche solo vivere in case diverse, seppur nella stessa città.

«Giusto, - alzò lo sguardo e notò che Dan, sorridendo, stava ancora discutendo con il tassista, - cosa stai facendo, oltre a mangiare?» chiese, desiderando di sentirla parlare il più possibile.

«Niente, - sbuffò e Jackie immaginò che avesse appena incrociato le braccia al petto, - mamma non mi permette di guardare la tv dell'ospedale e, senza distrazioni, il tubo mi dà più fastidio.» spiegò, mentre la ragazza sentì lo stomaco contorcersi al pensiero del tubo, collegato a una vena, che la sorella aveva sul collo per permettere a un macchinario di ripulirle il sangue da ciò che i suoi deboli reni non riuscivano a smaltire. Diverse volte, decisamente troppe, aveva desiderato di trovarsi in un mondo parallelo e passare lei tutto ciò a cui la sua sorellina era costretta, ma non poteva fare niente per risparmiarle quella tortura, proprio come non poteva evitare che Grace le impedisse di guardare la televisione che, quasi sicuramente, avrebbe mandato in onda un sacco di servizi su Jackie. Poteva solo lasciare che il senso di colpa le corrodesse lo stomaco e, per quanto facesse male, sapeva di meritarlo.

«Mi dispiace così tanto.» mormorò, riuscendo in qualche modo ad avvertire il dolore di Lizzie come se invece lo stesse provando proprio lei. Portò una mano al collo e grattò con le unghie sul punto in cui, se fosse stata sua sorella, avrebbe avuto il tubicino.

La sorella sospirò, «Non c'è niente di cui tu debba dispiacerti, Jackie. Non so perché la mamma abbia questa improvvisa fissazione sul non far addormentare il cervello, - scherzò, - piuttosto, com'è l'Australia?» chiese, emozionata, e Jackie si strinse leggermente nelle spalle, nonostante sua sorella non potesse vederla.

«Non sono ancora entrata nell'ottica di dover vivere qui.» ammise, spaventandosi all'idea di tutte le cose che sarebbero cambiate, nella sua vita, con quel trasferimento. Sperò solo di riuscire ad affrontare tutto e di dimenticare gli orribili mesi passati prima della partenza.

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Salve ragazze♥
Non mi sono ancora ripresa del tutto dalla notizia di Zayn che lascia la band e, più che altro, non capisco, ma vabbé.

Detto questo, spero che la storia vi stia piacendo e vi ringrazio per i commenti, i voti e le letture, siete fantastiche ♥

Un bacio♥♥

Daisy || Luke HemmingsWhere stories live. Discover now