Prologo

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PROLOGO


"Verra la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti."

-Cesare Pavese



















La felicità è un'illusione. 

Un attimo di follia eccitante ed effimera. Ai suoi occhi azzurri, così avidi e insieme astratti, e così facilmente trascoloranti nella più folle ira, la cessazione della sofferenza appariva sotto forma di cristalli bianchi inodori di varie dimensioni. Si presentava nelle sembianze di lunghe falangi scheletriche, un mantello di tessuto grezzo dal colore scuro indefinibile e una mezza luna argentea pronta a falciare via i sentimenti, tossici come pesticidi, capaci di contaminare anche il più fertile dei terreni.

E la più pura delle anime.

La felicità non è un traguardo della vita, mai si sarà felici per sempre, ed è anche la felicità stessa a non avere un traguardo. La felicità è un miraggio che sorge alla fine di una strada infinita -consumate sono le suole di chi ha il coraggio di provare a raggiungerla. La felicità è roba per gente dal cuore forte e lo spirito ribelle.

È premio di quelli in grado di resistere al dolore delle sconfitte che intervallano il sempiterno tragitto... di quelli che non si lasciano andare nello spire del loro patetico destino, di quelli che si danno da fare ogni giorno, di quelli che si rimboccano le maniche e le corrono dietro.

Per lui la felicità era triste, perché triste è quello che si deve fare per cercare di ottenerla. In fin dei conti, restava quello che aveva sempre saputo che fosse: una chimera. Una fottuta utopia. La vita è fatta di sofferenze, le gioie quotidiane sono incidenti di percorso, l'unico traguardo della vita è la morte; non riusciva a vederla diversamente. Pensandoci, potremmo lasciarci morire ogni volta che tratteniamo il respiro.

Eppure, qualcosa ci intima di ridare aria ai polmoni.

La felicità è un'illusione, la tristezza, invece, una quotidiana realtà. E lui preferiva di gran lunga credere nella certezza del nulla che nella fantasia di una spasmodica armonia. Perché patire la sete di sicurezza? Perché siamo vivi, se condannati a morire? Potremmo decidere di farla finita in qualsiasi momento, però non lo facciamo.

Ci hanno insegnato a rialzarci, a rimetterci in piedi, ci hanno detto di affrontare la vita a testa alta, non importa quanto dura sia la sconfitta. Ce l'hanno insegnato perché siamo sadici. Ce l'hanno detto perché, in fondo, soffrire ci piace.

Siamo vittime di un ciclo senza fine, un ciclo di vita e morte, ed è incredibile che alcuni non crollino, pur essendo consapevoli della futilità della loro esistenza. Siamo come l'Uroboro, il serpente che mangia se stesso; proprio così, l'Uroboro si mangia da solo, scambia la propria coda per un altro serpente e inizia a divorarsi. Quando si accorge che il nemico non è altro che se stesso ormai è troppo tardi.

Dove vanno le stelleOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz