17. Nel pozzo dei ricordi

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*Vi consiglio di ascoltare la canzone prima di cominciare a leggere*






17. NEL POZZO DEI RICORDI













"Chi non si inchina mai a niente
non saprà reggere il peso di se stesso."
-Dostoevskij


4 agosto, 2019


Nero.

Truculento, immenso, solenne nero.

In quel momento era l'unica cosa che Zale vedeva, sentiva e provava. Una cacofonia di urla rimbombava nell'etere nebbioso, assieme a un clangore di lame ferrose che si incrociavano spietate, graffiandogli i timpani. Adagio, sollevò le palpebre e, quando mise a fuoco, qualcosa apparve nel buio.

Dapprima, gli sembrò un drappo nero tempestato di diamanti, ma no... i suoi occhi stavano contemplando lo spettacolo più bello che potesse immaginare, il più bello della natura; il firmamento punteggiato di milioni di stelle. L'unica fonte di luce in quelle tenebre senza fine. La sua schiena era a contatto con qualcosa di umido e solo quando si sollevò col busto, realizzò di essere seduto in uno specchio d'acqua bassa, in cui si riflettevano gli astri argentati, quelle piccole luci incuranti di qualsiasi cosa succeda sotto di loro, poiché il loro unico scopo è quello di rendere l'oscurità meno deserta.

Zale tenne gli occhi fissi sulla riga che l'acqua gli disegnava sulla camicia, all'altezza del basso ventre, mentre il fiato gli si condensava in nuvolette davanti alla bocca. Faceva freddo e aveva i vestiti pesanti e pregni d'acqua, non ci volle molto prima che la pelle d'oca gli spuntasse sulle braccia. D'un tratto spirò una brezza leggera, carica di salsedine, che gli solleticò le guance arrossate e gli fece ondeggiare alcuni riccioli sul volto. L'odore pizzicante gli penetrò nelle narici.

Si mise in piedi a fatica, facendo forza sulle ginocchia deboli e tremanti, con il cuore che batteva all'impazzata e la mente alla ricerca frenetica di una spiegazione.

Sono morto o sto solo sognando? si chiese frastornato.

La prima opzione gli sembrò di gran lunga la più probabile. Anche perché fece il conto di quanti grammi di cocaina aveva preso, di quanto alcool aveva bevuto, di quanta erba aveva fumato e... beh, c'era andato giù pesante.

Dopo aver raddrizzato la schiena percepì una specie di bruciore, di formicolio, serpeggiare e percorrergli tutto il corpo. Si tastò il petto con mani frementi, i muscoli contratti e rigidi sotto le sue dita. Se era morto perché percepiva ancora gli stimoli sensoriali?

Il suo corpo era lì, tangibile e palpabile.

Lui era lì.

Ma lì dove?

Zale si guardò attorno, un vacuo nulla si stendeva in ogni direzione, ma c'era qualcosa in quel vuoto, ne era sicuro. "Chi c'è?" chiese al buio, "che succede?"

"Ne ho abbastanza!"

"Stammi a sentire..."

Cominciò ad avanzare, a passi incerti, quasi strisciando i piedi, perché non conosceva il terreno, non sapeva effettivamente su cosa stesse camminando, e provava timore di poter precipitare nel vuoto da un momento all'altro.

"Io mi spacco la schiena ogni giorno per voi due!"

"Tranquillo, da ora in avanti non saremo più un tuo problema."

Zale seguì il richiamo delle voci, curioso di verificare a chi appartenessero. Nel frattempo, si rese conto di essere circondato da un'orda di calabroni; gli insetti affondavano con insistenza i loro grossi pungiglioni nella sua pelle, ma lui rimaneva indifferente e impassibile. Non provava alcun dolore. Più avanzava, più il ronzio aumentava. Divenne assordante. Poi, nell'istante in cui scorse una figura nella penombra, tutto cessò.

Dove vanno le stelleWhere stories live. Discover now