Capitolo 4

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Jackie e Dan entrarono nella loro nuova casa e si guardarono intorno, cercando di abituarsi all'idea che avrebbero vissuto lì da quel momento in poi.

«Ti piace?» chiese l'uomo alla figlia, che annuì lievemente. Era un appartamento situato al secondo piano in una palazzina di un condominio nel pieno centro della città, non troppo grande ma di certo, considerando i doppi vetri delle finestre e la porta blindata, protetto alla perfezione da qualsiasi tipo di pericolo. Jackie era certa che Dan sarebbe stato eternamente grato al suo nuovo commissario per aver trovato una casa adatta alle loro esigenze nel giro di poche settimane, subito dopo aver ricevuto il suo avviso di trasferimento.

Dan sorrise, soddisfatto, e appoggiò le due valigie al muro, forse intenzionato a svuotare più tardi la sua. «Siamo un po' distanti dal tuo nuovo liceo, ma Riley mi ha detto che per gli studenti di questa zona passa tutte le mattine uno scuolabus.» spiegò, aprendo qualche sportello dei mobili presenti in quel salotto, forse per verificare se ci fossero tracce di cibo.

«Chi è Riley?» chiese Jackie, corrugando la fronte e sfilandosi finalmente la giacca. Sentendo ancora caldo, arrotolò le maniche della maglietta, attirando così lo sguardo del padre sulle sue braccia, segnate da profondi tagli ancora non cicatrizzati e bruciature dalle spalle al polso. Aspettò una risposta, ma Dan si era immobilizzato davanti a quelle ferite.

Jacqueline si sentì terribilmente a disagio, così riportò le maniche al proprio posto e incrociò le braccia al petto. «Il tassista che ci ha accompagnato. - rispose, riprendendosi da quella vista, - Ma domani è il primo giorno, quindi ti accompagnerò io.» in realtà, essendo appena arrivati, non avevano ancora una macchina ma Jackie sapeva che, piuttosto che lasciarla andare da sola, Dan avrebbe fatto la strada a piedi con lei.

«La scuola qui inizia a Febbraio?» chiese la ragazza, non veramente interessata a saperlo, e si sedette sul divanetto. Era abbastanza scomodo e rimpianse la sua vecchia villa a Londra, ma doveva essere grata di essere riuscita a scappare, seppure la nuova casa non fosse il massimo della comodità.

Dan annuì, riprendendo la ricerca di qualcosa che fosse commestibile, per poi arrendersi qualche minuto dopo, non trovando altro che piatti e bicchieri di varie dimensioni. «Temo che stasera digiuneremo, a meno che tu non voglia andare alla ricerca di una tavola calda a quest'ora.» propose Dan, ma Jackie scosse violentemente la testa, per niente intenzionata a camminare in una città sconosciuta per chissà quanto. Inoltre, la pizzetta mangiata quel pomeriggio all'aeroporto ancora pesava come un macigno nel suo stomaco ed era troppo stanca e agitata per mangiare qualcosa.

Si alzò da quel divano scomodo e decise di iniziare a sistemare le sue poche cose nella stanza. Afferrò la valigia, da dove l'aveva appoggiata suo padre, e senza salutare sparì nel breve corridoio buio dell'appartamento. Intravide una maniglia e aprì la porta ma, trovandosi davanti il piccolo bagno dell'abitazione, tentò con un'altra stanza. Trovò finalmente una camera da letto e, vedendo la sagoma di un letto singolo al centro della camera, pensò che fosse la sua nuova stanza. Accese svelta la luce, liberandosi della morsa allo stomaco che il buio le provocava, e notò che accanto al letto si trovavano due comodini, uno per lato, mentre sulla parere destra vi era un armadio, forse troppo grande per i suoi pochi vestiti.

Appoggiò sul pavimento la sua valigia e aprì la cerniera, ma rinunciò all'idea di sistemare gli abiti, decidendo di rimandare all'indomani ogni cosa che non fosse strettamente necessaria. Si sedette vicino al bagaglio, per poi guardarsi attorno e notare la presenza di un piccolo balcone. Guardò meglio e scoprì che, oltre la portafinestra, si trovavano delle pesanti grate di ferro, capendo che senza ombra di dubbio quella era la stanza destinata a lei.

Sospirò e aprì la tasca esterna della valigia, per poi tirare fuori il suo quaderno dalla copertina blu rovinata. Un brivido le percorse la schiena, aprendolo, ma aveva bisogno di ricordare a se stessa perché fosse lì e non a Londra con il resto della sua famiglia. Sfogliò velocemente tutte le pagine, decidendo di non soffermarsi su nessuna in particolare ma, avvicinandosi alle pagine più vecchie, qualcosa non le permise di andare avanti. Una margherita secca le cadde sulle gambe e non ci mise molto a ricordare quel pomeriggio di qualche mese prima. Iniziò a leggere le parole impresse sulla pagina con grafia sicura e si rese conto di quanto le sembrasse distante quel momento.

'29 Agosto 2011

Oggi pomeriggio sono stata al parco per accompagnare Lizzie a incontrare la sua amica Tess, appena tornata dalle vacanze in Grecia con i suoi genitori. Mi sono arrabbiata molto con lei perché sarei dovuta andare con i miei amici al cinema, ma forse le cose non succedono mai per nulla, no?

Appena siamo arrivate, mi ha lasciata subito da sola alla prima panchina ed è sparita con Tess per raccontarsi ciò che hanno fatto in questo tre mesi e altre cose loro, ma non mi importa più di tanto in realtà.

Senza che me ne rendessi conto, qualcuno si è seduto accanto a me e mi sono voltata per gridargli di trovarsi un altro posto, ma le parole mi sono morte in gola, quando mi sono trovata davanti i suoi occhi color nocciola. Erano così luminosi e il suo sorriso così disarmante che non mi sono ricordata nemmeno perché mi trovassi lì.

«Come ti chiami?» mi ha chiesto, senza lasciare che il sorriso abbandonasse le sue labbra.

Ho continuato a guardarlo senza dire nulla e sicuramente sono arrossita, assurdo! Non mi sono mai sentita intimorita da nulla, figuriamoci per un ragazzo. Forse è stata la consapevolezza di avere almeno sei anni in meno di lui a bloccarmi, non so, ma ho temuto davvero di dire qualcosa di sbagliato, di infantile o stupido che potesse allontanarlo e non volevo assolutamente che succedesse.

«Jacqueline.» ho sussurrato, ma è riuscito a sentirmi comunque.

«Mmh, - si è abbassato e ha raccolto una margherita dal prato, per poi sistemarla fra i miei capelli, - penso che Daisy sarebbe stato più adatto: sembri così pura e innocente, proprio come una piccola margherita.» detto questo, si è alzato e mi ha strizzato l'occhio, per poi sparire dalla mia vista.

Lo rivedrò? Spero proprio di sì, perché mi ha incuriosito e vorrei conoscerlo, anche se forse papà e mamma non approverebbero. Per adesso, forse dovrei semplicemente scusarmi con Lizzie perché, se non mi avesse trascinata al parco, non avrei mai incontrato questo ragazzo misterioso.'

Daisy || Luke HemmingsWhere stories live. Discover now