16* Allenatore

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«L'hai visto stamattina? Ha detto qualcosa di me?» domanda, saltellando e costringendomi ad allontanare la testa da lei per non ricevere un pugno.

«In effetti, ha detto che potevi aiutarmi a copiare. Non avevo capito come vi conosceste, quindi non ci ho dato troppo peso», scrollo le spalle.

Spalanca la bocca incredula e si sposta i capelli da un lato. «È la notizia migliore che potessi darmi!» risponde allegra. «Se lui ha parlato di me, vuole dire che non gli sono indifferente, quindi adesso lo ignoro e vediamo cosa succede.»

La fisso perplessa, ma lei è troppo presa dal suo nuovo ruolo, per guardarmi.

«Che cavolo vuole dire?»

«Che non posso fare quella appiccicosa. Lui è grande, io devo fargli capire che sono una che non si aspetta niente da lui», spiega veloce. «Mettiti al mio posto, io sto di spalle. Se arriva, dimmi qualcosa. Ma lascia fare a me», mi istruisce.

Sbuffo sonoramente e guardo l'orologio. Ci mancava solo questa.

«Era bello oggi?» indaga in trepidazione.

«Non saprei. Il solito? Insomma, non è il mio genere», chiudo la questione.

«Certo, a te non piacciono quelli più grandi. Ma non sai quanto ti sbagli. Andare con lui è stato illuminante.» Le sue guance si arrossiscono, mentre torna con la mente al loro momento intimo.

«Non andare avanti. Non voglio sapere», la avverto. «Sta uscendo.»

Alec è forse l'ultimo a lasciare la scuola. Cammina tronfio, con le braccia rilassate e uno zaino che sembra vuoto arrampicato su una spalla. Sorride a tutti, mentre abbraccia Giulia, la ragazza che mi ha fatto la predica sabato scorso.

Quando ci passa accanto, Ludo aspetta il momento giusto per fare un passettino indietro, sempre senza guardare, e raccogliere gli occhiali che le sono caduti. Sono senza parole, anche a me è sembrata una pura coincidenza. Questa ragazza è strabiliante.

Alec non può evitare di andarle contro e chiedere istintivamente perdono.

«Ludo, sei tu?» chiede incredulo, radiografando la mia migliore amica. «Come stai?»

Ludo si gira, sorpresa e confusa. Lo guarda un attimo e poi finge un sorriso di comprensione. «Alec, ciao! Scusa, stavo parlando con Sol e non so come ho perso gli occhiali.»

Resto immobile, con le labbra congelate e lo sguardo smarrito. Non so assolutamente cosa fare e non voglio rovinare il teatrino che ha imbastito. Se questo può servirle a dimenticare Enri, allora va bene.

«Hai da fare? Andiamo a mangiare qualcosa insieme? Dopo devo tornare a scuola, ma ho un'oretta per te», ammicca consapevole del suo fascino.

«Grazie, ma oggi sono proprio incasinata. Magari un'altra volta.»

Sorride, mentre si allontana e io la seguo, stupita.

«Mi fai paura!» le dico camminando al suo fianco.

«Si desidera ciò che non si può avere...» ride divertita.

**

Alle 3.45 Pietro mi aspetta davanti agli spogliatoi con una casacca giallo fluo, dei parastinchi e delle scarpe con i tacchetti. Sventola tutto come se dovessimo giocare a "ruba bandiera" e mi sorride accogliente.

«Non so niente di bambini, o di rugby», ammetto mentre infilo ciò che mi ha dato.

«Non importa, mi serve solo che controlli che non si azzuffino, o non facciano niente. Sono trenta. Non è facile tenerli d'occhio», mi spiega, accarezzandomi il braccio.

Io senza TeWo Geschichten leben. Entdecke jetzt