20. Australiana

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20. AUSTRALIANA













"Solo chi ha dentro un grande caos,
può far nascere una stella."
-Friedrich Nietzsche













24 settembre 2019














Dentro lo spogliatoio deserto erano pochi i suoni percepibili. Da un rubinetto cadevano delle gocce d'acqua, lente e irritanti, che donavano un ritmo ai suoi pensieri scompigliati, mentre il lieve ticchettio delle lancette dell'orologio appeso alla parete faceva il suo. Invece, da dietro la porta, della musica giungeva ovattata, assieme a passi affrettati e voci allegre, un parlottio sordo punteggiato qua e là da squillanti risate femminili.

La sua bocca era asciutta, le tremavano le mani e il cuore le batteva nelle orecchie con un fracasso tale da smorzare tutto il resto. Sentiva i timpani che vibravano come tamburi centrati in pieno, la pressione che saliva, e un tuonare che si diffondeva in tutto il cranio. Kendra strinse le dita attorno al metallo freddo della panca su cui era seduta, così forte da farsi venire le nocche bianche.

Quel giorno si sarebbe celebrato 'Il Settimo Torneo Crawley' e il centro acquatico della UWA faceva da piscina ospitante, dunque oltre agli atleti della squadra di Kendra avrebbero partecipato alla manifestazione anche ragazze e ragazzi di altre università. Marshall le aveva fatto sapere a malincuore che quello di quel giorno sarebbe stato l'ultimo torneo a cui avrebbe preso parte indossando la divisa della squadra, dato che il suo collegiale sarebbe giunto al termine la settimana dopo.

A meno che non avesse ricevuto la borsa di studio, in quel caso sarebbe ritornata all'università verso ottobre e avrebbe cominciato a seguire i loro corsi di studio e ad allenarsi seriamente. In sostanza la manifestazione di quel giorno era l'ultimo ostacolo da superare per coronare i suoi sogni. Sugli spalti era presente, oltre a vari collaboratori, il cui compito era quello di esaminare la prestazione degli atleti al fine di valutarne le effettive capacità, addirittura il rettore dell'università.

Marshall l'aveva iscritta a un tipo di distanza in cui non aveva mai gareggiato. Era la competizione che utilizzavano per testare la resistenza e la tempra mentale degli atleti 'in prova'. Se avesse vinto, avrebbe ottenuto la borsa di studio. Il concetto era semplice. Eppure, era spaventata, poiché era un distanza che aveva provato solo in allenamento. A breve avrebbe dovuto gareggiare e aveva le viscere attanagliate dall'ansia.

Era una sensazione strana, intensa, che la rendeva nervosa e agitata come mai prima d'ora. Non faceva che ripassare a memoria i movimenti che avrebbe dovuto eseguire nel momento in cui sarebbe entrata in acqua; con il corpo era lì, nel silenzio dello spogliatoio, ma con la mente già era in piscina e i suoi muscoli fremevano, inquieti e avidi di quelle sensazioni incomparabili.

L'attesa era snervante e non faceva che aumentare le sue paranoie. C'erano una miriade di cose che sarebbero potute andare male. L'idea di fallire la terrorizzava, specie dopo aver sacrificato così tanto. Temeva di realizzare di aver sprecato solo tempo, una vita intera, di rendersi conto di non appartenere a quel mondo, di non essere all'altezza, di aver vissuto in una perfetta illusione.

Non poteva fallire. Non poteva tornarsene in Inghilterra con la coda tra le gambe. Cosa avrebbe detto alla sua famiglia? A sua madre? Di non avercela fatta? Assolutamente no, era fuori discussione. C'era solo un modo in cui sarebbe dovuta tornare a casa: trionfante, con la certificazione della borsa di studio tra le mani e una medaglia d'oro appesa al collo. Altrimenti non avrebbe fatto ritorno. Si sarebbe trasferita sotto il ponte Matagarup, e avrebbe trascorso il resto della sua misera esistenza a lavarsi nelle acque torbide del fiume Swan e a cibarsi di piccioni alla brace.

Dove vanno le stelleOnde as histórias ganham vida. Descobre agora